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DALLA CRISTIANIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ ALLE PREDICHE ANTIEBRAICHE, Jacopo Reale

Antigiudaismo e antisemitismo-Parte 4

Jacopo Reale

Abstract: Costantino non fu mai un vero Cristiano ma piuttosto un pagano filo-cristiano e, infatti, si narra che fu battezzato in punto di morte, e così l’editto di Milano del 313 ev che rese lecito il Cristianesimo nell’impero fu un atto politico. Il concilio di Nicea del 325 ev fissò i canoni del Cristianesimo e segnò la netta separazione dall’ebraismo, a cominciare dalla separazione ex lege della Pasqua cristiana dalla Pesach, cominciando a bollare di eresia tutti quelli che ostacolavano i progetti di cristianizzazione del’impero. Da Giovanni Crisostomo inizia quindi un’opera di disinformazione e di narrazione antiebraica basata sul deicidio, del quale si è già parlato, arrivando all’accusa del sangue, menzogna diffusa, a partire dal secolo XII, in un sincretismo tra credenze cristiane e islamiche che hanno, in comune, la figura dell’ebreo errante.

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Jacopo Reale, laureato con lode in Storia della civiltà cristiana presso l’Università europea di Roma, dottorando in Storia e borsista presso Università di Roma Tor Vergata, borsista per gli studi giudaico-cristiani presso la Pontificia Università Gregoriana dove ha conseguito anche il master in 1° e 2° livello in “Ebraismo e relazioni ebraico-cristiane”, conoscitore del greco, latino, inglese, francese ed ebraico moderno.


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La conversione di Costantino

Gli storici hanno dimostrato chiaramente che l’obiettivo iniziale di Costantino era inquadrare il Cristianesimo nel pantheon multi-religioso ellenistico-romano[1]. L’imperatore considerava Cristo la sua divinità personale, propiziatrice della vittoria finale, che la tradizione vuole gli si fosse rivelata alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio, nella celeberrima visione celestiale della croce accompagnata dalla frase én toúto níka («con questo [segno] vinci»[2]).

Costantino I, mosaico nella Basilica di Santa Sofia (Istanbul)

L’adesione di Costantino al Cristianesimo va intesa nei parametri della cultura ellenistico-romana: allo stesso modo con cui Augusto, tre secoli prima, aveva invocato Apollo[3] come generale vincitore e riconoscente dopo la battaglia di Azio (31 aev), Costantino scelse il Cristianesimo. Entrambi gli imperatori si consacrarono alla divinità dopo le vittorie nelle rispettive guerre civili[4]. È questo un modo di intendere la religione tipicamente pagano, che non presupponeva una scelta esclusiva tra i culti. Agli occhi dell’imperatore il Cristianesimo sembrò, probabilmente, l’epilogo di un lungo percorso spirituale, iniziato con l’apprezzamento intellettuale mostrato nei confronti del monoteismo neopagano[5], il quale aveva, a suo modo di vedere, le caratteristiche giuste per dare risalto alla dignità del trono[6].

Con l’editto di Milano del 313, Costantino aveva solennemente proclamato che il culto pagano e il culto cristiano potevano essere professati liberamente e che, pertanto, erano da considerarsi leciti entrambi; tuttavia, pur aderendo al Cristianesimo, per quanto riguarda la sfera privata, mantenne il titolo di pontifex maximus della religione civica pagana[7]. Almeno sino al battesimo, avvenuto soltanto in punto di morte[8], bisogna quindi pensare a Costantino come ad un pagano filo-cristiano, piuttosto che un cristiano fatto e compiuto. A riprova dell’ambiguità e dell’incompleta conversione di Costantino, l’episodio della fondazione di Costantinopoli dimostra che, ancora nel 330, egli era legato ai culti pagani e latini, che volle utilizzare per l’occasione in un rituale caratterizzato da un complesso cerimoniale volto a ripercorrere le tappe della nascita di Roma[9].

Gli effetti della politica di cristianizzazione dell’impero sul Giudaismo

All’indomani del 313, le religioni consentite nell’impero erano quindi tre: culti pagani (paganesimo), Giudaismo e Cristianesimo. Ci troviamo in un periodo, definito dagli storici tardo antico[10], che si caratterizza per la sua estrema fluidità religiosa, in virtù della quale «un individuo considerato ebreo da un cristiano, poteva non ritenersi ebreo, ed essere ritenuto o meno un ebreo da altri ebrei non cristiani»[11].

