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LA PERCEZIONE DELLA CORRUZIONE, Luigi De Simone

L’evoluzione della disciplina di contrasto ai fenomeni corruttivi, tra sociologia giuridica e diritto penale

di Luigi De Simone

Abstract: Il contrasto della corruzione nella pubblica amministrazione, nella sua evoluzione dalla iniziale disciplina del codice penale sino alle leggi c.d. anticorruzione che si sono succedute dal 1992, specchio della percezione sociologica del fenomeno dal tempo di “Mani Pulite” sino ai giorni d’oggi.

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Il nucleo fondamentale della normativa italiana di contrasto al fenomeno corruttivo è ovviamente contenuto nel codice penale (Codice Rocco), il quale, nel Libro II, Titolo II, Capo I, disciplina i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, appartenenti alla categoria dei reati propri, essendo richiesta, per la configurazione del reato, il possesso di una determinata qualità, ovvero la sussistenza di una determinata posizione, giuridica o di fatto, del soggetto attivo. Il codice penale, agli artt. 357, 358  e 359, distingue tre diverse figure giuridiche, corrispondenti a tre diverse qualificazioni soggettive: il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio e l’esercente un servizio di pubblica necessità.

Il quadro delle incriminazioni è piuttosto complesso, essendo costituito da una pluralità di fattispecie dai confini non sempre perfettamente definiti e tutte riconducibili a quei fatti che impediscono, ostacolano o turbano il regolare svolgimento dell’attività amministrativa, legislativa e giudiziaria dello Stato, nonché dell’attività amministrativa degli altri enti pubblici; oggetto giuridico della tutela penale di tali delitti è, pertanto, il regolare funzionamento dello Stato e degli altri enti pubblici, nonché il prestigio dei soggetti che li rappresentano, ma, come vedremo in seguito, non solo.

Esso comprende la concussione, la corruzione, la corruzione in atti giudiziari, l’istigazione alla corruzione, l’induzione indebita a dare o promettere utilità e il traffico di influenze illecite, previsioni, queste ultime due, introdotte dalla cd legge anticorruzione n. 190/2012.

Per la diffusione e l’importanza assunta dal fenomeno corruttivo nell’odierna società italiana, si tende a superare la vecchia prospettiva che attribuiva a questa realtà criminale una dimensione costituita da singoli episodi isolati, per lasciare il posto ad una concezione più drammatica: la corruzione ha raggiunto una dimensione sistemica, è cioè diventata “prassi stabile e strutturata, rete istituzionalizzata di relazioni e scambi illeciti, coinvolgente – pur secondo modelli diversi – un po’ tutti i gruppi sociali, dalle èlites ai comuni cittadini impegnati in piccole attività illegali di routine1.

Insomma, “la perdita di fiducia nell’imparzialità dell’amministrazione della cosa pubblica mina le basi etiche della convivenza civile, incentiva la defezione degli obblighi del patto sociale2.

Il fenomeno corruttivo ha una dimensione molto più vasta, idonea ad attentare a beni giuridici e interessi di grande valore: si pensi alla libertà di concorrenza, allo sviluppo economico, alla capacità di attrarre investimenti stranieri, all’ambiente o alla salute (si considerino, per esempio, le ripercussioni che il pagamento di una “tangente” può avere nell’ambito dello smaltimento di rifiuti pericolosi o nella messa in circolazione di medicinali contraffatti), al regolare funzionamento delle istituzioni democratiche, ai principi di buon governo, di equità e di giustizia sociale, ai principi etici e ai valori morali posti a base di una società, finanche allo Stato di diritto nel suo complesso o ai diritti dell’uomo.

In questo quadro, si pone, urgente, l’obiettivo del legislatore: combattere il fenomeno corruttivo rafforzando gli istituti di natura preventiva e, soprattutto, riformando i delitti di corruzione. Infatti, già a partire dall’inchiesta giudiziaria “Mani Pulite” dei primi anni ’90 era emersa l’inadeguatezza dell’originale impianto codicistico, a cui sono seguite le riforme più o meno epocali con la Legge 190/2012, con la Legge 69/2015 e con la Legge 3/2019.

