L’auto si può riparare anche se l’intervento ha un costo superiore al suo valore
Abstract: La Cassazione civile il 20 aprile 2023 ha stabilito che il danno subito da un veicolo per colpa di altri deve essere sempre risarcito, anche se il valore della riparazione supera quello del veicolo.
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La vicenda
Il Giudice di Pace di Brindisi accoglieva parzialmente le istanze di un conducente e proprietario di un’autovettura afferente il risarcimento dei danni riportati a causa di un incidente stradale, che imputavano all’esclusiva responsabilità del conducente di un’autovettura che, provenendo dall’opposta direzione di marcia, aveva urtato il mezzo in cui viaggiavano gli attori la quale, superato un incrocio, aveva appena completato la manovra di immissione nella strada in cui sopraggiungeva l’altro veicolo; assunsero che l’incidente era stato determinato dalla velocità eccessiva dell’auto investitrice, che aveva invaso la corsia percorsa dall’autovettura. Pronunciandosi sull’appello della società assicuratrice, il tribunale riformava parzialmente la sentenza di primo grado avverso la quale gli attori proponevano ricorso per cassazione.
La decisione
Gli Ermellini accolgono il primo e il secondo motivo, dichiarando assorbiti il terzo e il quarto e cassando in relazione rinvia al Tribunale di Brindisi, in persona di altro magistrato.
Da tempo i giudici ritengono lecito risarcire riparazioni il cui costo non supera notevolmente il valore di mercato del veicolo ma ora hanno fatto di più: in un caso dove il danneggiato aveva richiesto una somma pari quasi al doppio del valore del veicolo ha infatti chiarito che, pur dovendo tener conto della necessità di non sacrificare specifiche esigenze del danneggiato a veder ripristinato il proprio mezzo, il limite per il risarcimento individuato è che non vi sia un aumento di valore del veicolo.
Nello specifico la Suprema Corte ha stabilito che va considerato che il danneggiato può avere serie ed apprezzabili ragioni per preferire la riparazione alla sostituzione del veicolo danneggiato (ad es., perché gli risulta più agevole la guida di un mezzo cui è abituato o perché vi sono difficoltà di reperirne uno con caratteristiche similari sul mercato o perché vuole sottrarsi ai tempi della ricerca di un veicolo equipollente e ai rischi di un usato che potrebbe rivelarsi non affidabile) e che una piena soddisfazione delle sue ragioni risarcitorie può comportare un costo anche notevolmente superiore a quello della sostituzione.
Fino ad oggi le compagnie di assicurazioni, che peraltro usano listini con valori commerciali dell’usato del tutto errati e sbilanciati al ribasso, hanno spinto gli assicurati a rottamare le proprie auto sostenendo l’antieconomicità delle riparazioni. Ora, grazie a questa decisione, sarà finalmente l’automobilista a scegliere tra la riparazione dell’autovettura e la rottamazione. La decisione della Corte va considerato un intervento a gamba tesa sul settore delle riparazioni auto, bacchettando di fatto le compagnie di assicurazioni che spingono i propri clienti a rottamare l’automobile in caso di incidente quando il costo delle riparazioni supera il valore commerciale della vettura.