Uno dei risultati più tangibili della politica di cristianizzazione di Costantino fu il superamento di questa ambiguità strutturale, in favore della creazione di un’ortodossia che fissava un’immagine estremamente negativa degli ebrei, a detrimento della loro reputazione nella società. Infatti, i pagani erano «stupidi»[12] e potevano anche permettersi di attendere passivamente l’imminente cristianizzazione della società; ma gli ebrei erano falsi fratelli perché, non avendo riconosciuto e, anzi, avendo ucciso il Messia, da popolo eletto erano diventati una «setta nefasta»[13] ed erano, pertanto, da considerarsi assai peggiori degli sciocchi pagani.

Per tale cecità e perfidia[14], era più che auspicabile il loro rifiuto da parte della società. Con il Concilio di Nicea (325), da lui presieduto[15], Costantino intavolò il progetto politico della Reichskirche – ovvero della «Chiesa imperiale»[16] – poi implementato da Teodosio, nel 380, con l’editto di Tessalonica[17], a seguito del quale il Cristianesimo divenne religione di stato e il Giudaismo unica altra religio licita consentita.

A ben vedere, la canonizzazione del Cristianesimo iniziata a Nicea comportò ben più della condanna dell’Arianesimo e della formazione dei primi dogmi (la consustanzialità del Figlio e del Padre), perché portò all’isolamento del Giudaismo, un effetto, questo, senz’altro ponderato dal legislatore. Le azioni di Costantino possono difatti anche essere spiegate considerando fattori pragmatici ed empirici del contesto storico coevo.

In Oriente, il proselitismo ebraico riscuoteva, ancora nel IV secolo, un notevole successo: i convertiti, i timorosi di Dio, affollavano le numerose sinagoghe attirati dalla devozione giudaica, dalla grandezza del monoteismo ebraico e dalla partecipazione al culto settimanale[18], tanto da suscitare l’esigenza, puntualmente avvertita dal legislatore, di stabilire un netto confine, politico e identitario, tra Cristianesimo e Giudaismo[19]. Non potendo definire questo limite in termini di etnia, collocazione geografica o nascita, per Costantino e i padri conciliari divenne dirimente trovare criteri sicuri per identificarsi e, quindi, demarcare l’ortodossia cristiana[20]. In questo senso dobbiamo intendere la separazione, avvenuta ex lege, della Pasqua cristiana da Pesah[21]. Tale provvedimento era, in verità, mirato a creare una divisione artificiale tra i culti e quindi un ostacolo insormontabile tra la tradizione cristiana e quella giudaica; il Cristianesimo si emancipava così, in via definitiva, dalle pratiche ebraiche diventando una religione indipendente costituita da canoni e dogmi peculiari.

Tutto ciò giocava anche in favore dell’élites ebraiche ortodosse, orientate ormai da tempo verso lo sviluppo del farisaismo e della Torah orale e l’esclusione, dal novero del Giudaismo ufficiale, dei gruppi ‘intermedi’. ovvero quelle varianti o sette (in ebraico, minut) che, confluite nel cristianesimo antico[22] all’indomani la distruzione del Tempio (70 ev), perduravano ancora nel IV secolo.

Dunque, dopo Nicea, la scelta dei minim – nel cui insieme annoveriamo anche i nazareni (notzrim), forse prima forma di giudeocristianesimo[23] – di professarsi cristiani e di adempiere, al contempo, i precetti ebraici, divenne eresia (dal greco airéo, «scegliere»[24]), profilo giuridico creato ad hoc per perseguire i gruppi ritenuti non conformi alla politica di cristianizzazione dell’impero[25]. Da parte cristiana, i minim erano considerati ancora tutt’uno con il Giudaismo; nella percezione ebraica, invece, erano ritenuti blasfemi, in quanto colpevoli di contraddire e di farsi malignamente beffa dei rabbanim, i maestri ebrei, oltreché di aver rigettato la tradizionale concezione giudaica della storia improntata alla fede nell’elezione[26]. Affermazioni che riflettono, con una certa evidenza, la diversa natura delle polemiche in essere tra ebrei e cristiani, che vanno dalla diversa interpretazione delle Scritture (per i cristiani, cristocentrica e cristologica), sino alle implicazioni della teologia della sostituzione e lo status teologico del Verus Israel[27]. Per tutte queste ragioni, accanto agli adoratori di idoli, i minim si trovano al centro, oltreché della politica religiosa di Costantino e dei suoi successori, della critica e della polemica rabbinica coeva[28].

