La strategia della tensione raggiunge il culmine nel 1974, e a oggi restano ignoti e impuniti i neofascisti che colpirono degli inermi passeggeri
Abstract: Il 1974 fu il culmine della c.d. “strategia della tensione” ossia l’attività dei gruppi eversivi neofascisti che volevano destabilizzare lo stato e ingenerare un clima diffuso di paura per legittimare un colpo di Stato. A pochi mesi dalla Strage di Piazza della Loggia, il 4 agosto 1974, nella carrozza 5 del treno Roma-Monaco denominato “Italicus”, alle ore 1:23 esplode un ordigno composto da esplosivo ad alto potenziale e carica incendiaria azionati da un sistema a orologeria messo in una borsa abbandonata sotto un sedile. Muoiono bruciati vivi 11 passeggeri e un eroico ferroviere nel tentativo di salvarli. La bomba scoppio solo alla fine della Grande galleria dell’Appennino, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, ma se fossse scoppiata all’interno i morti sarebbero stati centinaia. Dopo depistaggi e ben 2 segreti di Stato, i processi si sono conclusi solo con assoluzioni.
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Il contesto sociopolitico
Il modello della c.d. “strategia della tensione”, ossia la pianificata eversione neofascista che, attraverso una serie di attentati contro civili inermi per ingenerare un diffuso senso di paura e tensione, voleva destabilizzare le istituzioni democratiche per instaurare un regime autocratico e autoritario, era iniziato dalla strage di Piazza Fontana del 1969 per proseguire con la strage di Peteano del 1972.
«È notorio che il 1974 fu caratterizzato dal referendum popolare sul divorzio, preceduto da una campagna elettorale aspra e radicalizzata che contrappose in modo netto due schieramenti. In primavera, nel momento di maggiore tensione, iniziò una serie di attentati terroristici, via via sempre più gravi, rivendicati da Ordine Nero. In Toscana, il 21 aprile, si ebbe l’attentato di Vaiano, primo attacco alla linea Ferroviaria Firenze-Bologna. Seguì a Brescia la gravissima strage di Piazza della Loggia, poi a Pian del Rascino la sparatoria cui perse la vita Giancarlo Esposti, il quale – secondo quanto Sergio Calore avrebbe appreso dal Signorelli, dal Concutelli e dal Fachini era in procinto di recarsi a Roma per attentare alla vita del presidente della Repubblica, colpendolo spettacolarmente a fucilate durante la parata del 2 giugno. Può pensarsi che ognuno di questi fatti fosse fine a se stesso? Gli elementi raccolti consentono di dare una risposta decisamente negativa. Gli attentati erano tutti in funzione di un colpo di Stato previsto per la primavera-estate ‘74, con l’intervento «normalizzatore» di militari in una situazione di tensione portata ai grandi estremi. E valga il vero.» [Sentenza appello Italicus 1986 p.301]
Il 1974 fu raggiunto l’apice delle azioni terroristiche: il 21 aprile ci fu l’attentato di Vaiano, dal 30 aprile iniziarono gli attentati dinamitardi di Savona, il 28 maggio ci fu la Strage di Piazza della Loggia e, a distanza di poco più di 2 mesi, vi fu la strage del treno Italicus.
Il fatto
La notte tra sabato 3 e domenica 4 agosto, nella quinta vettura del treno espresso 1486 noto come “Italicus”, sotto un sedile rivolto contro il senso di marcia era stata lasciata una valigetta contenente una miscela esplosiva, probabilmente amatolo, e una miscela incendiaria, quasi certamente la termite di cui furono rinvenute tracce. L’esplosivo era collegato a una sveglia di una marca tedesca, Peter, molto comune all’epoca, ritrovata nel corso delle prime perlustrazioni dove era avvenuta l’esplosione. La sveglia aveva modifiche esterne, vi erano inserite in particolare due piastrine di rame, di cui una fissa e l’altra mobile saldata a stagno: tramite la suoneria della sveglia, nell’orario predeterminato, le due piastrine sono venute a contatto, chiudendo il circuito elettrico dell’innesco.
Alle ore 1:23 di domenica 4 agosto la suoneria della sveglia partì ma invece di suonare fece esplodere la bomba ad alto potenziale. La temporizzazione del timer avrebbe dovuto fare esplodere l’ordigno mentre il treno attraversava la Grande galleria dell’Appennino, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro. Tuttavia, durante la corsa tra Firenze e Bologna, il treno recuperò tre dei minuti di ritardo accumulati nelle tratte precedenti. La bomba esplose lo stesso all’interno della galleria, ma in un tratto a soli 50 metri dall’uscita.
L’esplosione fece saltare in aria il tetto della quinta carrozza, che poi cadde frantumandosi in migliaia di schegge, mentre le lamiere si deformavano per la temperatura altissima dell’incendio che divampava, si consideri che la termite di cui era composto l’ordigno brucia con estrema rapidità, causando l’aumento della temperatura fino a 3.000 °C.
I morti
Nell’attentato morirono 12 persone, alcune per l’esplosione e altre arse vive dall’incendio, delle quali 11 passeggeri:
- Elena Donatini, anni 58;
- Nicola Buffi, anni 51;
- Herbert Kontriner, anni 35;
- Nunzio Russo, anni 49;
- Marco Russo, anni 14;
- Maria Santina Carraro in Russo, anni 47;
- Tsugufumi Fukuda, anni 32;
- Antidio Medaglia, anni 70;
- Elena Celli, anni 67;
- Raffaella Garosi, anni 22;
- Wilhelmus J. Hanema, anni 20.
a essi si aggiunse l’eroico conduttore delle Ferrovie dello Stato, il forlivese Silver Sirotti di 24 anni, poi insignito di Medaglia d’oro al valor civile alla memoria, che si lanciò tra le fiamme con un estintore per soccorrere i viaggiatori intrappolati nel treno e in questo tentativo perse la vita.
