ETHICA SOCIETAS-Rivista di scienze umane e sociali
Lucrezia Fioretti NOTIZIE Scienze Politiche

IL CAOTICO LIBANO E LA CONVIVENZA CON I PEACEKEEPING, Lucrezia Fioretti

Il caotico Libano e la convivenza con i peacekeeping

di Lucrezia Fioretti

Abstract: Le storie di sofferenza umana e guerre ci tengono sempre attaccati a televisori, giornali, radio. C’è sempre il bisogno di rimanere informati e di sentirsi più preparati, consapevoli e solidali nei confronti di situazioni drammatiche. Molte di queste storie, però, non vengono sempre raccontate, o per lo meno non con l’intento di arrivare alle orecchie di tutti. Tra queste si colloca il misterioso e difficile mondo libanese, tra i fulcri della vicenda mediorientale, che necessita anch’esso di attenzione. Attenzione mediatica, ma anche dalle istituzioni e da possibili interventi in favore del Paese: questo l’intento alla base di invio di contingenti di pace a Beirut.

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I peacekeeping

In principio il concetto di peacekeeping non era affatto considerato dalla Carta delle Nazioni Unite (1945), tuttavia è stata necessaria la sua creazione. Questo perché dopo la Seconda Guerra Mondiale tutte le attività mosse dalle organizzazioni internazionali erano volte a prevenire e porre fine a delle possibili ostilità tra nazioni. Tali operazioni, organizzate e dirette da organismi internazionali (come ONU, NATO, Unione Europea, OSCE, Unione Africana, ECOMOG), sono condotte mediante l’intervento imparziale di una terza parte, la cosiddetta forza multinazionale di pace composta da contingenti nazionali di soldati, di polizia e di funzionari civili, con lo scopo di restaurare e mantenere la pace. Le operazioni di mantenimento della pace sono nate e si sono sviluppate in seguito ad una duplice esigenza.

Da un lato, è emersa la necessità di risolvere conflitti che non erano stati previsti durante l’elaborazione della Carta delle Nazioni Unite, in particolare i conflitti interni ad uno Stato; dall’altro, la Guerra Fredda e il conseguente blocco del Consiglio di Sicurezza per la questione del veto che hanno impedito la formazione delle forze armate internazionali previste dallo Statuto. Tra le tante missioni affrontate ai sensi dell’articolo 42 grazie ai peacekeeping, ce n’è una ancora in atto, quella nel territorio libanese. Infatti, lo stanziamento dei contingenti di pace dell’ONU si trova in Libano per diverse missioni già dalla metà del periodo della Guerra Fredda. Nello sviluppo di questo articolo tenterò di analizzare per primo il concetto di peacekeeping e come questo va ad operare nei vari territori e il suo sviluppo e i diversi accadimenti che lo interessano in particolar modo nel territorio libanese.

Il concetto di peacekeeping, operazioni al mantenimento della pace, conosciuti anche come U.N. peacekeeping, riguarda tutte quelle operazione promosse, che siano politiche o militari, da parte delle Forze internazionali di pace delle Nazioni Unite, mosse da un obiettivo comune a tutti i membri dell’ONU: il mantenimento della pace e la sicurezza internazionale. Le azioni militari dei caschi blu vengono avviate sotto il diretto controllo del Segretariato delle Nazioni Unite, il quale può avviarle solo dopo mandato del Consiglio di Sicurezza, essendo l’unico organo a poter deliberare una rimozione del divieto della forza. In seguito, avviene l’affidamento delle missioni alle coalizioni militari internazionali. Il numero di peacekeeping attuati dal 1948 al 2009 è 63, sedici dei quali sono ancora in svolgimento.

Da semplici peacekeeping, diventano per lo più negli anni Novanta delle operazioni di peace-building; il loro intento è ricostruire gli apparati statuali di Stati, come con la risoluzione n.1244/99 per la ricostruzione dello Stato del Kosovo. Un concetto fondamentale e presupposto affinché l’operazione sia messa in atto, deve essere il consenso dello Stato territoriale nel quale il peacekeeping andrà ad operare, oltre la generale neutralità che il mantenimento dovrà avere e il suo uso della forza solo ai sensi di una legittima difesa stabilita dall’articolo 51 della Carta. Tuttavia, diverse sono state le situazioni nelle quali la posizione dell’ONU è stata considerata inopportuna, inapplicabile o non abbastanza competente ad accentrare il potere delle missioni sul proprio organo. In tal caso, la possibilità di avviarle è stata delegata a coalizioni di stati che manifestavano le stesse intenzioni e ad organizzazione internazionali ai sensi del capitolo VIII della Carta, come l’organo della NATO.