Le prediche antiebraiche

La politica di cristianizzazione della società fu quindi portata avanti, per tutto il IV secolo e oltre, in ragione di un criterio di esclusività che determinò un sensibile incremento di intolleranza e contrasti. Per i predicatori cristiani, il campo era aperto alla caccia delle anime. Pur di ottenere un facile consenso, molti di loro andavano affermando che le disgrazie degli ebrei – in particolare, le catastrofiche rivolte giudaiche tra 70 e 135 ev, che avevano portato prima alla distruzione del Tempio e, poi, della stessa Gerusalemme – erano da considerarsi come l’inevitabile punizione divina per non aver creduto in Gesù come Messia[29].

La speranza costantemente nutrita della ricostruzione del Tempio diventò, per i cristiani, un’aspirazione diabolica inevitabilmente erronea e destinata al fallimento: in alcuni ambienti si arrivò persino ad affermare che sarebbe stato l’ultimo emissario del diavolo, l’Anticristo, a ricostruirlo[30]. È sempre in questo periodo che si diffonde un proselitismo militante, accentuato da predicazioni aggressive dai toni marcatamente antigiudaici, come quelle di Giovanni Crisostomo (344-407), personificazione della nuova tendenza culturale antiebraica[31]. L’obiettivo principale delle sue omelie che, in realtà, erano vere e proprie invettive, era colpire coloro che, pur essendo cristiani e, quindi, parte della Chiesa, ancora celebravano le festività ebraiche e praticavano i precetti della Legge mosaica.

«Un altro male estremamente grave necessita delle cure offerte dalla nostra parola, un male riposto nel corpo stesso della Chiesa. […] Che male è questo? Sono ormai imminenti le feste di questi miseri e disgraziati Giudei […] vi sono molti nei nostri ranghi che dicono di avere i nostri stessi sentimenti, ma poi di essi alcuni assistono allo spettacolo di queste feste, altri vi partecipano e digiunano con i Giudei: io voglio estirpare dalla Chiesa questa perversa consuetudine»[32].

Tramite la violenta retorica, con cui invitava gli uditori a usare la forza e altri mezzi come ingiuria e provocazioni verbali, il Crisostomo intendeva imporre ai cosiddetti giudaizzanti una radicale scelta tra Giudaismo e Cristianesimo; tuttavia, ben presto, le predicazioni finirono per essere indirizzate agli ebrei tout court.

«Ognuno attiri a sé un fratello, anche se necessario opporsi, anche se si debba farlo con la forza, anche con contumelie e dispute: smuovete la pietra perché si liberi dal laccio del diavolo e rompa il legame con coloro che consegnarono Cristo perché fosse messo a morte»[33].

I contenuti, lo stile e anche il metodo, caratteristici di tali prediche, si diffusero molto velocemente ed ebbero fortuna in tutta Europa: a Roma, ad esempio, le invettive di alcuni predicatori erano sfociate in sommosse popolari contro le sinagoghe, nel 388, nel 395 e nel 509[34]. A porre un freno all’escalation e anche un duraturo rimedio contro la diffusione e gli effetti delle predicazioni antiebraiche (almeno per quanto riguarda Roma e i possedimenti papali) sarebbe stato, alla fine del VI secolo, papa Gregorio magno (590-603). Le sue sentenze contro il clero di Marsiglia, Cagliari e Palermo in favore delle comunità ebraiche locali, vittime di soprusi, divennero a tutti gli effetti dei validi precedenti del diritto canonico per le relazioni ebraico-cristiane[35]. I riferimenti culturali che contribuirono a orientare Gregorio magno verso il mantenimento e la tutela della presenza ebraica sarebbero stati due: il modello pastorale di Agostino[36] e il diritto romano[37]. Il bilanciamento di questi due elementi, punti fermi della sua dottrina, svolse un ruolo importante nell’esercizio del potere legislativo e nella netta opposizione che Roma e il Papato hanno poi manifestato, a più riprese nel corso del medioevo e della prima età moderna, nei confronti delle espressioni locali del clero, portando diversi papi a esprimersi in favore della presenza ebraica, mentre, nel resto dei paesi del Mediterraneo, gli ebrei erano soggetti a numerose vessazioni e restrizioni in ambito giuridico[38].

Tornando a Crisostomo, costui aveva accusato gli ebrei di ogni genere di nefandezze, a cominciare dal deicidio, argomento che costituisce l’architrave ideologico della sua narrazione.

«Essi [i giudei] erano i rami della radice sacra, ma sono stati spezzati; noi non eravamo parte della radice, eppure abbiamo portato il frutto della pietà. Essi hanno letto i Profeti sin dalla più tenera età ed hanno crocifisso Colui che dai Profeti era stato annunziato»[39].

