ETHICA SOCIETAS-Rivista di scienze umane e sociali
Angelo Ventura NOTIZIE Sociologia e Scienze Sociali

BIOETICA, SPORT E FILOSOFIA DELLA MENTE SPORTIVA, IL CONFLITTO TRA MENTE E CORPO DELL’ATLETA, Angelo Ventura

La complessa relazione tra mente e corpo ed emozioni che causano l’uso delle sostanze dopanti nello sport

Angelo Ventura

Abstract: La relazione tra mente e corpo che causano l’uso abuso di sostanze dopanti nello sport, non è solo un pericolo per la salute ma anche un grave atto immorale. In un ottica di filosofia della mente, attraverso l’etica dello sport si analizzano i valori dal punto di vista delle neuroscienze.

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Introduzione: che relazione c’è fra mente e corpo?

Le nostre azioni sono molto diverse. Alcune sono esterne, altre interne. Certe attività possono predominare su altre (una persona può essere molto dominata dalla sua parte sensitiva), oppure possono favorire tensioni o influire su altri atti, creando una sinergia che rende conto del dinamismo umano. Quindi l’uomo va visto, certamente, come uno, ma insieme come l’unità complessa. Si comprende la necessità di parlare di potenze, di moduli o di livelli psichici. Secondo San Tommaso, abbiamo due intelligenze[1]; Secondo Gardner, le nostre intelligenze sarebbero sette[2]; nella tradizione cristiana si parla dell’uomo vecchio che lotta contro l’uomo nuovo. Ciascuno di quegli elementi possiede una sua autonomia e presenta le sue esigenze (esigenze dei sensi, dei sentimenti, della ragione).

L’etica riveste oggi grande importanza nello studio dello sport come pratica sociale e umana legata al corpo della donna e dell’uomo moderno. L’etica dello sport presenta diverse prospettive che possono essere sociali, filosofiche, pedagogiche, mediche. Per quanto riguarda la scienza medica contemporanea, l’etica dello sport si presenta come un crocevia di problemi che la medicina, intesa come sapere che si configura come un sistema integrato di conoscenze teoriche pratiche di tipo bio-umanistico rivolte alla cura e alla protezione delle persone, studia in modo integrale; vale a dire attraverso una visione non-riduzionista, frammentata o parziale dei fenomeni.

Di tutte le questioni che più preoccupano coloro che riflettono criticamente sull’etica sportiva nella prospettiva medica, la questione principale è senza dubbio quella del doping. L’analisi etica intorno a tale problema, rispetto anche alle sostanze ed ai metodi di miglioramento delle prestazioni, ad esempio, rivela che esistono differenti posizioni.

Di solito gli studiosi che animano questo dibattito si raggruppano in due schieramenti opposti: da un lato i sostenitori delle politiche di tolleranza “zero” rispetto al fenomeno; vale a dire, quelli che sostengono la condanna e l’eliminazione di ogni forma di doping. Dall’altra, ci sono invece gli autori a favore della revoca del divieto contro il doping, che, in molti casi, diventano fautori di un atteggiamento pericoloso, che lascia intendere che “tutto va bene” nello sport pur di raggiungere prestazioni più elevate e rendere migliore lo spettacolo.

Tuttavia, in questo dibattito, gli stessi specialisti sembrano accettare il fatto che nessuno degli argomenti a favore o contro il doping è determinante in sé stesso. Sembra che tutti dicano qualcosa di importante o, per meglio dire, indichino un argomento (o dare consistenza ad una posizione) a favore o contro il doping.

Questo accade forse perché il compito principale di ciò che noi chiamiamo “etica dello sport” ci sembra non fornire risposte definitive sulle questioni controverse che ci si presentano, ma, piuttosto, spiegazioni per meglio comprendere ciò che è complesso all’interno di esse. Tuttavia, questo non dovrebbe essere visto come un difetto della riflessione etica in sé, che usiamo, le forze e gli elementi che vi sono alla base, possiamo essere in grado di prendere misure realistiche ed efficaci per risolvere questi problemi.

Corpo, Sport e Neuroetica (la spiegazione dell’azione)

Quando un atleta decide di usare sostanze dopanti per migliorare le prestazioni sportive potrebbe esserci una un problema tra mente e corpo.

