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DANNI UNICI E ABUSO DEL PROCESSO (Cassazione 2278/2023), Domenico Carola

L’azione giudiziaria deve essere unica se i danni al veicolo e alla persona conseguono allo stesso sinistro

di Domenico Carola

Abstract: I giudici della terza sezione civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2278 del 25 gennaio 2023 hanno sancito che la duplicazione delle azioni giudiziali per i danni materiali e le lesioni conseguenti a un sinistro stradale rappresentano un abuso del processo se, quando è stata intrapresa la prima azione, i postumi erano stabilizzati.

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Il caso

Un motociclista conveniva in giudizio l’ente proprietario della strada su cui è caduto dalla moto a causa della presenza di radici di alberi sulla carreggiata. Lo stesso dichiarava di aver già richiesto i danni materiali ripotati alla moto davanti al Giudice di pace e che la sentenza di condanna era già passata in giudicato. La mancata proposizione contestuale delle due domande risarcitorie per i danni materiali e per le lesioni era stata determinata dal fatto che, quando lo stesso aveva presentato la domanda per i danni materiali, le lesioni non si erano ancora stabilizzate.

Il Tribunale però rigetta la domanda, ritenendo illegittimo il frazionamento del credito azionato con le due diverse domande risarcitorie. Conclusione a cui giungeva anche la Corte territoriale adita dal motociclista in sede di impugnazione.

La decisione

  1. Gli Ermellini hanno osservato preliminarmente che i motivi di ricorso, pur tra loro formalmente differenti, possono essere trattati congiuntamente, in quanto pongono censure strettamente connesse tra di loro e in qualche misura anche ripetitive. Nella decisione rigettano il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale ritenendo che integra abuso dello strumento processuale intraprendere due diverse azioni civili per il risarcimento dei danni materiali al motociclo e delle lesioni se sono conseguenza dello stesso sinistro stradale, tanto più che, nel caso de quo i postumi si erano già consolidati quando è stato avviato il primo procedimento davanti al giudice di pace per i danni materiali riportati alla motocicletta. La decisione di avviare due distinti procedimenti giudiziari quindi non è stata determinata dalla effettiva incertezza relativa al consolidamento dei postumi, ragioni per le quali la Corte territoriale aveva ritenuto che la parte avesse abusato dello strumento processuale.

La Corte ha rigettato, pertanto, il ricorso principale, avanzato dal motociclista, perché alla luce del quadro giurisprudenziale in materia si trae la logica conclusione per cui, pur non essendo totalmente precluso al danneggiato, in astratto, di agire separatamente per due diversi danni che derivano dal medesimo fatto illecito, ciò può avvenire solo in presenza dell’effettiva dimostrazione, da parte dell’attore, della sussistenza di un interesse obiettivo al frazionamento. Interesse che – è bene ribadirlo – non può consistere in una scelta soggettiva dettata da criteri di mera opportunità e neppure dalla prospettata maggiore speditezza del procedimento davanti ad uno piuttosto che ad un altro dei giudici aditi. Il ricorso incidentale condizionato proposto dal motociclista che peraltro è una riproposizione delle eccezioni e delle domande dichiarate assorbite in appello a causa del rigetto della domanda principale, rimane assorbito. Concludendo ne consegue che rimane priva di pregio la tesi del ricorrente, più volte ribadita nei motivi di ricorso, relativa alla necessità di una valutazione ex ante e non ex post circa la stabilizzazione delle conseguenze dannose del sinistro, proprio perché sul punto la Corte di merito ha compiuto un preciso accertamento.

