Sono illegittime in quanto mancanti del fondamento legislativo le sanzioni amministrative applicate per “errato conferimento” di rifiuti vietati dai regolamenti comunali e non si può invocare l’art. 7-bis del TUEL (Cass., II sez. civile, 29427 del 24/10/2023)
Abstract: È stato già detto che i Comuni non hanno una competenza propria in tema di rifiuti ma delegata dall’art. 198 del d.lgs.152/2006, che è una norma imperfetta in quanto non prevede sanzioni, quindi sono illegittime tutte le sanzioni amministrative conseguenti alle violazioni dei regolamenti comunali sul conferimento dei rifiuti. Su questo tema la Suprema Corte ha ribadito che il principio di legalità nelle sanzioni amministrative (art. 1 l. 689/81), la cui violazione deve essere rilevate d’ufficio, non permette di applicare sanzioni che non siano previste espressamente dalla legge e non si può applicare estensivamente l’art. 7-bis del TUEL. Restano quindi applicabili agli abbandoni di rifiuti, a parte le ipotesi di quelli di piccolissime dimensioni o prodotti da fumo, la disciplina amministrativa del Codice della Strada e le ipotesi penali previste dal c.d. Testo unico ambientale e in questo quadro normativo si devono utilizzare attentamente i sistemi di videosorveglianza.
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Il fatto censurato dalla Suprema Corte
A seguito di accertamento dell’errato conferimento di rifiuti nei mastelli della raccolta differenziata, gli ispettori ambientali dell’azienda municipalizzata per i servizi ambientali del Comune di Roma elevarono diverse sanzioni amministrative a carico della società e del legale rappresentante dell’amministratore di condominio, per violazione del regolamento comunale sulla gestione dei rifiuti urbani.
Il giudice di pace in primo grado e il Tribunale di Roma in appello rigettarono il ricorso, ritenendo lecito il regolamento comunale come strumento sanzionatorio per le violazioni in tema di rifiuti e altresì sussistente la responsabilità solidale dell’amministratore condominiale. In entrambi i casi l’aministratore di condominio non lamentava la legalità del regolamento comunale violato bensi l’errata applicazione poiché, giustamente come ha deciso la Cassazione, lamentavano che non potesse ritenersi una solidarietà dell’amministratore per i fatti illeciti dei singoli condomini.
Il giudice di legittimità, in terzo grado, con l’ordinanza n. 29427depositata il 24 ottobre 2023, ha accolto il ricorso e, andando oltre le richieste del ricorrente, ha rilevato preliminarmente la violazione di legge e quindi l’illegittimità regolamento comunale sulla gestione dei rifiuti urbani nella parte in cui prevede sanzioni poiché il principio di legalità richiede un fondamento legislativo che non esiste.
Rilevabile d’ufficio e doverosa la verifica del potere sanzionatorio amministrativo
La Suprema Corte ha osservato che in qualsiasi caso si valuti una sanzione amministrativa il rispetto del principio di legalità (art. 1 l.689/81[1]) deve essere sempre accertato, essendo rilevabile d’ufficio: «Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, l’illegittimità del provvedimento opposto per violazione del principio di legalità, di cui all’art. 1 della l. n. 689 del 1981, è rilevabile d’ufficio, giacché tale principio costituisce cardine dell’intero sistema normativo di settore ed ha valore ed efficacia assoluta, essendo direttamente riferibile alla tutela di valori costituzionalmente garantiti (artt. 23 e 25 Cost.), sicché la sua attuazione non può rimanere, sul piano giudiziario, affidata alla mera iniziativa dell’interessato, ma deve essere garantita dall’esercizio della funzione giurisdizionale (ex plurimis Sez. 2, n. 4962 del 2020; Sez. 2, n. 17403 del 2008, conf. Sez. 2, n. 35791 del 2021, non massimata)».
Quindi, anche sussistendo il principio generale in tema di procedura civile che il giudice non si esprima sui motivi di opposizione o sulle eccezioni non dedotte dalle parti, secondo il brocardo “ne eat iudex ultra petita partium”, tale principio, tuttavia, non può essere applicato in maniera acritica ed automatica e, in questo caso, la verifica del fondamento del potere sanzionatorio amministrativo non può essere lasciato alla sola iniziativa delle parti. Infatti la tutela del principio costituzionale della riserva di legge, secondo il quale “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” (art. 23 Cost.), e del principio di legalità, che impone che “Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione” (art. 1 l.689/81), costituiscono fondamento della giuridicità dell’azione dello Stato in senso lato inteso come pubblica amministrazione “…con obbligo del giudice di rilevare d’ufficio la sua eventuale violazione“.
Non si può applicare l’art. 7-bis del TUEL alle sanzioni in tema di rifiuti
Come si è già detto, lo stesso principio di legalità delle sanzioni amministrative non consente interpretazioni estensive della riserva di legge posta a fondamento delle stesse, stabiledosi espressamente che “Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati” (art. 1 c. 2 l. 689/81[1]) . La Suprema Corte ha infatti affermato che: «... il rispetto del principio di tipicità e legalità nell’ambito dell’illecito amministrativo comporta che la fattispecie dell’illecito e la relativa sanzione non possono essere introdotti direttamente da fonti normative secondarie, pur ammettendosi che i precetti della legge, se sufficientemente individuati, possano essere integrati da norme regolamentari, in virtù della particolare tecnicità della dimensione in cui le fonti secondarie sono destinate ad operare (Sez. 2, n. 7371/2009)».