La sentenza
Corte di cassazione, sezione III civile, ordinanza n. 10686 del 20 aprile 2023
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
con distinti atti di citazione, B.B. e A.A. – rispettivamente, conducente e proprietaria di una vettura (Omissis) – agirono per il risarcimento dei danni riportati a causa di un incidente stradale avvenuto il (Omissis), che imputavano ad esclusiva responsabilità del conducente di un’autovettura (Omissis) di proprietà della Società Idrotermica di C.C. e D.D. s.n.c. e assicurata presso la Axa Assicurazioni; dedussero che, provenendo dall’opposta direzione di marcia, la (Omissis) aveva urtato il mezzo in cui viaggiavano gli attori che, superato un incrocio, aveva appena completato la manovra di immissione nella strada in cui sopraggiungeva l’altro veicolo; assunsero che l’incidente era stato determinato dalla velocità eccessiva dell’auto investitrice, che aveva invaso la corsia percorsa dall’autovettura (Omissis); richiesero, il B.B., il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alle lesioni riportate e, la A.A., il risarcimento dei danni materiali subiti dalla vettura;
riunite le due cause, il Giudice di Pace di Brindisi accolse parzialmente le domande, affermando la paritaria responsabilità concorsuale dei due conducenti e condannando la Axa al pagamento di 3.680,50 Euro in favore della A.A. e di 1.338,42 Euro in favore del B.B., il tutto oltre accessori e rimborso delle spese di lite;
pronunciando sull’appello della Axa, il Tribunale ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado e, per un verso, ha accertato un maggiore concorso di responsabilità (del 60%) a carico del conducente della (Omissis), mentre, per altro verso, ha ridotto gli importi risarcitori a 2.144,04 Euro in favore della A.A. (dichiarando di voler effettuare una liquidazione per equivalente in luogo di quella in forma specifica compiuta dal primo giudice) e in 981,14 Euro in favore del B.B., oltre -per entrambi- interessi e rivalutazione; ha inoltre condannato gli appellati a restituire alla compagnia le somme percepite in eccesso e ha compensato integralmente le spese di lite;
la A.A. e il B.B. hanno proposto ricorso per cassazione, affidandosi a quattro motivi; ad esso ha resistito, con controricorso, la Axa Assicurazioni Spa;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo (“violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2058, 2727 e 2729 c.c. e degli artt. 1223, 1225, 1226 c.c.” nonché “manifesta illogicità della motivazione in relazione a fatto discusso e decisivo e/o in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 5 e dunque per omesso esame di un fatto decisivo”), si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto di liquidare il danno alla vettura per equivalente (in relazione al valore ante sinistro del mezzo) e non in forma specifica (in relazione al costo delle riparazioni effettuate), rilevandosi che il risarcimento per equivalente “può essere usato come criterio di liquidazione del danno soltanto quando vi può essere locupletazione per il danneggiato e nelle ipotesi di particolare difficultas prestandi del debitore”; si aggiunge che, anche a voler considerare eccessivamente oneroso il risarcimento in forma specifica, il Tribunale avrebbe dovuto considerare i costi necessari per la sostituzione del veicolo incidentato (spese di rottamazione, spese per nuova immatricolazione, bollo non goduto, fermo recupero analogo mezzo), mentre non avrebbe potuto escludere il risarcimento in forma specifica e, al tempo stesso, parametrare il danno per equivalente al solo valore ante sinistro del mezzo per il fatto che la A.A. aveva preferito procedere alla riparazione;
il motivo è fondato;
la disposizione dell’art. 2058 c.c. prevede che il danneggiato possa chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile (1 co.), consentendo tuttavia al giudice di disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore; ciò significa che, in relazione al danno subito da un veicolo, nel primo caso la somma dovuta è calcolata sui costi necessari per la riparazione, mentre nel secondo è riferita alla differenza fra il valore del bene integro (ossia nel suo stato ante sinistro) e quello del bene danneggiato (cfr. Cass. n. 5993/1997 e Cass. n. 27546/2017), ovvero nella “differenza fra il valore commerciale del veicolo prima dell’incidente e la somma ricavabile dalla vendita di esso, nelle condizioni in cui si è venuto a trovare dopo l’incidente, con l’aggiunta ulteriore della somma occorrente per le spese di immatricolazione e accessori del veicolo sostitutivo di quello danneggiato” (Cass. n. 4035/1975);
