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ANALISI DELLE IMPRONTE PAPILLARI, TRA STORIA E CRONACA-Parte 2, Nicola Caprioli e Silvestro Marascio

Le prime attuazioni criminologiche della dattiloscopia, il caso italiano e il delitto Matteotti

Nicola Caprioli
Silvestro Marascio

Abstract: Le evoluzioni storiche della dattiloscopia forense che in Italia si sviluppa ben presto facendo nascere una delle prime polizie scientifiche al mondo che si occupò, come primo caso, del sequestro e del delitto dell’on. Giacomo Matteotti. Silvestro Marascio, maresciallo del RIS dei Carabinieri e criminalista illustra assieme a Nicola Caprioli, criminalista, esperto nella raccolta di tracce e nell’analisi delle macchie di sangue spiegano l’evoluzione di questa scienza.

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ANALISI DELLE IMPRONTE PAPILLARI, TRA STORIA E CRONACA-Parte 1


APPLICAZIONE DELLA DATTILOSCOPIA NELLA STORIA

Pochi anni dopo la pubblicazione della lettera di Foulds a Nature, del 1880, fu proprio un’impronta digitale, contaminata con del sangue, a essere decisiva per la risoluzione di un efferato caso omicidiario.

Nel 1892 nel villaggio di Necochea, vicino a Buenos Aires, in Argentina, furono brutalmente assassinati due bambini, di 4 e 6 anni, figli di Francisca Rojas, 27 anni, trovata anch’essa con una ferita alla gola. Francisca si salvò indicando in Pedro Ramon Velazques, un suo vicino e spasimante, come l’autore di quel terribile duplice omicidio. Pedro negò ogni addebito. Sulla scena del crimine furono ritrovate alcune impronte intrise di sangue, di particolare interesse quella rinvenuta sulla porta della camera da letto; il funzionario di polizia che si occupò dell’investigazione, Alvarez, ebbe modo di repertare tali evidenze e di trasmetterle a Vucetich, che aveva, nel contempo, avviato la prima unità di indagini forensi dell’America del sud, unitamente alle impronte del sospettato e di Francisca. Il positivo match tra le impronte della donna e la traccia individuata sulla porta della camera da letto permise di risolvere l’orribile figlicido.

Ma la dattiloscopia poteva limitarsi alle sole “Impronte di dita nel sangue o su creta…” descritte da Henry Faulds per identificare l’autore di un crimine? D’altronde le mani secernono sudore e questo, in funzione del principio di interscambio di Locard, quando un oggetto viene toccato potrebbe essere lì trasferito.

Quanto qui espresso è facilmente riscontrabile nella vita quotidiana: osservando, con attenzione, un oggetto è possibile scorgere questo trasferimento, anche se non è sempre facilmente distinguibile e anzi, su superfici come i fogli di giornali o carta, sovente questo essudato è spesso allo stato latente. È, quindi, possibile che osservazioni come questa siano state alla base per gli studiosi dell’epoca, volti a ricercare metodologie che potessero in qualche modo esaltare quel residuo e quindi repertarlo per un futuro uso investigativo.

Ed è ancora in una pubblicazione di Faulds, del 1912, “Dactyloscopy, or the study of fingerprints” che si possono ritrovare alcuni riferimenti agli innovativi esperimenti condotti da Renè Forgeot in Francia, sul finire del XIX secolo, concernenti l’utilizzo delle polveri per l’evidenziazione delle impronte latenti. Gli stessi sono stati anche pubblicati in una tesi, del 1891, dal titolo “Les Empreintes Latentes: Relevees per des Procedes Speciaux’’. Anche Faulds ha provveduto a descrivere formulazioni e tecniche di applicazione sia per le polveri bianche che per quelle nere; si comprenderà facilmente come si tratti di anni fortemente caratterizzati da intensa attività sperimentale, gli stessi erano tesi a sviluppare metodologie di evidenziazione dei contatti papillari permettendo, però, di contrastare il livello cromatico delle stesse rispetto alla superficie ospite. Alcuni dei prodotti utilizzati, come quelli a base di carbon black (nerofumo o nero di carbonio) sono tutt’oggi adoperati in vari comparti scientifici delle forze dell’ordine.

LA DATTILOSCOPIA IN ITALIA, IL CASO MATTEOTTI

Per quanto concerne il panorama italiano: l’evoluzione della dattiloscopia, che ha il suo riferimento principale in Giovanni Gasti, come visto, e Ugo Sorrentino, segue parimenti lo sviluppo di quell’epistemologia investigativa che vuole, già nel sopralluogo di una scena del reato, l’applicazione di procedure da seguire, di metodicità che poco lasciavano spazio all’intuito o alla sola esperienza dei funzionari di polizia.

Accanto a Cesare Lombroso bisogna annoverare la figura di Salvatore Ottolenghi e, con quest’ultimo, di Enrico Ferri: si spazierà così, grazie a loro, dall’applicazione di un metodo scientifico al campo dell’identificazione preventiva e giudiziaria, al sopralluogo e ai principi criminologici, fatti propri dal legislatore penale, per meglio definire la conoscenza del criminale, della pericolosità del reo e dell’istituzione delle misure di sicurezza.

frammenti papillari rinvenuti nell’auto del delitto Matteotti

Si arriva così al decreto Zanardelli dell’ottobre del 1903, con l’istituzione del primo corso di polizia scientifica, ovviamente i principi che vengono sviluppati sono oramai assodati nell’esperienza di quelli che saranno lì chiamati a disimpegnare il ruolo di formatori e quindi l’investigazione scientifica, a supporto di quella tradizionale, comincia a muovere i propri passi verso episodi di cronaca di rilievo nazionale, offrendo un notevole contributo alla loro risoluzione.

Tra questi sicuramente spicca l’individuazione degli autori dell’omicidio di Matteotti.

Erano circa le ore 16.15 del 10 giugno 1924 quando Giacomo Matteotti, segretario del partito socialista, uscì di casa per dirigersi verso Montecitorio. Mentre percorreva il lungotevere Arnaldo da Brescia fu aggredito da alcuni individui che dopo averlo stordito con un pugno al volto lo caricarono all’interno di “un’automobile, nera, elegante”, come fu descritta da testimoni oculari, per poi allontanarsi velocemente.

altri frammenti papillari rinvenuti nell’auto del delitto Matteotti

All’interno dell’autovettura, come da successivi riscontri, scoppiò una violenta colluttazione e uno degli aggressori, non riuscendo a tenere fermo Matteotti, estrasse un coltello e lo colpì sotto l’ascella e al torace, uccidendolo.

Il corpo del politico fu seppellito in un bosco nel comune di Raiano mentre la vettura venne nascosta all’interno di un garage, a Roma. L’auto venne comunque individuata due giorni dopo il rapimento e quindi l’assassinio del noto personaggio politico. Fu proprio durante l’ispezione dell’autovettura che un funzionario di polizia, Ugo Sorrentino, rinvenne due impronte papillari, di origine digitale, che permisero di identificare alcuni tra gli autori del reato: Amerigo Dumini e Albino Volpi.


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