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17 MAGGIO 1972, OMICIDIO DEL COMMISSARIO LUIGI CALABRESI Massimiliano e Francesco Mancini

UN SERVITORE DELLO STATO USATO COME CAPRO ESPIATORIO DAL TRIBUNALE DEL POPOLO

di Massimiliano Mancini

Abstract: La verità giudiziaria sul vile assassinio del commissario Luigi Calabresi, medaglia d’oro al valor civile, condannato pubblicamente con una violenta campagna stampa diffamatoria di Lotta Continua con la calunnia di essere stato il responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, suicida nella Questura di Milano dove era interrogato sull’attentato terroristico in Piazza Fontana. La condanna definitiva dei mandanti Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani e degli esecutori materiali Ovidio Bompressi e Leonardo Marino. Restano aperti alcuni interrogativi che saranno approfonditi sul prossimo numero della rivista.

e di Francesco Mancini

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La morte di Pinelli e le calunnie contro Calabresi

Il 12 dicembre 1969 scoppiarono cinque bombe, delle quali una posta nella filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano, che provoca la morte di 17 persone e il ferimento di altre 88.

Da subito le indagini si orientarono verso gli ambienti anarchici, come accadrà anche in seguito, erroneamente, per l’attentato di Piazza Della Loggia a Brescia nel 1974.

Il commissario Luigi Calabresi (1937-1972), che aveva già in corso inchieste su attentati da bombe ed era il titolare anche di questa indagine, convocò in Questura 84 sospettati tra i quali Giuseppe Pinelli (1928-1969) che il commissario, andò a prelevare al circolo di via Scaldasole con la Fiat 850 blu della polizia facendosi seguire da Pinelli a cavallo del motorino “Benelli”.

Dopo essere stato tenuto illegalmente in stato di fermo e interrogato per più di due giorni, alle 23:57 del 15 dicembre Pinelli precipitò dalla finestra dell’ufficio del commissario, al quarto piano dell’edificio della Questura di Milano[1].

La prima versione data durante una conferenza stampa del questore Marcello Guida (1913-1990), che era stato direttore del carcere per prigionieri politici di Ventotene durante il fascismo, alla quale parteciparono anche Luigi Calabresi e Antonino Allegra che era il responsabile dell’Ufficio politico della Questura, affermò che Pinelli si sarebbe suicidato in quanto implicato negli attentati e senza un alibi valido, versione poi ritrattata quando l’alibi di Pinelli, al contrario di quanto affermato, si rivelò veritiero

Mentre gli inquirenti sostennero la tesi del suicidio, le formazioni extraparlamentari di sinistra e gli esponenti giornalistici di sinistra accusarono le forze dell’ordine e in particolare Calabresi, come capro espriatorio, di aver ucciso Pinelli gettandolo dalla finestra, anche se le successive inchieste dimostrarono che lui non era presente nella stanza dell’interrogatorio al momento della caduta [2].

La condanna a morte dell’infame campagna diffamatoria contro Calabresi

Luigi Calabresi divenne il bersaglio di una martellante campagna diffamatoria che lo accusava di essere l’assassino di Giuseppe Pinelli.

Parteciparono a questo infame processo di piazza intellettuali di sinistra, tra i quali Elio Petri e Nelo Risi che girarono il lungometraggio Documenti su Giuseppe Pinelli, e Dario Fo che scrisse l’opera teatrale Morte accidentale di un anarchico, in cui Calabresi era il dottor Cavalcioni, accanto a gruppi più estremisti che lo minacciavano quotidianamente anche con scritte sui muri di Milano e di tante altre città d’Italia.

Quattro giovani anarchici del circolo “Gaetano Bresci” di Mantova con il successivo apporto di Pino Masi per l’arrangiamento e alcune modifiche testuali, e poi modificata e riproposta da numerosi interpreti tra cui Joe Fallisi, che nella prima pubblicazione rimase anonimo firmandosi “parole e musica del proletariato”, composero La ballata del Pinelli, nota anche come Ballata dell’anarchico Pinelli e Il feroce questore Guida, che nel testo afferma:
«Calabresi e tu Guida, assassini
se un compagno avete ammazzato
questa lotta non avete fermato
la vendetta più dura sarà.»

Il vile assassinio

Il 17 maggio del 1972, intorno alle 9.15, il commissario del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurrezza Luigi Calabresi – addetto all’Ufficio Politico della questura di Milano – fu assassinato con due colpi di revolver esplosigli alle spalle da un giovane mentre era per aprire la sua vettura Fiat 500, parcheggiata vicino allo spartitraffico della via Cherubini, all’altezza del civico n. 6, contrassegnante l’edificio ove egli abitava (dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 21 ottobre 1992).

Aveva 34 anni, lasciò i due figli Mario e Paolo e la moglie Gemma Capra, incinta del terzo figlio Luigi che nascerà pochi mesi dopo la sua morte.

La verità processuale

Nel 1988 Leonardo Marino (1946), ex militante di Lotta Continua, sì pentì e confessò di essere stato l’autista che aveva portato Ovidio Bompressi (1947), a uccidere il commissario, indicando i mandanti del delitto in Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, anch’essi in precedenza militanti e ai vertici di Lotta Continua.

Dopo numerosi processi e revisioni, nel 2000 la vicenda processuale dell’omicidio del commissario Calabresi si è conclusa con le condanne di Leonardo Marino, che è stato condannato a 11 anni di reclusione, pena poi prescritta grazie alla attenuanti generiche, e a 22 anni di reclusione per Ovidio Bompressi (1937-1972), graziato nel 2006 per motivi di salute dal Presidente Napolitano, Giorgio Pietrostefani (1943), arrestato solamente nel 2021 poiché in precedenza protetto in Francia dalla c.d. “Dottrina Mitterand” e libero per ragioni di salute, e Adriano Sofri (1942), liberato a seguito dell’indulto e di vari sconti di pena nel 2012.

Misteri italiani

Intorno la morte del commissario Calabresi restano ancora oggi situazioni collaterali da chiarire, come l’attentato in occasione della prima commemorazione della sua morte, i suoi personali rapporti con Pinelli, i depistaggi e il ruolo dei servizi segreti.

Nei prossimi numeri della rivista si pubblicherà un dossier più approfondito.

NOTE:

[1] Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, Roma, Nuova Eri, 1992.

[2] Indro Montanelli e Mario Cervi, Milano ventesimo secolo, Milano, Rizzoli, 1990.

[3] Fu informatore del SIFAR, Servizio Informazioni Forze Armate, servizio segreto militare italiano dal 1949 al 1966 e in seguito agente del SID, con il nome in codice “Nigro”, e quindi agente del SID, Servizio Informazioni Difesa, il nuovo servizio segreto militare che prese il posto del SIFAR dopo il suo scioglimento in seguito a numerosi scandali.

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