A quale giudice devono rivolgersi i dipendenti delle regioni, province e comuni e, in particolare, gli appartenenti alla Polizia locale
[Ethica Societas anno 1 n.2]
Abstract: La questione della ripartizione di giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo nelle vertenze di lavoro negli enti locali e della Polizia locale in particolare.
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La giurisprudenza continua a muoversi nella stessa direzione – già prescelta da diversi anni – in merito all’attribuzione di giurisdizione al giudice ordinario delle controversie che vedono protagonisti gli addetti di Polizia Locale.
Ciò risulta ben argomentato nella sentenza n. 3343/2020 del Consiglio di Stato, sezione quinta, che acclarava e definiva la competenza del giudice ordinario per quanto riguarda il conferimento di distintivi di grado agli addetti di polizia locale poichè atti di micro-organizzazione e quindi espressione dei poteri del datore di lavoro della P.A., aggiungendo che anche gli ordini di servizio adottati nei confronti dei controinteressati fossero atti negoziali espressione del potere datoriale. In definitiva il petitum sostanziale riguardava diritti soggettivi e dava luogo a una mera controversia giuslavoristica, esorbitante dal perimetro della giurisdizione amministrativa.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale “sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti gli atti amministrativi adottati dalle Pubbliche Amministrazioni nell’esercizio del potere loro conferito dall’art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, aventi ad oggetto la fissazione delle linee e dei principi fondamentali della organizzazione degli uffici, nel cui quadro i rapporti di lavoro si costituiscono e si svolgono; spetta, invece, al giudice ordinario pronunciarsi sull’illegittimità e/o inefficacia di atti assunti dalle stesse Pubbliche Amministrazioni con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato ai sensi dell’art. 5 dello stesso decreto, di fronte ai quali sono configurabili solo diritti soggettivi, restando irrilevante il fatto che venga in questione un atto amministrativo presupposto, che può essere disapplicato a tutela del diritto azionato” (cfr. Cass., sezione lavoro, 26 giugno 2019, n. 17140; SS.UU., 23 ottobre 2018, n. 26802; 15 dicembre 2016, n. 25840; 3 novembre 2011, n. 22733; 4 aprile 2007, n. 8363).
Nel caso di specie non veniva in rilievo alcun atto di organizzazione dell’ufficio, né la fissazione delle linee fondamentali della relativa organizzazione ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001, bensì il mero inquadramento funzionale dei singoli dipendenti, rientrante nell’ambito delle misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001.
Sulla stessa linea, in seguito, si è pronunciato il TAR Abruzzo, sezione I, L’Aquila, con la sentenza n.383 del 15 luglio 2021. Il ricorrente dipendente a tempo indeterminato del comune e addetto alla Polizia Locale in categoria C, con profilo di “istruttore di vigilanza” del vigente C.C.N.L. – comparto funzioni locali, insorgeva avverso il decreto n. 5 del 17/04/2021 emesso dal sindaco del comune avente a oggetto la “Proroga posizione organizzativa dipendente xx. xx.” denunciando, con un’unica articolata doglianza, vizi di violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili. Si costituivano in resistenza al ricorso il controinteressato e il Comune instando per il rigetto del ricorso in quanto inammissibile e, comunque, privo di fondatezza. Il TAR decideva per l’inammissibilità del ricorso per manifesta inammissibilità legata a difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, anche alla luce dei precedenti del Tribunale in materia.
Sulla base del consolidato orientamento giurisprudenziale, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si fonda sul generale criterio del petitum sostanziale, che deve essere identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronunzia che si chiede al giudice, quanto bensì in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati. In applicazione del predetto criterio, in materia di pubblico impiego privatizzato spettano al giudice amministrativo le controversie inerenti alla legittimità degli atti di macro-organizzazione correlati all’esercizio di poteri autoritativi in quanto gli stessi sottendono una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo, mentre sono devolute alla cognizione del giudice ordinario le controversie relative agli atti di gestione del rapporto di lavoro ai quali si correlano posizioni giuridiche di diritto soggettivo perfetto.
Nella sentenza, veniva precisato che la procedura per l’attribuzione delle c.d. “posizioni organizzative” non dà luogo a un concorso interno o a una progressione verticale ma attiene a una vicenda tutta interna alla gestione del rapporto di lavoro “privatizzato” già instaurato e in corso e rientra, pertanto, nell’ordinario potere gestionale della pubblica amministrazione che sfocia in determinazioni del datore di lavoro aventi natura privatistica, anche se adottate in esito a procedure di tipo comparativo (cfr. T.A.R. Puglia Bari Sez. II, 27/03/2006, n. 1058; T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 15/11/2002, n. 7169).
Ebbene, il Collegio riteneva che, al pari degli atti di attribuzione delle “posizioni organizzative”, anche quelli con cui si dispone la proroga di “posizioni organizzative” già in precedenza conferite siano riconducibili nel novero della gestionalità del rapporto di lavoro, a fronte della quale sono indubbiamente ravvisabili situazioni giuridiche di diritto soggettivo. In relazione a quanto sopra, come già statuito dallo stesso Tribunale (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila sentenza 12 febbraio 2021 n. 64), esula pertanto dal perimetro di cognizione del giudice amministrativo l’esame delle questioni inerenti alla legittimità dei decreti sindacali di conferimento o, come nel caso di specie, di “proroga” degli incarichi per le posizioni organizzative, in quanto le stesse implicano la deduzione di una posizione di diritto soggettivo la cui cognizione appartiene al giudice ordinario ai sensi dell’art. 63, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001.
Per utile raffronto, è interessante anche la sentenza n.12956 del 15 dicembre 2021 del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Roma, Sezione I quater. Essa riguarda il caso di un maresciallo, già in servizio nei ruoli del Ministero della Difesa, in posizione di comando presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, nel periodo dal 2 aprile 2001 al 31 dicembre 2015.