La legge 6 novembre 2012 n. 190: “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” (nota anche come legge Severino) modifica la normativa precedente e persegue come obiettivo prioritario un rafforzamento degli strumenti di prevenzione dei fenomeni corruttivi e che tende ad adeguare l’ordinamento penale interno alle indicazioni di matrice internazionale e sovranazionale

La consapevolezza della limitata efficacia del controllo penale e, in ogni caso, del ruolo prioritario della prevenzione nell’ambito della complessiva strategia di contrasto della corruzione, ha indotto il legislatore del 2012 a potenziare innanzitutto gli strumenti preventivi, delineando un articolato sistema di prevenzione che qui riassumeremo brevemente:

  1. È prevista un’ Autorità nazionale anticorruzione che, oltre ad approvare il Piano Nazionale Anticorruzione, svolge importanti funzioni in termini di analisi delle cause della corruzione e individuazione degli interventi a carattere preventivo, formulazione di pareri in materia di conformità degli atti e dei comportamenti dei funzionari pubblici alle leggi, ai codici di comportamento e ai contratti di lavoro, vigilanza e controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia delle misure preventive adottate dalle singole amministrazioni pubbliche.
  2. Predisposizione da parte delle pubbliche amministrazioni centrali di Piani di Prevenzione finalizzati a diagnosticare il grado di esposizione dei diversi uffici al rischio di corruzione e, nel contempo, a indicare gli interventi organizzativi considerati necessari ai fini della prevenzione del rischio medesimo.
  3. Individuazione, di norma tra i dirigenti amministrativi e di prima fascia, del Responsabile della Prevenzione della Corruzione.
  4. Definizione, ad opera del Governo, di un codice di comportamento dei dipendenti pubblici, contenente regole di condotta volte ad assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità.

La parte più specificatamente penalistica della L. 190/2012 introduce rilevanti innovazioni di disciplina, ovvero la modifica del delitto di concussione e configurazione di un autonomo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità; la riscrittura dei delitti di corruzione; l’inserimento nel codice del nuovo reato di traffico di influenze illecite e previsione della corruzione tra privati e il tendenziale inasprimento del regime sanzionatorio 3.

Successivamente, con la Legge n. 69 del 27 maggio 2015, contenente “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”, il Parlamento dopo quasi tre anni dalla Legge Severino è tornato sulla disciplina penale della corruzione pubblica e fattispecie contigue, con l’intento di rafforzare ulteriormente il sistema repressivo sulla corruzione sempre più dilagante e onnipresente, come testimoniano vicende giudiziarie quali Mose, Expo, Mafia-Capitale, che vedono protagonisti anche le organizzazioni criminali.

Una prima direttrice su cui si fonda la legge di riforma del 2015, nell’ottica di rafforzare il versante general-preventivo dell’apparato sanzionatorio apprestato a tutela dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, è costituita dal «recupero del vantaggio illecito» 4.

La riforma ha, poi, proceduto ad un aumento generalizzato delle pene sia principali che accessorie.

Dopo quattro anni il Legislatore con la Legge n. 13 del 16 gennaio 2019 rubricata “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” (Legge Anticorruzione) oppure “Legge Spazzacorrotti“, è intervenuto su tre temi, ovvero sulla lotta alla corruzione della Pubblica Amministrazione, sulla riforma della prescrizione e sulla trasparenza di partiti e movimenti politici e relativi finanziamenti.

In riferimento alla corruzione, il provvedimento mira al rafforzamento del contrasto dei reati contro la P.A. con una serie di misure volte a inasprire le pene principali e accessorie per i reati di corruzione, rendere più efficaci le indagini preliminari e limitare l’accesso dei condannati ai benefici carcerari.

Dopo quattro anni, negli stessi giorni in cui si parla della Riforma “Cartabia”, reazione dello Stato particolarmente frequente nell’ultimo decennio, contro questo fenomeno diffuso che crea danni non quantificabili a tutti i cittadini onesti, sono dirompenti le notizie di stampa che riportano notizie sullo scandalo denominato Qatargate, per una presunta corruzione da parte del Quatar all’interno del Parlamento Europeo, con il coinvolgimento dei servizi segreti belgi, italiani, spagnoli, marocchini. La tesi d’accusa degli inquirenti belgi è che il Qatar, che ha appena ospitato i mondiali di calcio 2022, abbia allestito una rete di corruzione che ha coinvolto politici anche italiani, dirigenti europei, assistenti parlamentari e ONG, come si apprende da numerosa stampa e mass-media.