Il predicatore descrive le sinagoghe come postriboli, caverne di ladri, tane di animali rapaci e sanguinari, mentre dà prova di considerare gli ebrei alla stregua di animali che non servono nemmeno per lavorare, bensì solo per il macello.

«Da dove proviene questa loro durezza? Dalla gozzoviglia e dalla intemperanza. […] Come gli animali che si nutrono in ricchi pascoli diventano più ostinati e indocili e non sopportano più né giogo né freno, né la mano dell’auriga, così il popolo giudeo, spinto nell’abisso della malvagità dall’intemperanza e dalla troppa abbondanza materiale, ha vissuto licenziosamente e non ha sopportato il giogo di Cristo, né trascinato l’aratro della sua dottrina. […] Un altro definisce questo popolo: vitello non istruito a sopportare il giogo. Animali come quelli, incapaci di lavorare, vanno bene per essere sacrificati. Lo stesso è stato per il popolo dei Giudei: essendosi resi da soli incapaci di agire, sono diventati adatti ad essere uccisi»[40].

A supporto delle sue accuse manipola e strumentalizza alcuni passi delle Scritture, in cui si fa divieto di sacrificare bambini al dio Molech[41]. Sembra aleggiare, nelle sue parole, lo spettro dell’accusa del sangue, o di omicidio rituale, addirittura di origine ellenistica, sebbene non vi siano prove in grado di supportare con assoluta certezza la tesi di una derivazione diretta tra le fonti.

«E voi, dunque, ditemi: vi riunite nello stesso luogo [la sinagoga] con questi uomini [i giudei] indemoniati, abitati, da spiriti immondi, allevati e nutriti nel sangue e nell’assassinio, e non inorridite? […] Quali fatti tragici, quali esempi di malvagità essi non hanno eclissato con i loro sacrileghi assassini! Hanno sacrificato ai demoni i loro figli e le loro figlie, hanno abbandonato le leggi naturali, hanno dimenticato i dolori del parto, hanno calpestato l’educazione dei figli, hanno sconvolto dalle fondamenta le leggi della consanguineità e sono stati peggiori di qualsiasi belva. Infatti, frequentemente le belve sacrificano la vita, posponendo la propria salvezza alla difesa dei loro piccoli: costoro, invece, senza essere spinti da alcuna necessità, hanno sacrificato i figli con le loro proprie mani, per onorare i nemici della nostra vita, i demoni sacrileghi»[42].

L’ebreo errante. Costruzione di un mito dell’antigiudaismo inter-religioso

Ebreo errante, film (1940)

Il Crisostomo è un degno esponente della sua epoca. Egli dev’essere considerato il più sapiente innovatore della retorica antiebraica dei suoi tempi, perché ha saputo elaborare, attualizzare e reinterpretare alcuni contenuti antichi ed esotici, come il sacrificio umano, in funzione di luoghi narrativi (tópoi) – più recenti e di diversa provenienza – particolarmente avvertiti nella sensibilità popolare, come la Passione di Cristo. Si tratta di calunnie ben orchestrate, premeditate e definite in base all’agenda politica del momento – la quale prevedeva, all’epoca, la cristianizzazione radicale della società – diffuse con metodi che non avrebbero niente da invidiare ai populismi contemporanei, se non fosse che le fake news odierne si distinguono per la loro velocità di diffusione, garantita da mezzi di comunicazione che, nel IV secolo, ovviamente non esistevano. Ma a colmare questo gap ideale servivano proprio le predicazioni e le pubbliche invettive, di cui Crisostomo, e altri, erano maestri.

Ciò che è importante sottolineare è come il Crisostomo già disponga, nella sua narratio, di tutti gli elementi ideologici diventati poi tipici dell’antigiudaismo religioso: l’adorazione dei demoni, il deicidio, persino lo stereotipo dell’abbondanza materiale e forse, anche, dell’omicidio rituale[43]. Per la prima volta nella storia, emerge in maniera chiara la volontà di diffondere un disegno preciso, pienamente accettato e condiviso nella cultura dominante (ma rigettato dall’alto clero), che riguarda gli ebrei e, più da vicino, il principio stesso di legittimità dell’esistenza ebraica, in cui le originarie calunnie di empietà, crudeltà e tradimento, mosse da Apione (e prontamente confutate da Giuseppe Flavio), convergono con quella del deicidio. Il risultato finale è il salto di qualità della narrativa antiebraica, che compie un passo significativo nella sua strutturazione ideologica, diventando una forma di proto-propaganda di ispirazione religiosa: le vicende complesse della sua formazione dimostrano, oltre ogni dubbio, l’esistenza una forma di contro-cultura fortemente radicata alla base delle credenze più popolari del mondo cristiano e, più tardi, islamico.