Le riflessioni sulla frammentazione dell’io, e molte altre simili (a partire sindromi dissociative dell’identità)[³], possono avere un impatto immediato sulla nostra idea di soggetto morale, responsabilità, libero arbitrio; e hanno influenza indiretta a livello comportamentale o decisionale in materia di educazione prevenzione e repressione di un atteggiamento sbagliato e così via. È quindi facile comprendere come, questa sfida neurofilosofica possa giungere fino alla proposta di una naturalizzazione dell’etica su base neurobiologica. Una chiara illustrazione di questo progetto appare nel volume The ethical brain del neuroscienziato Michael Gazzaniga ³. Gazzaniga definisce la neuroetica come “l’analisi del modo in cui vogliamo porci verso le questioni sociali della malattia, della mortalità, dello stile di vita e della filosofia della vita, arricchiti dalla conoscenza dei meccanismi cerebrali che ne sono a monte”. O meglio, nell’originale: informed by our understanding of underlying brain mechanism (Gazzaniga, 2005, p. xv tr. It e p. xv ed. ingl.). Qui si può notare, l’ambiguità di espressioni come “informed by” e “underlying”. In linea di principio un corpus di conoscenze può essere arricchito da informazioni provenienti da altri campi del sapere, senza divenire per ciò stesso un sapere inferiore o meno fondamentale. Tuttavia, dire che le nuove conoscenze riguardano processi che sottostanno (o stanno a monte) dei fenomeni che ci interessa comprendere introduce per metafora l’idea di dipendenza. Una freccia casuale è suggerita senza un’adeguata discussione. E non a caso Gazzaniga chiarisce il suo pensiero affidando alla neuroetica lo scopo di pervenire a “una filosofia della vita fondata sul cervello” (a brain-based philosophy of life, ibid.). Qui il metaforico “underlying” è sostituito da un più impegnativo, ma ancora ambiguo “brain-based”.

Quando si usano le sostanze dopanti, prima di usarle avviene una relazione tra mente e cervello. La nostra domanda è qual è la relazione che causa a un determinato atleta a voler arrivare lo Human Enhancement? Può essere solo una forma di narcisismo oppure il voler vincere le competizioni sportive in maniera più facilitata?

Neuroscienze e Filosofia dello sport

Al giorno d’oggi i progressi tecnici fanno prospettare la possibilità che l’analisi non invasiva dell’attività cerebrale consenta di prevedere con certezza la scelta di un soggetto (o determinato atleta) si appresta a compiere prima che egli avverta di aver raggiunto una decisione. Ciò fornirebbe la dimostrazione definitiva che la mente non ha efficacia causale, con le conseguenze catastrofiche per la concezione generale dei rapporti umani e per i fondamenti dei codici etici e giuridici. Verrebbe infatti meno la distinzione di principio fra azioni attribuibili all’esercizio della libera volontà e azioni di cui il soggetto non è considerato responsabile perché compiute sotto coercizione, o quando si presume che il controllo della volontà sul cervello sia scemato dall’azione dei farmaci dopanti. Se è vero che non si è ancora arrivati a questo punto, è altrettanto vero che ormai le immagini cerebrali hanno dimostrato di poter rilevare con una approssimazione da buona a ottime motivazioni inconsce[3].

Da quanto detto, l’idea dell’intervento di agenti mentali nell’azione umana potrebbe ancora trovare sostegno se il comportamento di una persona non potesse mai essere completamente prevedibile in base alla sola conoscenza, anche la più completa, delle attività cerebrali antecedenti al comportamento stesso. Se la conoscenza dello stato cerebrale antecedente permetta di predire totalmente o solo parzialmente l’azione umana è una domanda empirica alla quale per ora non si può rispondere, ma che presumibilmente troverà una risposta sperimentale in un futuro non troppo lontano. Una prevedibilità limitata potrebbe dipendere dell’effettivo controllo di alcuni aspetti del funzionamento nervoso da parte di fattori puramente mentali, ma i presunti meccanismi di tale controllo appaiono al momento completamente al di fuori delle possibilità di indagine sperimentale. Come diceva il grande neurofisiologo inglese Adrian⁴, che pure era un dualista cartesiano, un pensiero non è qualcosa che possa di per sé depolarizzare la membrana di un neurone. Per un altro grande neuroscienziato, Roger Sperry, che pur avendo una visione monistica dei rapporti fra mente e cervello ha sempre sostenuto l’intervento di cause mentali nel funzionamento cerebrale, le forze che consentono tale intervento sono di natura fisica ancora sconosciute.

