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LA POLIZIA LOCALE NON HA BISOGNO DI UNA NUOVA LEGGE MA DI ADEGUARE LA LEGGE, Massimiliano Mancini

Oltre le illusioni vendute dai politicanti sulle quali speculano i mercenari

Massimiliano Mancini

Abstract: Da quasi 40 anni ogni Governo assicura di occuparsi della riforma della sicurezza e della polizia locale,  ogni forza politica è ciclicamente risoluta a volerla realizzare quando è all’opposizione così come distratta quando è in maggioranza. Sul piano tecnico ciò è stato un involontario bene, perché tutte le proposte di legge sinora apparse e naufragate erano certamente peggiorative rispetto la legge quadro del 1986. Dal 2001 la riforma privatistica del CCNL ha equiparato i diritti dei lavoratori degli enti locali a quelli dei dipendenti delle aziende private e quindi le istanze di riforma della categoria possono essere perseguite solo con lo strumento negoziale. Viceversa lo strumento normativo può e dovrebbe adeguare con pochi semplici interventi da inserire nella prima legge omnibus disponibile le norme oramai desuete. Vediamo quali.

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LE FARSE E LA DEMAGOGIA POLITICA SULLA RIFORMA DELLA POLIZIA LOCALE

Dalla legge-quadro sulla Polizia Locale del 1986 in quasi 40 ani si sono dette tante, forse troppe, parole per adeguare quel quadro normativo, sicuramente innovativo per l’epoca al punto da essere attuale ancora oggi nei principi generali, ma sicuramente desueto per le nuove esigenze della sicurezza locale e per le legittime aspirazioni dei lavoratori delle polizie locali.

Le proposte di legge di riforma che si sono succedute in questi 40 anni, ciclicamete sbandierati dalle forze politiche come imminenti dai banche dell’opposizione per poi essere regolarmente affossati quando ci si trova nelle comode poltrone della maggioranza di Governo, mancano tutte di una reale visione e di un ruolo definito per la polizia locale, costituiti quasi sempre da proposte demagogiche declinate in una serie di articoli persino sconnessi tra di loro.

La verità è che entrambi gli schieramenti supportano i propri sindaci che vogliono sempre più una polizia (locale) politica che sia un braccio operativo degli interessi delle amministrazioni. Per questo non fanno più notizia i casi di comandanti sostituiti, trasferiti a ruoli amministrativi, revocati, licenziati per la sola colpa di non aver obbedito agli ordini della politica con buona pace della legalità.

LE COLPE DELLA CATEGORIA

I Governi hanno avuto anche facile gioco con gli operatori di polizia locale che sino a qualche decennio fa erano di basso livello di scolarizzazione, con comandanti generalmente diplomati e, in alcuni casi, con il titolo di studio conseguito persino dopo l’assunzione, che per la loro carriera si erano affidati più alla politica che allo studio. Oggi invece, anche gli agenti di prima assunzione, sono tutti generalmente laureati e alcuni di loro persino abilitati avvocati.

Così sono sopravvissuti falsi miti e le aspirazioni legittime della categoria sono state sviate da chi ancora oggi, nonostante i principi di progressiva equiparazione di tutte le categorie al contratto privatistico e il quadro delineato dalla l. 165/2001, pensa che si possa tornare indietro al contratto pubblicistico a chi confonde la legge 121/81 con i CCNL del comparto sicurezza, mescolando legge e contratto in un fritto misto condito di crassa ignoranza.

A loro si sono aggiunti i servi del potere, mercenari pronti a rendersi zerbini dei politici accorrendo ogni volta che un comandante entri in crisi con l’amministrazione, convinti che la fortuna comperata con il servilismo possa durare per sempre e non fino a quando non si presenti un altro “utile idiota” [frase variamente attribuita a numerosi politici] più servile e più utile di loro.

IL RAPPORTO DI LAVORO PRIVATISTICO

Nell’attuale quadro normativo il rapporto di lavoro alle dipendenze degli enti locali è di natura privatistica e quindi gode dei vantaggi e degli stessi diritti previsti per i lavoratori delle aziende private, perché il datore di lavoro pubblico agisce come parte paritetica rispetto il contraente lavoratore privato e non in una posizione autoritativa come nel contratto pubblico.

Il lavoratore dell’ente locale quindi è titolare di diritti soggettivi e non di interessi legittimi come il dipendente dello Stato e gode di una tutela diretta da parte del giudice ordinario (del lavoro) e non di un tutela indiretta nell’ambito dei generali principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione da parte del giudice spciale (amministrativo).

Altra conseguenza è che la legge non può sovrastare la libertà negoziale e quindi il contratto che lega il datore di lavoro non può essere modificato da alcuna legge di riforma della polizia locale.

COSA PUÒ FARE DAVVERO LA LEGGE PER LA POLIZIA LOCALE

Nel contesto odierno lo strumento normativo può e dovrebbe adeguare con pochi semplici interventi da inserire nella prima legge omnibus disponibile le norme oramai desuete:

  1. qualifica di polizia giudiziaria permanente (modifica art. 57 c.p.p.);
  2. qualifica di agente ausiliario di pubblica sicurezza acquisita ope legis (abrogazione art. 5 c. 2 l. 65/1986);
  3. gradi ed uniformi eguali per tutta la polizia locale italiana (abrogazione art 9 l. 64/1986);
  4. competenza regionale delle qualifiche della polizia locale (modifica art. 5 c. 1 l. 65/1986);
  5. Polizia Locale forza principale di polizia stradale in ambito urbano assieme alla specialità polizia stradale della Polizia di Stato in ambito extraurbano  (modifica art. 12 c. 1 CdS).

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