Per la tradizione islamica, fortemente influenzata dal Cristianesimo, non si può propriamente parlare di «deicidio», perché nel Corano si afferma con estrema chiarezza che equiparare Gesù (un profeta) alla divinità è considerato un peccato di empietà verso Dio[44]. Inoltre, sempre secondo il Corano, la morte di Gesù non è avvenuta per mano di uomini: la sua crocifissione non è stata altro che un’illusione, voluta da Allah, per innalzare Gesù al Suo cospetto. Dunque, nel Corano si afferma che gli ebrei non devono essere considerati responsabili dell’assassinio di Gesù: al contrario, se ne sono solamente autoconvinti[45]. Tuttavia, alcuni di loro sono accusati di aver ostacolato, tradito e ucciso i Profeti[46]: è qui che assistiamo a un singolare sincretismo tra credenze cristiane[47] e islamiche che hanno, in comune, la figura dell’ebreo errante. Si tratta di un mito che riguarda, inizialmente, la Passione di Cristo. Secondo la leggenda, molto diffusa nel volgo, un ignoto discepolo di Gesù, colpevole del suo tradimento, sarebbe stato condannato a vagare in eterno per espiare il suo errore e servire da esempio della vera fede[48]. Nel Corano la storia è leggermente diversa, ma la sostanza non cambia: la narrazione si svolge ai tempi di Mosè e del vitello d’oro. In questo caso è Mosè a maledire Samiri, il costruttore dell’idolo[49]. La metafora dell’ebreo errante fa parte, al pari di altre costruzioni ideologiche, di una narrativa volta a consolidare lo stereotipo dell’ebreo della Diaspora, non più come cittadino integrato, ma come ente alienato dalla società, un apolide, status che è diretta conseguenza della colpa primordiale di aver tradito Gesù e i Profeti. Sempre il Corano ci informa, infatti, sul tradimento consumato dagli ebrei di Medina nel 627, i quali scesero a patti con i nemici di Maometto che poi, una volta sconfitti, furono convertiti o sterminati[50].

Quanto sinora accertato consente di affermare che il sistema di proto-propaganda implementato nel IV secolo, a partire dai tempi del Crisostomo e della cristianizzazione della società rappresenta, se non finanche la causa diretta, certamente il bagaglio culturale, linguistico ed emotivo, dal quale presero in seguito forma le idee dei numerosi accusatori del popolo ebraico, tra cui i sostenitori dell’accusa del sangue, menzogna diffusa, a partire dal secolo XII, in grado di giustificare le innumerevoli atrocità compiute a danno delle comunità locali, spesso bersagli di processi sommari, eccidi ed espulsioni[51].

CREDITI: Immagine di copertina Marc Chagall, Sopra Vitebsk (1914). Raffigura il mito dell’ebreo errante


Note

[1] A titolo di esempio, per una descrizione del pantheon romano in età tardo antica, si tenga presente che Alessandro Severo (222-235), un secolo prima di Costantino, aveva fatto disporre, nel suo pantheon privato, accanto alle icone delle altre divinità, le immagini di Abramo, Gesù e Orfeo. Cf. S.H.A., Al. Sev., 22, 4; 28, 7; 29, 2, 3; 45, 6-7.

[2] L’episodio è riportato, con alcune significative differenze, da Lattanzio e da Eusebio di Cesarea. Cf. LATTANZIO, De mortibus persecutorum, 44; EUSEBIO DI CESAREA, Vita di Costantino, I, 28-31.

[3] CASSIO DIONE, Historia romana, LI, 1, 3.

[4] L’analogia tra Augusto e Costantino è stata proposta in P. VEYNE, Quando l’Europa è diventata cristiana, p. 87.

[5] Ivi, pp. 89-102. Cf. anche C. MORESCHINI, Monoteismo cristiano e monoteismo platonico nella cultura latina dell’età imperiale, in Platonismus und Christentum. Festschrift für Heinrich Dörrie, Münster 1983, pp. 133-161.

[6] P. VEYNE, Quando l’Europa è diventata cristiana, pp. 86-87, 127.

[7] Ivi, p. 86.

[8] Vita di Costantino, IV, 61, 2.