I tentativi puramente teorici di conciliare con le leggi della fisica una eventuale imprevedibilità del comportamento in base ai soli dati cerebrali chiamano in causa la meccanica quantistica e i sistemi complessi di tipo caotico. La meccanica quantistica insegna che al livello subatomico la prevedibilità del comportamento di ciascuna particella è solo probabilistica poiché non si può conoscerne allo stesso tempo la posizione e il momento. Se anche le cellule e le sinapsi nervose fossero soggette alle leggi della meccanica quantistica, il sistema nervoso funzionerebbe almeno in parte in modo indeterministico, e quindi la conoscenza del suo funzionamento potrebbe essere solo probabilistica, con la conseguenza di una irriducibile imprevedibilità degli effetti comportamentali.

Neuroscienze e Filosofia dello sport

La neuroetica è la scienza che analizza le implicazioni etiche, legali e sociali dei risultati delle neuroscienze, oltre che gli aspetti etici delle sperimentazioni sul sistema nervoso. Dal punto di vista etico-filosofico, le neuroscienze forniscono sempre nuovi dati che mettono in discussione i concetti tradizionali della persona e dei rapporti interpersonali. La possibilità reale che le tecniche delle immagini cerebrali consentano letteralmente all’esaminatore di “leggere nel pensiero” dell’esaminato e di conoscerne aspetti reconditi della personalità e dell’assetto psicologico può costituire una invasione della sfera privata con conseguenze pratiche eticamente questionabili[⁵].

Sarebbe giusto restringere l’habeas corpus di una persona semplicemente perché un esame cerebrale eseguito per motivi medici o sperimentali ne mette casualmente in evidenza una simpatia per azioni terroristiche o una tendenza aggressiva, del tutto implicita, verso altre persone? Nelle competizioni sportive il doping è vietato perché si ritiene etico che la prestazione dell’atleta dipenda solo dalle sue naturali doti psicofisiche e dal suo allenamento.

Queste domande, e molte altre ancora, sono le domande che la neuroetica sta cominciando ad esplorare e che sicuramente saranno al centro di sempre crescente interesse nel prossimo futuro.

Riflessione morale e conflitto delle emozioni, tra ragione ed emozione

Quando si usano le sostanze dopanti nello sport avviene sempre un problema mente-corpo, e questo problema causa un conflitto delle emozioni che può contribuire a spingere l’atleta a fare uso di queste determinate sostanze per migliorare le sue prestazioni agonistiche, e anche migliorare a livello estetico. In questa parte analizzeremo questo contrasto tra mente e corpo secondo il pensiero di Platone.

Allo studio del problema mente-corpo è oggi dedicato un intero settore della filosofia: la filosofia della mente. La filosofia della mente, in verità, non si occupa solo del problema mente-corpo ma questo è forse quello più importante.

Uno dei contributi fondamentali che le neuroscienze hanno apportato allo studio del giudizio morale è stato il riconoscimento del ruolo fondamentale delle emozioni nel ragionamento morale. Antonio Damasio è stato uno dei principali esponenti della tesi che le emozioni sono un aspetto fondamentale dell’agire morale in quanto ci “guidano” e ci aiutano ad orientarci verso quella che dovrebbe essere la decisione (Damasio, 1994).

Con Damasio abbiamo, quindi, l’abbattimento di quella barriera tra ragione ed emozioni, che ha contribuito al superamento del modello razionalista e cognitivo cha a lungo ha caratterizzato lo studio dello sviluppo morale dell’individuo.

Il modello razionalista

Per molto tempo la ricerca sul giudizio morale è stata dominata dal modello razionalista che attribuisce un ruolo fondamentale alla ragione nella formulazione del giudizio morale e che vede i suoi massimi esponenti nelle figure di Jean Piaget e Lawrence Kohlberg. Entrambi hanno sostenuto che i giudizi morali sono tramandati dalla società, perfezionati grazie all’esperienza e basati sulla capacità di ragionare sui dilemmi morali, giungendo a un giudizio che è basato su principi che sono chiaramente definiti. E’ chiaro come il modello razionalista abbia seguito, in particolare, la prospettiva kantiana nella quale il ragionamento si assume l’onere del giudizio morale.