Il Libano nel XX secolo

È proprio questa l’organizzazione che troviamo in Libano con i peacekeeping. Il primo fu avviato nel 1978. Questo era conosciuto come Missione UNTSO e rimase nel territorio fino al 2006, con l’aggiunta di due nuovi mandati. La Missione Italcon di UNIFIL, che venne avviata nel territorio libanese tra il 1982-84. L’ultima, invece, era stata proposta e seguita dall’ONU con la Risoluzione del CdS n.°1701/2006. Con l’operazione Leonte, l’obiettivo era aiutare il Libano a resistere e combattere la cellula terroristica dei seguaci di Hezbollah e proteggerlo dagli attacchi israeliani.

Prima di analizzare le missioni e le annesse problematiche che hanno riscontrato, è necessario capire quali sono le motivazioni che hanno portato il CdS ad interrogarsi e a promuovere degli interventi garanti della pace nel Libano. La situazione disastrosa del Libano si colloca all’interno della vicenda della questione Israele-palestinese, iniziata nel 1948 con la proclamazione da parte di Gurion della nascita dello Stato d’Israele, conseguenza della spartizione della Palestina tra arabi ed ebrei.  

Spartiacque nella storia fu il ‘64, quando nacque l’organizzazione per la liberazione della Palestina con a capo Arafat e tutti coloro che ne presero parte tentarono nel 1970 di assumere potere in Giordania, incontrando però resistenza e ritrovandosi subito dopo espulsi dal territorio. I profughi palestinesi cercarono quindi un territorio dove concentrare precari accampamenti e lo trovarono in Libano, stabilendosi in tre zone della periferia mussulmana: Sabra, Chatila e Bourji el Barajini, prendendo il posto degli sciiti. È proprio in questo periodo che inizia a scaldarsi ancora più la situazione in Medio Oriente e porta l’ONU ad interrogarsi su cosa fare. Quello che i palestinesi iniziarono a progettare fu la costruzione di una città nella città, creazione di sotterranei dove contenere armi e munizioni, accessi segreti e tunnel. Contemporaneamente rafforzarono i loro campi nel Libano meridionale, soprattutto nella frontiera con l’Israele.

È in questo momento che Beirut iniziò a ribellarsi, fino ad arrivare ad essere divisa in due con un armistizio: Beirut Est era zona cristiana, Beirut Ovest zona musulmana, ciò che le divideva era un confine detto Linea Verde. Questo è il background e lo scenario che porta l’ONU a promuovere i primi interventi.

Il primo è conosciuto come la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite, acronimo UNIFIL. L’obiettivo era proteggere i civili dai numerosi attacchi dell’artiglieria israeliana. Il mandato fu rinnovato in due momenti: nel 1982 e nel 2006. La guerra civile iniziata negli anni ’80, tuttavia, fu disastrosa per la popolazione e per questo fu necessario un altro mandato e quindi nuovi obiettivi. Durante questo secondo mandato fu raggiunto un accordo tra le forze militari di pace francesi, statunitensi e italiane, con la cosiddetta Missione Italcon, la quale permise a tutti quei cittadini libanesi sopravvissuti al caos creato dall’OLP di trovare rifugio negli Stati arabi confinanti.

Tuttavia, nel territorio libanese nasceva una nuova cellula terroristica: quella di Hezbollah. Questa organizzazione paramilitare è nata nello Stato nel giugno del 1982, il suo modus operandi era spargere violenza, tanto da arrivare ad un duplice attentato il 23 ottobre 1983, il quale causò la morte di 241 marines statunitensi e 56 soldati francesi. Questo causò il ritiro pochi mesi dopo delle truppe di pace, lasciando il Libano in una disastrosa guerra civile. Però, per la prima volta dopo la fine della Seconda guerra mondiale un reparto armato italiano si recava in missione fuori dai propri confini. Infatti, l’Italia finisce per avere un ruolo fondamentale nell’adozione di questi peacekeeping in Libano, in particolar modo nel secondo mandato non controllato dall’ONU e nell’ultimo, quello del 2006.