le due modalità di liquidazione si pongono, fra loro, in un rapporto di regola ed eccezione, nel senso che la reintegrazione in forma specifica (che vale a ripristinare la situazione patrimoniale lesa mediante la riparazione del bene) costituisce la modalità ordinaria, che può tuttavia essere derogata dal giudice -con valutazione rimessa al suo prudente apprezzamento (“può disporre”)- in favore del risarcimento per equivalente, laddove la reintegrazione in forma specifica risulti eccessivamente onerosa per la parte obbligata;
quanto all’eccessiva onerosità, la giurisprudenza di legittimità l’ha ritenuta ricorrente “allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo” (Cass. n. 2402/1998, Cass. n. 21012/2010 e Cass. n. 10196/2022), non mancando di rilevare che, se la somma occorrente per la reintegrazione in forma specifica “supera notevolmente il valore di mercato dell’auto, da una parte essa risulta eccessivamente onerosa per il debitore danneggiante e dall’altra finisce per costituire una locupletazione del danneggiato” (Cass. n. 24718/2013, in motivazione, a pag. 5);
ritiene il Collegio che, nel bilanciamento fra l’esigenza di reintegrare il danneggiato nella situazione antecedente al sinistro e quella di non gravare il danneggiante di un costo eccessivo, l’eventuale locupletazione per il danneggiato costituisca un elemento idoneo a orientare il giudice nella scelta della modalità liquidatoria e, al tempo stesso, un dato sintomatico della correttezza dell’applicazione dell’art. 2058, 2 co. c.c.;
invero, va considerato che il danneggiato può avere serie ed apprezzabili ragioni per preferire la riparazione alla sostituzione del veicolo danneggiato (ad es., perché gli risulta più agevole la guida di un mezzo cui è abituato o perché vi sono difficoltà di reperirne uno con caratteristiche similari sul mercato o perché vuole sottrarsi ai tempi della ricerca di un veicolo equipollente e ai rischi di un usato che potrebbe rivelarsi non affidabile) e che una piena soddisfazione delle sue ragioni risarcitorie può comportare un costo anche notevolmente superiore a quello della sostituzione;
per altro verso, al debitore non può essere imposta sempre e comunque (a qualunque costo) la reintegrazione in forma specifica, dato che l’obbligo risarcitorio deve essere comunque parametrato a elementi oggettivi e che, pur tenendo conto dell’interesse del danneggiato al ripristino del bene e della possibilità che i costi di tale ripristino si discostino anche in misura sensibile dal valore di scambio del bene, non può consentirsi che al danneggiato venga riconosciuto più di quanto necessario per elidere il pregiudizio subito (ostandovi il principio -sotteso all’intero sistema della responsabilità civile- secondo cui il risarcimento deve essere integrale, ma non può eccedere la misura del danno e comportare un arricchimento per il danneggiato);
come si è visto, la giurisprudenza di legittimità ha individuato il punto di equilibrio delle contrapposte esigenze facendo riferimento alla necessità che il costo delle riparazioni non superi “notevolmente” il valore di mercato del veicolo danneggiato; si tratta di un criterio che si presta a tutelare adeguatamente la posizione dell’obbligato rispetto ad eccessi liquidatori, ma non anche a tener conto della necessità di non sacrificare specifiche esigenze del danneggiato a veder ripristinato il proprio mezzo; esigenze che -come detto- debbono trovare tutela nella misura in cui risultino idonee a realizzare la migliore soddisfazione del danneggiato e, al tempo stesso, non ne comportino una indebita locupletazione;
in tale ottica, deve dunque ritenersi che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2058, 2 co. c.c., la verifica di eccessiva onerosità non possa basarsi soltanto sull’entità dei costi, ma debba anche valutare se la reintegrazione in forma specifica comporti o meno una locupletazione per il danneggiato, tale da superare la finalità risarcitoria che le è propria e da rendere ingiustificata la condanna del debitore a una prestazione che ecceda notevolmente il valore di mercato del bene danneggiato;
tanto ritenuto, risulta fondata la censura della A.A. laddove ha lamentato che il Tribunale non ha considerato se la reintegrazione in forma specifica determinasse una locupletazione per il danneggiato, essendosi limitato a rilevare che la riparazione comportava il pagamento, a carico dei danneggianti, di “una somma pari quasi al doppio del valore del veicolo”, senza nulla dire circa il fatto che la riparazione comportasse un aumento di valore del veicolo rispetto a quello ante sinistro;
la sentenza va pertanto cassata sul punto, con rinvio al giudice di appello;