La sentenza

Corte di Cassazione, sezione II civile, ordinanza n. 2278 del 25 gennaio 2023

FATTI DI CAUSA

  1. omissis convenne in giudizio davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni personali da lui subiti in conseguenza del sinistro stradale verificatosi in Roma, in data 1° ottobre 2007, a causa di radici di alberi presenti sul manto stradale, non segnalate, che avevano provocato la sua caduta dalla moto. A sostegno della domanda espose, tra l’altro, di aver in precedenza già promosso un separato giudizio, davanti al Giudice di pace di Roma, per i danni alla moto derivanti dal medesimo incidente, giudizio che si era concluso con una sentenza di condanna ormai passata in giudicato. Si costituì in giudizio la parte convenuta, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, chiedendo il rigetto della domanda e sollecitando inoltre la chiamata in giudizio, a titolo di manleva, della società la quale si costituì chiedendo pure il rigetto della domanda. Nel giudizio intervennero poi anche il omissis e la società di assicurazione chiamata in causa dal Il Tribunale rigettò la domanda ritenendo che la stessa fosse improponibile per l’illegittimo frazionamento del credito.
  2. La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 9 aprile 2019, ha rigettato il gravame e ha compensato le ulteriori spese del grado. Ha osservato la Corte territoriale che nel momento in cui era stata proposta la domanda risarcitoria davanti al Giudice di pace di Roma (maggio 2008), la cui decisione era passata in giudicato, il danno alla persona lamentato dall’attore si era già verificato nella sua interezza. Il fatto che lo in data 27 febbraio 2008 dovesse ancora sottoporsi ad una visita per il successivo 27 maggio 2008 non dimostrava che i postumi non si fossero già verificati integralmente a quella data. Era significativo, d’altronde, che l’attore avesse notificato il proprio atto di citazione davanti al Giudice di pace in data 23 maggio 2008 senza attendere gli esiti di un’ulteriore visita per lui fissata per il successivo 27 maggio. La documentazione sanitaria prodotta dall’attore e successiva al maggio 2008 non dimostrava alcun aggravamento dei postumi ed escludeva la necessità di un ulteriore intervento chirurgico. La scelta di agire separatamente per il danno al motociclo e per il danno alla persona non era stata determinata, quindi, dall’effettiva incertezza sul consolidamento degli esiti negativi della sua malattia; per cui la proposizione in due diversi giudizi delle domande di risarcimento dei danni derivanti da un unico incidente si risolveva in un abuso dello strumento processuale. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso con affidato a quattro motivi. Resistono omissis , il omissis in liquidazione e con quattro separati controricorsi, proponendo il solo anche un ricorso incidentale condizionato. Il ricorrente, e la omissis hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 2 e 111 Cost. e degli artt. 2043, 2054 e 2059 cod. civ., per avere la Corte di merito emesso una decisione in contrasto con la consolidata giurisprudenza in argomento. Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del fatto che egli aveva fatto espressa riserva, nel proporre il primo giudizio davanti al Giudice di pace, di agire con un autonomo giudizio per il risarcimento dei danni fisici subiti, in quanto gli stessi non si erano ancora stabilizzati. Per costante giurisprudenza in argomento, la seconda domanda risarcitoria può essere proposta separatamente in presenza di un dubbio circa la stabilizzazione degli esiti dannosi, elemento che la sentenza impugnata non avrebbe considerato.
  2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 112, 115, 116 e 132, n. 4), cod. proc. civ., con conseguente nullità della sentenza. Il ricorrente rileva che, al fine di accertare la sussistenza della correttezza e buona fede da parte del danneggiato che abbia promosso due diversi giudizi risarcitori, bisognava tener conto non della situazione che si sarebbe venuta a manifestare in un momento successivo, bensì di quelle che erano le conoscenze del danneggiato nel momento in cui egli diede inizio al primo giudizio. Nella visita del 27 maggio 2008, infatti, gli erano stati richiesti ulteriori accertamenti, per cui la Corte d’appello non avrebbe potuto affermare che già al momento della proposizione del primo giudizio egli fosse pienamente consapevole dei postumi lesivi riportati.
  3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., omessa pronuncia ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, con conseguente violazione degli artt. 112, 115, 116 e 132, n. 4), del codice di rito. La sentenza impugnata, osserva il ricorrente, avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione, posta nei motivi di appello, relativa al momento esatto in cui egli aveva effettivamente avuto consapevolezza della stabilizzazione dei postumi. La Corte d’appello, inoltre, non avrebbe esaminato l’espressa riserva che l’odierno ricorrente aveva posto, nel momento in cui aveva inoltrato la prima domanda risarcitoria davanti al Giudice di pace, di agire separatamente per i danni alla persona. Si tratta, nella prospettazione del ricorrente, di omissioni decisive che rendono viziata la sentenza impugnata.
  4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 115, 116 e 132, n. 4), in relazione all’apparente o contraddittoria motivazione resa dalla sentenza in esame. Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe fornito alcuna valida motivazione in ordine ai criteri adottati per individuare il momento in cui i postumi invalidanti si erano effettivamente stabilizzati a suo carico, dal momento che era stato dimostrato che il percorso di cura da lui intrapreso era ancora in corso quando fu promosso il primo giudizio.
  5. Osserva la Corte che i motivi di ricorso, pur tra loro formalmente differenti, possono essere trattati congiuntamente, in quanto pongono censure strettamente connesse tra di loro e in qualche misura anche ripetitive.