[9] L. CRACCO RUGINI, Vettio Agorio Pretestato e la fondazione sacra di Costantinopoli, in Philias Charin, miscellanea in onore di Eugenio Manni, Roma 1979, pp. 595-610; E. FOLLIERI, La fondazione di Costantinopoli: riti pagani e cristiani, in Roma, Costantinopoli, Mosca, Napoli 1983, pp. 217-231; M. GALLINA, Bisanzio. Storia di un impero (secoli IV-XIII), Vignate 2015, pp. 21-23; E. LA ROCCA, La fondazione di Costantinopoli, Macerata 1993.

[10] Cf. P. DELOGU, Il passaggio dall’antichità al medioevo, in Roma medievale, A. VAUCHEZ (a cura di), Bari 2001, pp. 3-40; A. SCHIAVONE, Il mondo tardoantico, in Storia medievale, Roma 2011, pp. 43-64.

[11] M. GOODMAN, Storia dell’Ebraismo, cit. p. 217.

[12] Codex Theodosianus XV, 12, 1.

[13] Ivi, XVI, 8, 1.

[14] Fino alla riforma del messale romano, avvenuta nel 1962, rimase in vigore una preghiera, probabilmente tratta dall’opera Sulla Pasqua di Melitone di Sardi (cf. https://www.ethicasocietas.it/antigiudaismo-antisemitismo-jacoporeale-3/), che così recitava: «Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum. Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur».

[15] Al primo concilio ecumenico della cristianità, svoltosi tra maggio e giugno del 325, parteciparono da 220 a 318 vescovi. Costantino presenziò autodefinendosi il «vescovo di quelli di fuori», ovvero di coloro che non facevano parte nella Chiesa, dando prova pubblicamente della sua non ancora completa conversione. Cf. T.D. BARNES, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA) 1981, p.  270; P. VEYNE, Quando l’Europa è diventata cristiana, pp. 93-95.

[16] E. DASSMANN, Konstantinische Wende und spätantike Reichskirche, in Kirchengeschichte, II, 1, Stuttgard 1996.

[17] Codex Theodosianus XVI, 1, 2. Per l’attuazione pratica dell’editto occorrerà aspettare l’emanazione dei decreti teodosiani (391-392), cf. H. LEPPIN, Teodosio il Grande, Roma 2008, pp. 206-221.

[18] A tal proposito, Guy Stroumsa ha provocatoriamente affermato in un suo saggio che è stato con «armi ebraiche» che il Cristianesimo ha conquistato l’Impero Romano. G. STROUMSA, La fine del sacrificio. Le mutazioni religiose della tarda antichità, Torino 2006, cit. p. 17.

[19] E. DASSMANN, Theologie und innerkirchliches Leben bis zum Ausgang der Spätantike, in Kirchengeschichte, II, 2, Stuttgard 1999; P. VEYNE, Quando l’Europa è diventata cristiana, pp. 133-134.

[20] D. BOYARIN, Il vangelo ebraico, p. 32.

[21] La legge di Costantino risolveva anche l’annosa diatriba sulla questione del calcolo della data della Pasqua, che aveva avuto origine nel II secolo, cf. Storia ecclesiastica, IV, 22, 3. Su Costantino e la separazione delle Pasque, giustificata con l’accusa di deicidio, cf. https://www.ethicasocietas.it/antigiudaismo-antisemitismo-jacoporeale-3/, n. 40.

[22] La riprova è data dalla diffusione, in età antica e tardo antica, dei cosiddetti vangeli giudeo-cristiani che includono: il vangelo degli ebioniti, il vangelo degli Ebrei e il vangelo dei nazareni. Cf. EUSEBIO DI CESAREA, Historia Ecclesiastica, 3, 39, 16 che cita Papia di Ierapoli, vescovo dell’omonima città intorno all’anno 130; PAPIA DI HIERAPOLIS, Esposizione degli oracoli del signore. I frammenti, E. NORELLI (a cura di), Roma 2005, p. 509. Vedi anche GIROLAMO, Adversus Pelagianos, 3, 2.

[23] Cf. EPIFANIO, Panarion adversus omnes haereses, 1, 18-19, che mette a confronto nazareni ed esseni e afferma che costoro consideravano sacrilego mangiare carne e adottare i costumi istituiti dai padri (maestri): ritornano qui alcuni temi, già in parte affrontati, riguardo la polemica anti-idolotita e la questione della legittimità delle innovazioni farisaiche (cf. https://www.ethicasocietas.it/antigiudaismo-antisemitismo-jacoporeale-2/). Vedi anche P.F. ESLER, The Early Christian World, New York 2017, pp. 157-158.