resta assorbito l’ulteriore profilo attinente alla necessità che, laddove il giudice si avvalga della facoltà di liquidare il danno per equivalente, vengano rimborsati anche i costi da sostenere in caso di sostituzione del veicolo (nello specifico: spese di rottamazione, spese per nuova immatricolazione, bollo non goduto e fermo recupero mezzo analogo), e ciò anche nel caso in cui il danneggiato scelga di procedere (assumendosene i maggiori costi) alla riparazione del veicolo;
tuttavia, per completezza di disamina, non può non considerarsi che, laddove il danneggiato decida -com’è suo diritto- di procedere alla riparazione anziché alla sostituzione del mezzo danneggiato, non risulta giustificato (perché si tradurrebbe in una indebita locupletazione per il responsabile) il mancato riconoscimento di tutte le voci di danno che competerebbero in caso di rottamazione e sostituzione del veicolo; invero, a fronte di un danno accertato, l’opzione del giudice in favore del criterio liquidativo per equivalente deve necessariamente comportare il riconoscimento di tutte le voci di danno che sarebbero spettate al danneggiato se non avesse scelto di riparare il mezzo e, quindi, anche di costi che non siano stati effettivamente sostenuti, ma che sono necessariamente da considerare nell’ambito di una liquidazione per equivalente che, per essere tale, deve comprendere tutti gli importi occorrenti per elidere il danno mediante la sostituzione del veicolo danneggiato; non si tratta, a ben vedere, di liquidare danni non verificatisi, ma di utilizzare in modo coerente, in relazione al danno cristallizzatosi al momento del sinistro, la tecnica liquidatoria prescelta; tecnica che risulta comunque tale da comportare, per l’obbligato, un esborso inferiore a quello cui sarebbe stato tenuto in caso di risarcimento in forma specifica; in tal modo pervenendosi a tutelare il danneggiante rispetto ad esborsi eccessivi conseguenti a scelte del danneggiato, senza tuttavia riconoscergli una locupletazione per il fatto che il danneggiato abbia preferito riparare il mezzo (e senza “punire” quest’ultimo per il fatto di avere compiuto tale legittima scelta, come avverrebbe se gli si riconoscesse meno di quanto avrebbe ricevuto se avesse rottamato l’auto);
col secondo motivo, si deduce “violazione dell’art. 2909 c.c. (giudicato interno sul punto), dell’art. 112 c.p.c. nonché (…) violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 115 e 116 c.p.c.”, lamentandosi che il Tribunale ha effettuato una “”imprudente” riliquidazione di tutte le voci di danno non patrimoniale subito da B.B., nonostante la domanda in appello fosse limitata alla restituzione della somma liquidata a titolo di danno morale poiché non provato”;
il motivo è fondato;
per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dal ricorso (e non contestato dalla controricorrente), il motivo di appello concerneva esclusivamente la somma di euro 500,00 liquidata a titolo di danno morale (così qualificato in ricorso) o di danno non patrimoniale personalizzato (come lo qualifica la sentenza); il Tribunale ha ritenuto di non dover riconoscere alcun risarcimento per danno morale (e, sul punto, non v’è impugnazione), ma ha anche riliquidato in diminuzione il danno “biologico” (permanente e temporaneo), dichiarando di aderire alla valutazione del consulente della compagnia; così facendo, ha liquidato un importo complessivo di 981,14 euro, che è inferiore a quello (di 1.306,10 euro) che sarebbe risultato applicando alla liquidazione effettuata dal primo giudice la decurtazione di 500,00 euro e rapportando l’importo ottenuto alla percentuale di concorso del 60%;
in tal modo, il giudice di appello è effettivamente incorso in vizio di ultrapetizione, non essendosi limitato ad accogliere il motivo di gravame formulato dalla Axa in relazione alla posizione del B.B., ma riformando la sentenza di primo grado anche per una parte che non era stata oggetto di censura;
anche in relazione al secondo motivo, la sentenza va dunque cassata, con rinvio al Tribunale;
restano assorbiti il terzo e il quarto motivo, concernenti – rispettivamente- la compensazione delle spese di lite disposta dal giudice di appello e la implicita esclusione del rimborso delle spese stragiudiziali (che il primo giudice aveva riconosciuto in sede di liquidazione delle spese di lite), in quanto la complessiva liquidazione delle spese dovrà nuovamente essere effettuata all’esito del giudizio di rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, dichiarando assorbiti il terzo e il quarto; cassa in relazione e rinvia, anche per le spese di legittimità, al Tribunale di Brindisi, in persona di altro magistrato.
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