5.1. La questione giuridica posta all’esame del Collegio riguarda il c.d. frazionamento del credito. Le Sezioni Unite di questa Corte, dopo essersi già pronunciate con la sentenza 15 novembre 2007, n. 23726, sono tornate sull’argomento con la più recente sentenza 16 febbraio 2017, n. 4090, citata nel ricorso. In questa seconda decisione è stato stabilito che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi; ove le suddette pretese creditorie, però, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo – così da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Tale principio è stato in seguito più volte ribadito e ad esso il Collegio intende dare ulteriore continuità. Giova poi ricordare che nella materia specifica che costituisce oggetto del giudizio odierno, cioè il risarcimento dei danni da responsabilità civile, è stato in più occasioni affermato il principio per cui non è consentito al danneggiato, in presenza di un danno derivante da un unico fatto illecito, riferito alle cose ed alla persona, già verificatosi nella sua completezza, di frazionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di distinte domande, parcellizzando l’azione extracontrattuale davanti al giudice di pace ed al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, e ciò neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento. Tale disarticolazione dell’unitario rapporto sostanziale nascente dallo stesso fatto illecito, infatti, oltre ad essere lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, per l’aggravamento della posizione del danneggiante-debitore, si risolve anche in un abuso dello strumento processuale (così la sentenza 22 dicembre 2011, n. 28286, ribadita dalla sentenza 21 ottobre 2015, n. 21318, dalle ordinanze 4 novembre 2016, n. 22503, e 28 giugno 2018, n. 17019, nonché, sulla stessa lunghezza d’onda, dalla sentenza 6 maggio 2020, n. 8530). Da tale ricostruzione del quadro giurisprudenziale si trae la logica conclusione per cui, pur non essendo totalmente precluso al danneggiato, in astratto, di agire separatamente per due diversi danni che derivano dal medesimo fatto illecito, ciò può avvenire solo in presenza dell’effettiva dimostrazione, da parte dell’attore, della sussistenza di un interesse obiettivo al frazionamento. Interesse che – è bene ribadirlo – non può consistere in una scelta soggettiva dettata da criteri di mera opportunità e neppure dalla prospettata maggiore speditezza del procedimento davanti ad uno piuttosto che ad un altro dei giudici aditi (v. in tal senso l’ordinanza 2 maggio 2022, n. 13732).

5.2. Tutto ciò premesso, è evidente che i motivi dell’odierno ricorso, inammissibili sotto certi profili in quanto tendenti ad ottenere in questa sede un riesame del merito, sono comunque privi di fondamento. La Corte d’appello, infatti, già sollecitata all’esame del problema dai motivi di gravame, ha fornito un’argomentata risposta, osservando che il danno alla persona si era già palesato nel momento in cui fu proposto il primo giudizio, dato che la documentazione sanitaria successiva al 2008 non evidenziava alcun aggravamento dei postumi. L’odierno giudizio ebbe inizio nel 2011,  quando il quadro era delineato da tempo (lo stesso ricorso dice che il danneggiato fu dimesso dall’ospedale, subito dopo l’incidente, con una prognosi di 30 giorni). Con un accertamento di merito non più sindacabile in questa sede, infatti, la Corte romana ha ricostruito la cronistoria delle due cause e, valutando in modo globale le prove, ha escluso che lo avesse dimostrato la sussistenza di una qualche incertezza sui residui postumi dell’incidente allorquando decise di dare inizio alla prima causa davanti al Giudice di pace di Roma (maggio 2008). In motivazione, anzi, la sentenza impugnata ha posto in luce la singolarità della scelta dell’odierno ricorrente di intraprendere il primo giudizio pochissimi giorni prima di una visita medica già fissata proprio per accertare le sue condizioni di salute. Ne consegue che rimane priva di pregio la tesi del ricorrente, più volte ribadita nei motivi di ricorso, relativa alla necessità di una valutazione ex ante e non ex post circa la stabilizzazione delle conseguenze dannose del sinistro, proprio perché sul punto la Corte di merito ha compiuto un preciso accertamento. Ininfluenti sono, poi, le ulteriori pronunce di questa Corte alle quali il ricorrente si è richiamato nella memoria (ordinanze 22 giugno 2020, n. 12140, e 20 settembre 2021, n. 25413). Entrambe queste ordinanze, infatti, non si discostano affatto dall’orientamento giurisprudenziale suindicato, limitandosi a porre in luce quali siano le ragioni che in determinate situazioni possono giustificare il ricorso alla tutela frazionata. Ragioni che, proprio in base alle precedenti considerazioni, certamente non sussistevano nel caso in esame.

  1. Il ricorso principale, pertanto, è rigettato. Il ricorso incidentale condizionato proposto dal che peraltro è una riproposizione delle eccezioni e delle domande dichiarate assorbite in appello a causa del rigetto della domanda principale, rimane assorbito. A tale esito segue la condanna del ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, che ha modificato il d.m. 10 marzo 2014, n. 55, ed è applicabile nella fattispecie ratione temporis. Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.


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