[24] Girolamo (347-420), santo e dottore della Chiesa, attesta che, ai suoi tempi, esistevano delle sette i cui adepti credevano «in Cristo, Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria» che affermavano che costui aveva «patito sotto Ponzio Pilato» e che poi era «risuscitato, proprio come crediamo anche noi» macché, tuttavia, «mentre vogliono essere giudei e cristiani allo stesso tempo, non sono né giudei né cristiani». Cf. JEROME, Correspondence, I. HILBERG (a cura di), Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Vienna 1996, pp. 55; 381-382; A. I. BAUMGARTEN, Literary Evidence for Jewish Christianity in the Galilee, in The Galilee in Late Antiquity, L. I. LEVINE (a cura di), New York 1992, pp. 39-50; D. BOYARIN, Il vangelo ebraico, pp. 35-37.

[25] M. GALLINA, Bisanzio, pp. 26-43.

[26] J. MAIER, Storia del giudaismo nell’antichità, p. 151.

[27] G. FILORAMO, C. GIANNOTTO, Verus Israel, Brescia 2001.

[28] Le fonti primarie, i trattati rabbinici, che hanno come oggetto la controversia sulla minut e, in particolare, il Cristianesimo sono, tra le altre: Tosefta Hullin 2,19-24; TB, Avodah Zarah 17a; Shabbat 104b; 116a; Sanhedrin 67a; Gittin 56b,57a; Eruvin 21b. Questi testi sono stati redatti dal II secolo in poi (ev). Cf. A. SCHREMER, MidrashTheology, and History: Two Powers in Heaven Revisited, in “JSJ” (39) 2008, pp. 252-254; Y. FURSTENBERG, The Midrash of Jesus and the Bavli’s Counter-Gospel, in “JSQ” (22) 2015, pp. 303-324.

[29] CRISOSTOMO, Omelie contro gli ebrei, IV, 6. Sulla terza rivolta giudaica cf. CASSIO DIONE, Historia romana, LXIX, 13, 3-14.

[30] L’Anticristo. I. Il nemico dei tempi finali, G. POTESTÀ M. RIZZI (a cura di), Milano 2005; A. D’ANNA, L’ultimo nemico di Dio. Il ruolo dell’anticristo nel cristianesimo antico e tardoantico, Bologna 2013.

[31] A.M. MALINGREY, La controverse antijudaïque dans l’œuvre de Jean Chrysostome d’après les discours Adversus Judaeos, in De l’antijudaïsme antique à l’antisémitisme contemporain, P. CAZIER, V. NIKIPROWETZKY, (a cura di), Presses universitaires de Lille, Lille 1979, pp. 87-104; A. MONACI, Ridefinire il confine. Ebrei, cristiani e giudaizzanti nell’Adversus Iudaeos di Giovanni Crisostomo, in «Annali di Storia dell’Esegesi», 14, (1997), pp. 70-95; G. SCIMÈ, Edificare la comunità: Cristiani, Giudaizzanti e Giudei nell’Adversus Iudaeos di Giovanni Crisostomo, in «Rivista di teologia dell’evangelizzazione», 5/10, (2001), pp. 371-388; P. VEYNE, Quando l’Europa è diventata cristiana (312-394). Costantino, la conversione, l’impero, Garzanti, Milano 2008, pp. 130-134; R.L. WILKEN, John Chrysostom and the Jews: Rhetoric and Reality in the Late 4th Century, Wipf & Stock Publishers, Berkeley 1983.

[32] CRISOSTOMO, Omelie contro gli ebrei, cit. I, 1. Più avanti, il Crisostomo spiega: «So che molti rispettano i Giudei e pensano che i loro riti odierni sono degni di stima; per questo sono incitato a cercare di sradicare completamente tale dannosa opinione». Ivi, cit. I, 3.

[33] Ivi, cit. I, 4.

[34] H. LEPPIN, Teodosio il Grande, p. 218; D. LIBERANOME, Gli ebrei al tempo di Teodosio e il ruolo della Chiesa di Roma, in «La Rassegna mensile di Israel», 64/3, (1998), pp. 29-30; R.L., WILKEN, The Jews and Christian Apologetic after Theodosius I Cunctos Populos, in «Harvard Theological review», 73, (1980), pp. 451-471. Sulla sommossa del 509 cf. CASSIODORO, Variae, 5, 37, 1-2, discorso di re Teodorico al senato della città di Roma, anno 509-511.