Partono dall’Italia dei contingenti militari e dopo l’attracco nel porto di Beirut da parte delle due navi militari, le operazioni iniziarono nello stesso giorno. Il loro compito era garantire la sicurezza fisica dei palestinesi che lasciavano Beirut e anche degli altri abitanti, favorire un ristabilimento della sovranità e autorità nel Sud del Libano dove erano insorte le cellule di Hezbollah, quindi una ricostruzione di una sovranità interna e infine una smilitarizzazione L’attentato, però, del presidente del Libano Gemayel, portò nel giro di pochi giorni a chiedere un nuovo intervento. Questa volta però, non sotto lo stretto controllo dell’ONU. L’operazione si trasformò in uno sforzo “regionale”, ancor meglio nazionale, dei soli USA, Gran Bretagna, Francia e Italia sotto lo stretto controllo della NATO.
La missione iniziò il 20 Settembre 1982. Il contingente italiano aveva a disposizione 2.300 uomini.

L’operazione di mantenimento della pace ebbe anche altri obiettivi, come il riordinamento del territorio; infatti questi contingenti permisero la costruzione di un ospedale da campo vicino l’aeroporto di Beirut. “Sullo sfondo della città di Beirut devastata e assediata da decine di cani affamati, in cui la guerra getta in ogni istante segnali di morte sui contingenti in missione di pace, decine di soldati italiani attendono che la situazione si plachi nella speranza che le loro vite non vengano stroncate da un improvviso attacco kamikaze.” Queste sono le parole con le quali Oriana Fallaci, inviata di guerra nel territorio libanese proprio durante il famoso attacco alle basi NATO nell’82, decide di descrivere la situazione disastrosa alla quale stavano assistendo. La missione dovette finire in maniera fallimentare nel 6 marzo del 1984. Dei contingenti italiani solo un militare rimase ucciso nell’attentato di quel giorno alle forze armate NATO, ma fu talmente grave l’attacco, tanto da porre fine alla missione ITALCON “Libano 2”.

L’ultimo mandato è quello conosciuto come Operazione Leonte del 2006, in ambito ONU. Leonte, come il più grande fiume del Libano, che delimita i confini dell’area nella quale il contingente italiano sarà disposto ad operare. La cellula di Hezbollah continua imperterrita a mietere terrore e procurare danni. Ciò non solo provoca un’ulteriore guerra interna al Libano, ma porta l’Israele ad agire ai sensi dell’articolo 51 della Carta su una base di legittima difesa. Infatti, l’Israele sostiene che la situazione sia troppo dannosa per il proprio territorio avvenendo nel confine tra le due nazioni. Così, decide di bombardare il Libano. Quindi si pone non solo il problema della violazione di un requisito della legittima difesa da parte di Israele, ma anche una incapacità del Libano a fronteggiare le minacce interne. Fu necessario perciò l’intervento di una operazione di pace per cercare di ristabilire prima la sicurezza all’interno del Libano, e su un piano esterno di evitare ulteriori controversie tra il Libano e l’Israele.

Il Libano oggi

Nonostante i tre mandati e la volontà da parte dell’ONU di assicurare pace nella vita dei civili libanesi, la situazione non è migliorata, la frattura libanese è ormai talmente estesa da perderne una reale percezione, aumentata ad oggi ancor più sulla scia degli sviluppi dell’Afghanistan nell’agosto 2021 e la guerra russo-ucraina. L’operazione nel territorio continua e con essa il caos del paese, basti pensare alle elezioni del 2018 e al blocco statale che ne susseguì, nell’incapacità di conciliare maggioranza e minoranza. Ad un governo fermo, si aggiunge chiaramente il malcontento dei cittadini.  Per alcuni, come spiega un interessante articolo sul sito Affari Internazionali riguardo le missioni in Libano, queste potrebbero risultare inutili e inefficaci già in partenza.

Per molti studiosi l’azione diplomatica è pur sempre fondamentale, ma in situazioni tali sarebbe più plausibile un utilizzo della forza che permetterebbe un controllo più diretto e sorvegliato dell’area. Un pensiero più blando, rimane invece quello di ritenere tutto ciò come essenziale e fondamentale per difendere un territorio attaccato da crisi economiche, politiche e civili. Un territorio che si riconosce nel mondo come simbolo di pluralità e incontro di culture, con le sue 18 religioni.

Ci troviamo perciò di fronte ad uno scenario multiforme e complicato, un Paese che ha dovuto affrontare 15 anni di guerra civile e continue lotte contro forze maggiori e più potenti. Un Paese che seppur vittima di tante ostilità, non è stato in grado di reagire. In situazioni tali è quindi fondamentale riconoscere l’importanza che queste organizzazioni internazionali hanno. Un loro mancato intervento non permetterebbe il progredire della pace in alcune situazioni, seppur questo sia un processo a volte lento e frastagliato, come è molto visibile in contesti più conosciuti all’opinione pubblica, come la guerra in Ucraina.

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