Si ipotizza che l’obiettivo del paese ospitante i mondiali di calcio, assegnati un decennio fa, era di ammorbidire le posizioni dell’UE e indurre decisioni favorevoli da parte dell’Europarlamento nei confronti della monarchia del Golfo Persico, in cambio di ingenti somme di denaro e regali. Le accuse formali nei confronti degli indagati sono di associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio di denaro. Tutto il mondo politico europeo è seriamente preoccupato che lo scandalo metta in luce un sistema corruttivo più ampio, mettendo in imbarazzo le istituzione europee, alle prese per la prima volta con un caso simile.

A parte tutte le dichiarazioni di stampa di ogni politico italiano ed europeo, impegnato a respingere fermamente il fenomeno della corruzione, dichiarandosi, come copione, “disponibile a collaborare attivamente e pienamente con le autorità giudiziarie per favorire il corso della giustizia”, viene lo sconforto più totale. Un’indignazione pervade la mente. Una rabbia assurda impedisce  ogni forma di umanità nei confronti dei presunti colpevoli.

Nel leggere che dalle prime attività investigative sono stati ritrovati seicentomila euro in contanti in una valigia, altri centocinquantamila a casa di un parlamentare europeo, altri venticinquemila in un’altra abitazione, il senso di impotenza è in ogni dove. Cifre che un dipendente pubblico  guadagna dopo un quarto di secolo di onorato servizio.

Fatta questa premessa non si può non pensare ad un totale fallimento del quadro normativo di riferimento. Vero è che tutti siamo innocenti fino a propria contraria, ma, certamente una somma così ingente non può non derivare da un’attività illecita.

Dal punto di vista interno l’Italia nell’ultimo anno ha scalato dieci posizioni nella classifica di Transparency International (Associazione contro la corruzione): secondo i dati dell’Indice della percezione della corruzione 2022, diffusi lo scorso 31 gennaio 2023 siamo al 41° posto su una classifica di 180 paesi, rispetto al 42° posto occupato l’anno precedente.  Si evidenzia che l’indice di Percezione della Corruzione (CPI) di Transparency International misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica in numerosi Paesi di tutto il mondo. Lo fa basandosi sull’opinione di esperti e assegnando una valutazione che va da 0, per i Paesi ritenuti molto corrotti, a 100, per quelli “puliti”: il punteggio dell’Italia nel 2022 è 56, dato confermato rispetto all’anno precedente. Il dato positivo  è che il punteggio dal 2012 (anno di emanazione della Legge n° 190), è sempre in aumento, guadagnando 14 punti nel decennio, come indicato nel grafico che segue. Comunque siamo al di sotto della media dei paesi dell’Europa occidentale pari a 66 punti (occupiamo il 17° posto su 27 nazioni), mentre siamo al di sopra del dato medio mondiale pari a 43 punti.

I paesi meno corrotti del mondo secondo l’indice di Transparency sono la Danimarca, a seguire la Finlandia e la Nuova Zelanda con 87 punti. Il paese più corrotto è la Somalia con 12 punti, come indicato nel grafico che segue:

Vero è che il CPI si basa su percezioni soggettive, per cui vi è il rischio che lo stesso sia influenzabile a seconda del campione scelto per il sondaggio, tuttavia tali percezioni riflettono il grado di integrità e trasparenza delle procedure decisionali nel nostro Paese a livello internazionale, con la conseguenza che solo gli investitori più propensi a ricorrere a pratiche corruttive decideranno di investire in Italia, andando ad alimentare ulteriormente la «domanda di corruzione». Inoltre, tale indicatore permette di rilevare aspetti di notevole importanza per lo sviluppo di politiche di prevenzione e promozione dell’integrità.