Piaget (1932) sottolineò come l’interazione con i pari contribuisca allo sviluppo del ragionamento morale. In particolare, l’interazione nei giochi di ruolo e, in generale, in tutti quei giochi governati da delle regole, costituisce un contesto in cui lo sviluppo cognitivo e quello sociale si influenzano a vicenda. Infatti, Piaget ipotizza che l’utilizzo di queste regole, oltre a mettere in luce le operazioni logiche che vengono attuate nella sfera sociale, costituisce un modello per lo sviluppo della moralità. Uno dei metodi utilizzati da Piaget per studiare lo sviluppo morale era quello di porre alcuni dilemmi e di esaminare le risposte. Questa metodologia venne utilizzata anche da Kohlberg (1969-1981) il quale, partendo dalla teoria piagetiana, propone ai suoi soggetti dei dilemmi morali nei quali il protagonista può prendere diverse decisioni (nel nostro caso il dilemma del doping). Questi dilemmi non sono proposti ipotizzando vi sia una decisione corretta, ma piuttosto per invitare i soggetti a dare delle argomentazioni diverse a favore o contro la necessità di compiere una data azione.

Kohlberg, collocandosi nella classica tradizione kantiana, propone una spiegazione del giudizio morale che si basa sul ruolo fondamentale della ragione. Il ragionamento morale, infatti, si focalizza sui giudizi normativi prescrivendo ciò che è obbligatorio o giusto fare. I giudizi morali prescrivono ciò che si dovrebbe fare nelle situazioni in cui le proprie richieste o quelle di più persone sono in conflitto tra di loro. Nella visione kohlberghiana, i processi di ragionamento generano il ragionamento morale dal quale consegue il giudizio morale. In quest’ottica, le emozioni morali non sono la causa diretta dei giudizi morali; le emozioni possono contribuire alla definizione del contesto morale, ma è solo la ragione che poi contribuisce alla formulazione della decisione del giudizio morale. L’idea generale è, quindi, che i nostri giudizi morali siano il prodotto di una decisione conscia mediante la quale gli individui muovono direttamente da un ragionamento cosciente ad un verdetto morale.

Il modello socio-intuizionista

Come si è visto, una delle problematiche più importante che interessa non solo lo sport ma anche il dibattito filosofico, riguarda il ruolo che le amozioni rivestono nella presa di una decisione. Alcuni recenti lavori in psicologia hanno evidenziato come il giudizio morale sia in larga parte basato su giudizi intuitivi (Damasio, 1994; Haidt, 2001). Anche in questo caso le radici sono antiche dato che già Hume (1739-1740) riteneva che le nostre intuizioni morali dipendessero principalmente dalle emozioni o, per usare un termine di Hume, dalle nostre passioni. I giudizi morali sono quindi frutto di una intuizione immediata che ha più a che fare con le emozioni che non con la ragione e attribuire a quest’ultima un ruolo preponderante nella formulazione del giudizio morale costituirebbe un errore, lo stesso errore che, secondo Damasio, avrebbe commesso Cartesio nel separare la res cogitans dalla res extensa cioè la ragione delle emozioni.

I risultati di Damasio hanno portato molti studiosi a ritenere che il comportamento morale e il giudizio morale dipendano fortemente dalle capacità emotive e dai giudizi intuitivi delle persone. Uno degli approcci più significativi che sposa questa corrente di pensiero è quello proposto da Jonathan Haidt ed è conosciuto come modello socio-intuizionista. Haidt (2001-2007) ritiene che a fare la maggior parte del lavoro nella formulazione dei giudizi morali siano le capacità emotive delle persone, capacità che comprendono le emozioni (effect) e i giudizi intuitivi. Alla ragione spetta solo un ruolo a posteriori, cioè quello di fornire delle giustificazioni ai giudizi morali dopo che questi sono stati formulati a partire dalla “spinta” emotiva della situazione che li ha prodotti. In risposta ad una situazione che le persone considerano moralmente rilevante c’è quella che Haidt chiama intuizione morale la quale appare spontaneamente e velocemente alla coscienza. Questa intuizione nella maggior parte dei casi non è consapevole e non è basata su nessuna forma di ragionamento, come sostiene invece Kohlberg, ma è frutto delle reazioni emotive come, ad esempio, la rabbia e il disgusto.