Ne consegue che non si possono creare fantasiose ipotesi sanzionatorie, prive di fondamento normativo, come avviene per la diffusa patologia della “regolamentite” che affligge i comuni che pensano ancora di essere al tempo dei liberi comuni del medioevo, applicando sanzioni amministrative per i casi di “mancato o errato conferimento di rifiuti”, per i quali se ne è già espresso il parere in ordine alla illegittimità e illiceità, poiché il principio di tipicità e tassatività non consente di applicare estensivamente l’art. 7-bis del TUEL[2] che è riferito con tutta evidenza, ai casi in cui “…il comune e la provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza…” di cui al precedente art. 7 del TUEL[3] e quindi non anche alle materie delegate alla competenza comunale da altre leggi che non siano il TUEL stesso. La Suprema Corte ha infatti affermato che: «La copertura legislativa dell’atto impugnato non può essere rinvenuta negli artt. 7 e 7-bis del d.lgs. n. 267 del 2000. Infatti, l’art. 7 del d.lgs. n.267 del 2000 prevede che il comune e la provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto».
La residualità dell’ipotesi sanzionatoria dell’art. 7-bis TUEL e la conseguente inapplicabilità di importi sanzionatori definiti dal Comune
Inoltre la stessa Corte ha ribadito il valore residuale della disposizione sanzionatoria dello stesso art. 7-bis del TUEL, che vale solo “salvo diversa disposizione di legge” e, si ribadisce che la materia dei rifiuti non è tra le competenze proprie del Comune (art. 7 TUEL) per le quali si può applicare la sanzione di cui all’art. 7-bis, affermando che ad esse l’ente non possa applicare importi sanzionatori per il pagamento in misura ridotta fissati dalla l. 689/1981 (art. 16 l. 689/1981[4]). La Corte di legittimità infatti ha scritto: «…l’art. 7-bis d.lgs. n. 267 del 2000, richiamato all’art. 64 del medesimo regolamento, prevede una diversa sanzione pecuniaria da applicarsi solo in via residuale “salvo diversa disposizione di legge”, per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali. Infatti, tale norma indica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro, mentre il regolamento del Comune di Roma ha introdotto una sanzione da 50 a 300 euro per il mancato adempimento agli obblighi di cui al comma 7 dell’art. 14, oggetto della contestazione in esame».
Conclusioni
La Cassazione ha nuovamente censurato il deprecabile abuso del potere regolamentare da parte dei Comuni, afflitti come si è detto ironicamente dalla “regolamentite”, che credono di poter derogare dalle leggi quasi fossero signori feudali del proprio territorio, come in altri casi si è fatto credendo di poter derogare alle norme sulla protezione dei dati, a cominciare dall’obbligo della valutazione d’impatto-DPIA.
Restano quindi applicabili ai rifiuti le ipotesi sanzionatorie già indicate in precedenza, le sanzioni amministrative per le violazioni commesse in ambito stradale, ai sensi dell’art. 15 del Codice della Strada, e quelle per i rifiuti di piccolissime dimensioni o prodotti da fumo, di cui all’art. 255 c. 1-bis d. lgs. 152/2006, viceversa tutti gli altri casi, dopo la novella introdotta dalla legge 137/2023 sono soggetti inderogabilmente alla sanzione penale.
LA SENTENZA: Cassazione,II sezione civile, n. 29427 del 24/10/2023.
NOTE
[1] Legge 24 novembre 1981 n. 689 “Modifiche al sistema penale”, art. 1 (Principio di legalità) «1. Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. 2. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati».
[2] Decreto-legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, art. 7-bis (Sanzioni amministrative) «1. Salvo diversa disposizione di legge, per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro. 1-bis. La sanzione amministrativa di cui al comma 1 si applica anche alle violazioni alle ordinanze adottate dal sindaco e dal presidente della provincia sulla base di disposizioni di legge, ovvero di specifiche norme regolamentari. 2. L’organo competente a irrogare la sanzione amministrativa è individuato ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689».
[3] Decreto-legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, art. 7 (Regolamenti) «Nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni».
[4] Legge 24 novembre 1981 n. 689 “Modifiche al sistema penale”, art. 16 (Pagamento in misura ridotta) «1.È ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se piu favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo , oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione. 2. Per le violazioni ai regolamenti ed alle ordinanze comunali e provinciali, la Giunta comunale o provinciale, all’interno del limite edittale minimo e massimo della sanzione prevista, può stabilire un diverso importo del pagamento in misura ridotta, in deroga alle disposizioni del primo comma.
Il pagamento in misura ridotta è ammesso anche nei casi in cui le norme antecedenti all’entrata in vigore della presente legge non consentivano l’oblazione».
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