Al recupero dell’Italia fa eco la dichiarazione del direttore di Transparency International Italia all’atto della presentazione dei dati 2022 “I progressi degli ultimi dieci anni non ci devono indurre ad abbassare l’attenzione, c’è ancora molto da fare in tema di anticorruzione ed alcune questioni rilevanti vanno risolte al più prestola messa a disposizione del registro dei titolari effettivi e la regolamentazione del lobbying, temi tornati alla ribalta con le recenti lacune emerse a livello europeo e il nuovo codice appalti che sarà determinante per sostenere eticamente le realizzazioni del PNRR. Infine, oltre ad efficaci passi normativi, auspichiamo un aumento del livello di osservazione e partecipazione dei cittadini ai temi della trasparenza e dell’integrità, garanzia di attenzione generale e sprone per i miglioramenti attesi”.

A proposito del PNRR già l’anno precedente il Presidente ANAC chiedeva più attenzione nei prossimi anni, fase importante di realizzazione dei progetti del PNRR, annunciando diversi impegni concreti, ovvero la digitalizzazione, per garantire massima trasparenza degli appalti, la scelta dei migliori e il controllo dei cittadini, il recepimento della direttiva europea sul whistleblowing 5, per far sì che il nuovo strumento svolga l’azione di vedetta civica nella società e nel mondo del lavoro e, per finire, la realizzazione della Piattaforma unica della Trasparenza, prevista dal PNRR e affidata ad ANAC.

Effettivamente fino al 2026, termine ultimo indicato dal PNRR, saranno anni complicati e difficili dal punto di vista corruttivo. Nonostante il recupero, siamo ancora molto al di sotto delle potenzialità di un paese occidentale tra i più industrializzati del mondo.

L’incongruenza tra i dati, percezione della corruzione  e dati giudiziari, può essere facilmente spiegata alla luce di una possibile duplice lettura del basso livello di denunce, che può stare ad indicare o che il fenomeno sta declinando, il che sembra ben difficile da sostenere, stante la mole di episodi corruttivi che quotidianamente viene alla luce (basti pensare che fra agosto 2016 e agosto 2019 sono state 117 le ordinanze di custodia cautelare per corruzione: esemplificando è quindi possibile affermare che sono stati eseguiti arresti ogni 10 giorni circa) o che, all’opposto, la corruzione si è irrobustita, inabissata e infiltrata a livello reticolare nel sistema, rendendosi impermeabile a interferenze e turbolenze esterne, con una passiva e inerme accettazione da parte dei consociati.

Un ulteriore grido di allarme arriva dalle notizie di stampa che parlano di alcune modifiche legislative della Legge “Spazzacorrotti”, denominandole provvedimenti “Salvacorrotti” che stanno agitando le varie componenti politiche del nuovo Parlamento.