Talvolta il processo che porta alla formulazione del giudizio morale si ferma a questo punto ma spesso alle persone è richiesto – da altri oppure da sé stessi – di giustificare la propria decisione e il proprio giudizio. È a questo punto che corre in aiuto la ragione attraverso la quale si cerca di fornire una spiegazione cosciente del proprio giudizio e/o delle proprie decisioni. Questo è il ruolo a posteriori della ragione cosciente, cioè quello di fornire supporto all’intuizione morale.

Nuovi studi di neuro immagine riguardo il giudizio morale

Sono stati realizzati nuovi studi riguardo le tecniche di imaging che hanno cercato di analizzare il ruolo che la razionalità e le emozioni svolgono in quei particolari contesti come anche quello sportivo in cui le decisioni tra varie alternative possono essere fonte di conflitto morale. L’indagine sui giudizi morali risultanti da dilemmi o da situazioni che si possono qualificare come conflitti fra due obblighi è una metodologia molto usata nella psicologia sperimentale. Uno dei dilemmi più conosciuti e più usati negli studi sul giudizio morale è il dilemma del trolley, proposto originariamente da Philippa Foot per rendere conto della distinzione tra uccidere e lasciar morire (Foot, 1967), nel caso del nostro lavoro, usare sostanze dopanti mettendo in pericolo la propria salute pur di ottenere ingiusti vantaggi oppure non usarli sapendo che altri avversari li usano e ritrovarsi in una situazione di svantaggio durante la competizione, però con i benefici dell’atleta natural.

Il problema del trolley è stato presentato in moltissime varianti utilizzando diverse metodologie sperimentali al punto che, come sostiene Laura Boella (2011), oggi possiamo parlare, non senza una certa dose di ironia, di una vera e propria “trolleylogia”.

Uno dei pionieri della ricerca in questo campo può essere considerato Joshua Greene. A lui e ai suoi esperimenti con risonanza magnetica funzionale (fMRI) va riconosciuto il merito di aver analizzato, forse per la prima volta, la filosofia morale da una prospettiva diversa, cioè la prospettiva del cervello (Greene, Sommerville, Nystrom, Darley e Cohen, 2001; Greene, Nystrom, Engell, Darley e Cohen, 2004). La considerazione di partenza di Greene e collaboratori è che nell’ambito dei giudizi morali vi sia qualcosa di più del solo ragionamento deliberato. Utilizzando la risonanza magnetica Greene e collaboratori (2001) somministrano ai partecipanti all’esperimento una serie di dilemmi morali allo scopo di osservare l’attivazione di specifiche aree cerebrali che contribuiscono alla formulazione del giudizio morale. Come abbiamo detto in precedenza, uno dei classici dilemmi utilizzato dagli sperimentatori è il dilemma del trolley (Foot, 1967; Thomson, 1986): “Una locomotiva senza controllo si sta dirigendo verso cinque operai che stanno lavorando sui binari. Il percorso dei binari presenta una deviazione a sinistra dove si può indirizzare la locomotiva. Tuttavia, sul tracciato di sinistra si trova in altro operaio. E’ appropriato azionare lo scambio in modo da deviare la locomotiva sul binario secondario e salvare così i cinque operai uccidendone solo un altro?”. Alla domanda se sia moralmente accettabile azionare lo scambio in modo che la locomotiva uccida un solo operaio invece di cinque, la maggior parte delle persone risponde immediatamente di sì.

Conclusioni

La ricerca sul giudizio morale, anche grazie all’apporto delle neuroscienze, ci sta dimostrando che, siamo lungi dal dimostrare che noi siamo il nostro cervello.