[35] Nelle epistole ai vescovi, il pontefice aveva condannato l’uso della forza e delle invettive, ribadendo il principio secondo cui la conversione doveva essere spontanea e avvenire tramite esortazioni fraterne. Epistolarium I, 45; XIII, 13. Cf. anche SIMONSOHN, S., The Apostolic See and the Jews, Documents: 492-1404, n. 19. Su Gregorio magno e gli ebrei vedi anche BOESCH GAJANO, B., Gregorio Magno. Alle origini del Medioevo, Viella, Roma 2011, pp. 129-133.

[36] Sulle modalità di conversione degli ebrei cf. AGOSTINO, Trattato contro i giudei, 9-10. Su questo tema anche SIMONSOHN, S., The Apostolic See and the Jews. History, pp. 4-6; VOGELSTEIN, H., RIEGER, P., Geschichte der Juden in Rom, I, pp. 117-131.

[37] Gregorio magno aveva agito in conformità con quanto affermato nel Codice teodosiano, dove si dichiarava, nonostante le restrizioni, che «la setta degli ebrei non è proibita da nessuna legge» e che le riunioni delle congregazioni ebraiche non potevano essere impedite. Cod. Th., cit. XVI, 8, 9. Cf. anche ivi, III, 7, 2; 9, 7, 5; XVI, 8, 1, 6-7, 26. J. MAIER, Storia del giudaismo nell’antichità, p. 170; S. MAZZARINO, L’«èra costantiniana» e la «prospettiva storica» di Gregorio Magno, in Passaggio dal mondo antico al medio evo. Da Teodosio a San Gregorio Magno. Atti del Convegno Internazionale, Roma 25-28 maggio 1972, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1980, pp. 9-28.

[38] Cf. NEMO-PEKELMAN, C., 418. Le funzioni militari e amministrative interdette agli Ebrei, in Storia mondiale degli ebrei, pp. 104-108. Si tratta di misure poi entrate a far parte del patrimonio giuridico occidentale e orientale, cf. Codex Theodosianum, VI, 8, 6; 3, 7, 2; IX, 7, 5 (interdizione sui matrimoni misti, ma un’ebrea poteva sposare un cristiano); XVI. 8, 12-29 (confisca dei beni immobili, esclusione dalla proprietà della terra, delle cariche pubbliche, dall’avvocatura e dal servizio militare), a cui si aggiungono la chiusura del Patriarcato, la destituzione dell’antico Sinedrio da parte di Teodosio II (nell’anno 429) e la reintroduzione del fiscus iudaicus. Cf. MAIER, J., Storia del giudaismo nell’antichità, pp. 169-170; per una panoramica sullo status giuridico e sociale degli ebrei nell’impero, in età antica e tardo antica, vedi anche DE BONFILS, G., Roma e gli ebrei (secoli I-V), Cacucci editore, Bari 2002; Id., Gli ebrei dell’impero di Roma, Cacucci editore, Bari 2005; RUTGERS, L.V., The Jews in Late Ancient Rome. Evidence of Cultural Interaction in the Roman Diaspora, Brill, Leiden-N. York-Colonia 1995.

[39] Omelie contro gli ebrei, I, 2.

[40] Ibidem.

[41] Lv 18,21.

[42] Omelie contro gli ebrei, I, 6.

[43] Su questo argomento, su cui si tornerà nei seguenti articoli in maniera specifica, cf. T. CALIÒ, La leggenda dell’ebreo assassino. Percorsi di un racconto antiebraico dal medioevo a oggi, Roma 2007, in part. pp. 83-115.

[44] Corano, Surat Al-Mâida (005), 72.

[45] Ivi, Surat An-Nisâ (004), 155-157.

[46] Ivi, Sura Al-Jumu’a (062), 5-8.

[47] Cf. 1Ts, 2,15: «[I giudei] hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i profeti e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini».

[48] Il passo da cui ha avuto origine questa leggenda è Gv 21, 20-24. Tra gli studi, cf. W.H. AUDEN, Lezioni su Shakespeare, Milano 2006, p. 393; C. LÉVI-STRAUSS, Il crudo e il cotto, Milano 1966, p. 243; M. MASSENZIO, La Passione secondo l’Ebreo errante, Macerata 2007, pp. 33-65.

[49] Corano, Sura Ta-Hâ (020), 85-97.

[50] Ivi, Sura Al-Ahzâb (033).

[51] Ricostruisce concisamente la relazione tra questi fatti, sui quali si tonerà in seguito, A. FOA, Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all’emancipazione, Roma-Bari 1997, pp. 16-24.

 

CREDITI: immagine di primo piano ripresa dalle illustrazioni delle Cronache di Norimberga di Hartmann Schedel, scritta in lingua latina nel 1493.

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