Ancora, il 19 dicembre 2022 su IlSole24ore, a proposito di PNRR e corruzione, leggevo un editoriale, dal titolo “Contro la corruzione servono dirigenti più che corsi di etica”. Nell’articolo si legge testualmente: «l’attuazione effettiva del Pnrr richiede la cooperazione di funzionari pubblici integerrimi, oltre che efficienti e competenti. Il legislatore se ne dimostra consapevole laddove, nel decreto Pnrr-bis (D. L. n. 36/2022 sulle «Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza») prescrive, a favore dei neoassunti e in caso di mutamento di funzioni, lo svolgimento obbligatorio di un ciclo formativo sui temi dell’«etica pubblica e comportamento etico». Del resto, non c’è dubbio che la regola di comportamento onesto (ethos) che l’individuo si impone costituisce il più sicuro presidio a garanzia della correttezza dell’utilizzo del denaro pubblico, al di là di tutte le strategie di controllo predisposte dall’ordinamento. Ma il rischio che la finalità della norma rimanga inattuata è elevato. Non solo per la difficoltà di dare un contenuto univoco al concetto di «comportamento etico», quanto soprattutto per la non remota ipotesi in cui la teoria insegnata al neo-dipendente vada a inserirsi in un contesto lavorativo ingiusto, che tollera favoritismi e scavalcamenti di ruolo grazie al binomio simpatia/antipatia o ad atteggiamenti negligenti o nullafacenti. Da cui può derivare, per i migliori, una demotivazione frustrante che può sconfinare nel «quiet quitting» (licenziarsi in silenzio, o licenziarsi senza licenziarsi), a fenomeni di mobbing e, per altri, alla permeabilità a tentazioni di comportamenti illegali e corruttivi. Per questo, la giurisprudenza che in più occasioni si è trovata a valutare responsabilità penali o contabili del funzionario pubblico, ha richiamato -oltre agli specifici obblighi imposti dalla legge – la necessità del rispetto dei principi di etica pubblica, non solo nella dimensione «statico-soggettiva», ma anche «dinamico-collettiva», come qualità dell’organizzazione pubblica di essere strumento di rafforzamento della responsabilità individuale e non già di «dispersione o diluizione” della stessa» (Corte dei Conti, n. 341 e 207 del 2021). Ne deriva l’urgenza di concretizzare i principi di etica pubblica in soluzioni organizzative che rafforzino nel funzionario pubblico la motivazione di servizio al cittadino, come richiesto dalla Costituzione, e l’orgoglio di adempiere le proprie funzioni con «disciplina» e «onore» (articolo 54). Compito che spetta al dirigente, tenuto, secondo il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (DPR 62 del 2013 appena riformato) a curare il «benessere organizzativo nella struttura cui è preposto» (articolo 13). Frutto non solo, come richiesto dalla norma, di un atteggiamento «leale e trasparente» oltre che «esemplare e imparziale» nel rapporto tra i colleghi, ma anche di un’intelligente organizzazione del lavoro, che gratifichi i dipendenti grazie, tra gli altri, a spirito di squadra, cooperazione interpersonale, crescita professionale. Questa prospettiva appare indispensabile anche per la missione di modernizzazione della P.A. prevista dal PNRR (M1C1.2). La realizzazione di una «buona amministrazione» presuppone il superamento della mentalità burocratica nella logica del migliore servizio al cittadino, ove si coniughi la qualità, la rapidità del servizio offerto e la sua economicità, intesa come migliore utilizzazione del denaro pubblico.»

Articolo assolutamente condivisibile soprattutto per un duplice motivo, perchè per combattere la corruzione si deve profondere il massimo sforzo in tutte le direzioni, da parte di tutti e con tutti gli strumenti leciti possibili ma, soprattutto, perché evidentemente non è ancora stata trovata l’arma giusta per eliminare la corruzione e i corrotti.

Ma come mai l’essere umano deve corrompere o farsi corrompere? Come mai in Europa, nonostante i netti miglioramenti, siamo tra i paesi più corrotti? Forse la soluzione del problema è più semplice di quanto sembri?

Ragioniamo e studiamo i paesi europei meno corrotti.

Magari sarebbe risolutivo creare un sistema di tassazione meno pressante, per diminuire l’evasione fiscale, per aumentare la ricchezza delle famiglie e, di contro, diminuire la necessità di trovare ricchezza altrove? Soluzione semplicistica lo so, ma piuttosto che niente meglio piuttosto.


NOTE

  1. G. FIANDACA, “Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, II, p. 885.
  2. A. VANNUCCI, “Fenomenologia della tangente: razionalità degli scambi occulti”, in Etica degli affari e delle professioni (Vol. VI, n. 1) Milano, 1993, p. 40 e ss
  3. Proposte di riforma contenute nel Progetto di Cernobbio, pubblicata in Riv. trim. dir. Pen. Econ., 1993.
  4. MONGILLO V., Le riforme in materia di contrasto alla corruzione introdotte dalla legge n. 69/2015, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.
  5. Nato negli Stati Uniti d’America nel 1863 e introdotto in Italia come strumento di contrasto alla corruzione con Legge n. 179 del 30 novembre 2017 “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”. Rappresenta uno strumento di contrasto alla corruzione: si concentra, infatti, sul rafforzamento della tutela prevista per il soggetto segnalante, il cosiddetto “whistleblower”. Tale legge oltre a rimodellare la disciplina prevista per il settore pubblico ha introdotto una specifica normativa anche per il settore privato, che rappresenta la principale novità della stessa. La novella del 2017 si concentra, in particolare, sulla rafforzata tutela da offrire al segnalante, poiché altrimenti, rimanendo esposto al rischio di ritorsioni da parte del datore di lavoro, verrebbe meno in questo modo ogni suo stimolo alla segnalazione.

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