La strage avrebbe avuto conseguenze più gravi, si ipotizza anche nell’ordine di centinaia di morti, se l’ordigno fosse esploso all’interno della Grande Galleria dell’Appennino, come sarebbe avvenuto dieci anni dopo nella Strage del Rapido 904.
Le responsabilità
La Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi della XIII Legislatura Anno 2001 ha evidenziato che i depistaggi e ben due apposizioni del segreto di stato (in data 2 settembre 1982 e 28 marzo 1985) non hanno consentito nessun esito giudiziario se non mettere in luce la relazione della strage con:
- «... una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana…»;
- «… la loggia P2 che svolse opera di istigazione agli attentanti e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana, quindi gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può considerarsene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale…».
I depistaggi
Tra i soggetti occulti che hanno manovrato per depistare le indagini, si evidenzia, come nella strage di Peteano, un’attività molto sospetta dei Carabinieri e dei servizi segreti militari che hanno:
- il 4 agosto 1974, a poche ore dall’attentato, il neofascista di Arezzo Maurizio Del Dottore aveva denunciato ai carabinieri i possibili autori indicando addirittura il deposito dell’esplosivo, che venne rinvenuto ma fatto brillare in loco, senza mai avvisare l’autorità giudiziaria competente che ne verrà a conoscenza incidentalmente nelle indagini sull’attentato di Vaiano;
- il 23 agosto 1974 l’ammiraglio Birindelli si recò dal generale dei carabinieri Bittoni per denunciare che gli autori della strage dell’Italicus sarebbero stati Franci, Malentacchi e un terzo di cui non ricordava bene il nome, ma nessuna informazione arrivò all’autorità competente se non nel dicembre 1981, quando Bittoni si recò spontaneamente, ma in modo tardivo, dal pm di Bologna;
- nel novembre 1974 lo stesso Maurizio Del Dottore era tornato dai carabinieri di Arezzo, avvertendo della pericolosità degli estremisti aretini, ancora una volta inascoltato.
- nell’agosto 1975, a un anno di distanza dalla strage, Alessandra De Bellis, ex moglie del terrorista Augusto Cauchi, aveva dichiarato ai carabinieri di Cagliari che l’attentato dell’Italicus sarebbe stata opera del marito e dei suoi complici, nominando anche Mario Tuti, ma non fu creduta e anche in questo caso non venne avvisata l’autorità competente sull’Italicus, e dopo poco tempo fu ricoverata in alcune cliniche psichiatriche e a causa dei trattamenti subiti non è stata più in grado di ricordare o non ne ha più avuto la volontà.
I processi e le assoluzioni
ll 1º agosto 1980 giorno precedente la strage alla stazione di Bologna furono rinviati a giudizio quali esecutori materiali della strage:
- Mario Tuti, impiegato comunale di Empoli accusato di aver fornito l’esplosivo e che ucciderà in carcere a Novara Ermanno Buzzi, inoltre guidò la rivolta del carcere di Porto Azzurro che fece molti morti;
- Luciano Franci, carrellista in servizio nella notte tra il 3 e 4 agosto 1974 presso la stazione di Santa Maria Novella di Firenze ed indiziato di aver fatto da palo;
- Piero Malentacchi, che avrebbe costruito e piazzato la bomba, estremisti di destra appartenenti all’ambiente toscano del Fronte Nazionale Rivoluzionario.
Furono inoltre rinviati a giudizio Margherita Luddi, legata sentimentalmente al Franci, per detenzione di armi, Emanuele Bartoli, Maurizio Barbieri e Rodolfo Poli per ricostituzione del partito fascista.
Fu rinviato a giudizio anche Francesco Sgrò, che aveva rivelato la notizia confidenziale di un imminente attentato a un treno organizzato da presunti ambienti universitari romani di sinistra all’avv. Basile che, a sua volta, la riferì all’on. Giorgio Almirante, segretario del MSI-DN che denunciò il fatto in parlamento nella seduta del 5 agosto 1974, il giorno dopo l’attentato.
Il 20 luglio 1983 il presidente Mario Negri della Corte d’assise di Bologna assolse gli imputati Mario Tuti, Luciano Franci, Piero Malentacchi e Margherita Luddi per insufficienza di prove.
Il 18 dicembre 1986 il presidente della Corte d’assise d’appello di Bologna Pellegrino Iannaccone annullò due delle assoluzioni del processo di primo grado, condannando i due imputati Mario Tuti e Luciano Franci alla pena dell’ergastolo come esecutori della strage dell’Espresso 1486 del 4 agosto 1974. Fu assolto il terzo imputato Piero Malentacchi, così come fu confermata l’assoluzione per Margherita Luddi. Condanna confermata ad un anno e cinque mesi di carcere per Francesco Sgrò accusato di calunnia.
Il 16 dicembre 1987 il giudice Corrado Carnevale, famoso per aver annullato numerosissime sentenze, annulla la precedente sentenza della Corte d’assise d’appello di Bologna accogliendo le richieste del sostituto procuratore generale Antonino Scopelliti.
Il 4 aprile 1991 Mario Tuti e Luciano Franci furono assolti dalla Corte d’appello di Bologna, esito confermato anche dalla Corte di Cassazione il 24 marzo 1992.
Ad oggi non ci sono colpevoli!
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