Il ricorrente adiva il TAR per chiedere la condanna della Presidenza del Consiglio al «risarcimento del danno patito da usura-psico fisica», nonché al pagamento «delle ore di attività lavorativa straordinaria prestata e non retribuita nell’ultimo quinquennio di servizio». A sostegno delle pretese fatte valere con il ricorso, il ricorrente aveva argomentato che il Dipartimento della Protezione Civile gli avesse illegittimamente imposto una prestazione lavorativa “a regime” di 48 ore settimanali, e di 192 ore mensili, inesigibile a fronte del limite massimo di 36 ore settimanali stabilito dall’art. 14 del D.P.R. n. 52/2009 e della direttiva dello Stato Maggiore dell’Esercito del 6 marzo 2021; egli sosteneva che l’illegittimo abituale abuso dell’utilizzo della prestazione lavorativa aggiuntiva “straordinaria” […] avesse reso l’attività di lavoro gravemente usurante e di conseguenza ingiustificatamente lesiva della sua integrità psico-fisica. Ebbene a fronte di tali circostanze il TAR riteneva fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’amministrazione citata in giudizio, per le consolidate ragioni di seguito illustrate, rigettando le pretese del maresciallo.
Com’è noto, il personale militare rientra nel novero dei pubblici dipendenti esclusi dal processo di privatizzazione che ha interessato il pubblico impiego a partire dagli anni novanta (cfr. art. 2, l. n. 421/1992; art. 2, d.lgs. n. 29/1993; art. 2, d.lgs. n. 5646/1993; art. 2, d.lgs. n. 80/1998; e art. 3, d.lgs. n. 165/2001), con conseguente sottoposizione di tutte le controversie relative al rapporto di lavoro alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. art. 63, d.lgs. n. 165/2001 e artt. 133, c. 1, lett. i) c.p.a.). Tale giurisdizione esclusiva – in forza del combinato disposto degli articoli sopra richiamati, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza amministrativa – si estende a tutte “le controversie attinenti ai diritti patrimoniali connessi” (cfr. art. 63, c. 4, d.lgs. n. 165/2001), nonché alla cognizione delle azioni inerenti al risarcimento del danno derivante dalla violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c.
È opportuno sottolineare sin d’ora che l’affermazione della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo (sulle cui ragioni e limiti, v. Corte costituzionale, 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191), in tali controversie, ha come presupposti:
- il fatto che il rapporto di lavoro dei dipendenti esclusi dalla privatizzazione è regolato dalla legge, o, sulla base di essa, da altre fonti unilaterali;
- la circostanza che gli atti datoriali con cui l’amministrazione di appartenenza (nel caso dei militari, il Ministero della Difesa) gestisce il rapporto di servizio hanno la qualità di provvedimenti amministrativi.
Le controversie in materia di pubblico impiego non contrattualizzato sono quindi naturalmente assegnate alla cognizione del giudice amministrativo in quanto – al pari delle altre materie sottoposte alla giurisdizione esclusiva – sono «contrassegnate della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo», cfr. Corte Costituzionale, n. 204/2004.
Proprio per le ragioni sopra indicate il TAR riteneva escludersi la sussistenza della giurisdizione del G.A. sulla controversia del Maresciallo, promossa sì da un soggetto che ricopre la qualifica di personale militare, ma che, trovandosi in posizione di comando presso altra amministrazione, ha svolto funzioni proprie del personale civile della stessa (sottratto alla giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 3 e 63, c. 1, d.lgs. n. 165/2001), con conseguente:
- sottoposizione del lavoratore (quantomeno rispetto a tutti i profili connessi alla gestione del “rapporto di servizio” e all’organizzazione del lavoro) a un potere datoriale di tipo privatistico ai sensi dell’art. 5, d.lgs. n. 165/2001;
- rilevanza, ai fini della disciplina della prestazione del ricorrente, delle norme anche di stampo privatistico (CCNL) che regolano il rapporto di lavoro tra l’amministrazione presso cui il militare è distaccato e i propri impiegati civili addetti al medesimo ufficio.
A tal proposito, è opportuno ricordare che la giurisprudenza amministrativa ha più volte evidenziato che la posizione di comando non muta il rapporto organico che continua a sussistere tra il dipendente e l’ente di appartenenza, bensì modifica il cosiddetto rapporto di servizio, «essendo il dipendente comandato inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale che sotto quello gerarchico e disciplinare, nell’amministrazione di destinazione, a favore della quale esclusivamente presta la sua opera», cfr. ex multis TAR Marche, 8 ottobre 2007, n. 613.
Per utile memoria, l’art. 24 della Costituzione sancisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. L’art. 103 della Costituzione, invece, riconosce la giurisdizione del Giudice Amministrativo per la tutela, nei confronti della PA, degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. Infine, l’art. 113 della Costituzione stabilisce che contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinnanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa.
I principi sanciti dalla Carta Costituzionale hanno trovato pieno riconoscimento e completa attuazione nel Codice del processo amministrativo (D.Lgs. n.104/10). modo particolare, l’art. 7 del C.p.a.[1] ha chiarito il riparto di giurisdizione tra Giudice amministrativo e Giudice ordinario basandolo proprio sul binomio diritto soggettivo-interesse legittimo che, come si è potuto constatare, continua a essere alla base di tutte le pronunce giudiziarie riguardanti soprattutto le controversie di lavoro.
NOTE:
[1] D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 , Codice del processo amministrativo, art. 7 c.1 «Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico».
Scarica l’articolo: Ethica societas 10-11
Link alla rivista ETHICA SOCIETAS anno 1 numero 2.
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