L’importanza dei valori e del loro cambiamento nella vita di un atleta: È indubbio che la ricerca psicologica/sociologica, abbia dimostrato un impegno costante verso la comprensione dei processi psicologici e educativi che possono ridurre o prevenire il problema del doping. In anni recentissimi, istituzioni come la “World Anti Doping Agency” (WADA), pur facendo tesoro degli sviluppi scientifici sul tema doping, sollecitano tuttavia la comunità a concentrarsi su “value-based education” per promuovere lo “Sport Pulito” (Clean Sport), ossia programmi educativi che, rivolgendosi ai sistemi di valori adottati dagli atleti, possono permettere di estendere e consolidare la cultura dello Sport Pulito. La domanda, anche scientifica che sembra emergere riguarda, tuttavia, il ruolo effettivo che questi valori universalmente riconosciuti hanno nelle dinamiche personali dell’esperienza sportiva e psicologica degli atleti e, più specificamente, nelle scelte e nelle decisioni che gli atleti fanno nella loro quotidianità a fronte delle situazioni o sfide sportive che potrebbero incontrare. Esiste in un certo senso la possibilità che gli atleti, pur sostenendo valori universalmente riconosciuti, possano incontrare situazioni o sfide sportive che minacciano o mettono in discussione il reale contributo di questi valori nelle scelte che l’atleta prende in considerazione per risolvere la situazione contingente con la quale si deve confrontare.

Gli studi, che sono stati descritti hanno un riscontro in una letteratura scientifica abbastanza recente che, pur accettando la prospettiva che il sistema di valori individuale possa rappresentare un insieme di principi guida che motivano l’azione attraverso la formulazione di particolari obbiettivi (i.e., goals), pone l’accento sull’ipotesi che i valori che contano sono quelli che acquisiscono la priorità su altri possibili valori e che queste priorità sono vincolate al senso e al significato che l’atleta assegna alle particolari contingenze sportive o personali che si trova ad affrontare (Lee, & Trail, 2011; Mazanov, Huybers, & Connor, 2012). Esistono quindi differenze nelle priorità dei valori, che possono differenziare gli atleti, così come scaturire dalle diverse situazioni o contingenze sportive che gli atleti si trovano ad affrontare (Hauw, 2013; Petroczi, 2013). In maniera simile, esiste poi la possibilità che, nell’arco della carriera sportiva di un atleta, cambi il rapporto tra valori adottati e lo standard morale che questi rappresentano psicologicamente (Christiansen, 2010; Overbye, Knudsen, & Pfster, 2013).

Per concludere, una cosa molto importante da ricordare: tutto coloro che si occupano e vivono lo sport è continuare a promuovere i valori etici, perché, come anche negli altri campi, anche lo sport è dipendente dall’etica, e proprio questa disciplina che aiuta a contrastare tutti quei comportamenti moralmente discutibili come l’uso/abuso delle sostanze dopanti.


NOTE:

[1] Intelletto agente e intelletto paziente: cfr. S. Th., I, q. 79, aa. 2 e 3.

[2] Cfr. H. Gardner, Frames of Mind. The Theory of Multiple Intelligences, Basic Books, New York 1983.

[3] M. S. Farah, Neuroethies: the practical and philosophical, in “Trends in Cognitive Science”, 9/2005, pp. 34-40.

[4] E. D. Adrian, Consciousness, in Semaine d’Etude sur Cerveau et Experience Consciente, op. Cit., pp. 349-361.

BIBLIOGRAFIA:

Andrea Manfrinati, il conflitto morale nella prospettiva delle neuroscienze. Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione, Università di Padova, 2011. Pp. 3-7 e 10.

Emanuele Isidori, Bruno Di Pietro, Fabio Pigozzi. La cultura dell’antidoping tra comunicazione e formazione, CEFAR-NADO Italia, 2022.

Juan Josè Sanguineti, Filosofia della mente. Una prospettiva antropologica. Pubblicato in Edusc, Roma 2007. Pp. 2 e 5.

Fabio Pigozzi, “Etica, sport e doping oggi”. Rivista URBE et IUS, Buenos Aires, Numero 13, inverno 2014. Pp. 83-84.

Giovanni Berlucchi, Neuroscienze e Filosofia. Università di Verona. Pp. 111-114.

Michele Di Francesco, Neurofilosofia, naturalismo e statuto dei giudizi morali. Etica & Politica/Ethics & Politics, IX, 2007, 2, pp. 131-132.


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