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IL “DASPO URBANO” EMESSO DAL QUESTORE È SOTTO ATTACCO?(Sentenza Corte Costituzionale n. 47 del 24.01.2024), Luigi De Simone

Si, ma resiste al vaglio della Corte Costituzionale!

Luigi De Simone

Abstract: Secondo la Corte Costituzionale, che si è pronunciata con la sentenza n. 47 del 24 gennaio 2024 sul ricorso proposto dal Tribunale Monocratico di Firenze, il “Daspo urbano”, introdotto dal cd “Decreto Minniti”, non contrasta con i principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza e libera circolazione delle persone, in quanto, quale misura di prevenzione “atipica”, consistente nel divieto di accesso ad aree nevralgiche per la sicurezza, sarà imposto al soggetto destinatario quando dalla sua condotta si desuma il pericolo di commissione di reati e sarà applicato quando, dalla predetta condotta, derivi un concreto pericolo per la sicurezza delle aree destinate alla mobilità o soggette ad un consistente flusso di persone, o di altre aree urbane individuate dai Comuni.

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Il Giudice delle Leggi, con la Sentenza n. 47 del 24 gennaio, depositata lo scorso 25 marzo, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze1, sul “daspo urbano” introdotto dal c.d. “Decreto Minniti”2.

In primo luogo il citato Tribunale rimettente chiedeva alla Corte Costituzionale di verificare la legittimità costituzionale dell’ art. 10, rubricato “Divieto di accesso”, comma 23, del citato “Decreto Minniti”, che, come noto, in casi di reiterazione delle condotte di cui  all’art. 9 rubricato “Misure a tutela del decoro di particolari luoghi”, commi 1 e 24 (che consentono di infliggere un ordine di allontanamento di quarantotto ore direttamente dall’operatore di polizia intervenuto), stabilisce che il Questore può disporre il divieto di accesso a carico dello stesso soggetto, per un periodo massimo di dodici mesi, se viene messa in pericolo la sicurezza di aree delle infrastrutture dei servizi di trasporto ed di altre aree urbane individuate, eventualmente, da regolamenti comunali, come per esempio nel Regolamento di Polizia Urbana utilizzato nella maggior parte dei comuni a seguito della previsione normativa de quo.

In particolare, il Giudice monocratico ipotizzava il contrasto con l’articolo 3 Cost., dubitando sulla ragionevolezza e proporzionalità della misura (divieto di accesso per dodici mesi), con l’articolo 16 Cost. per l’indeterminatezza del concetto di sicurezza come presupposto per l’applicazione della misura e con l’articolo 117 Cost. per il contrasto con l’articolo 2 rubricato “Libertà di circolazione” del protocollo n. 4 della CEDU5, in quanto ci sarebbero margini di discrezionalità troppo ampi nel valutare la sussistenza del pericolo alla sicurezza.

In secondo luogo il rimettente supponeva il contrasto, con il predetto articolo 3 Cost., dell’ordine di allontanamento di quarantotto ore, in quanto misura irragionevole, applicabile per condotte prive di rilevanza penale e non applicabile, invece, per condotte più gravi e con rilevanza penale come risse e lesioni verificatesi negli stessi luoghi.

Infine il giudice di primo grado lamentava che l’applicazione dell’ordine di allontanamento per quarantotto ore, ex articolo 9, fosse limitativo della libertà personale vista l’automaticità del divieto, a prescindere dall’esistenza di motivi di sicurezza (o di sanità), ponendosi, quindi, in contrasto con il citato articolo 16 Cost.

La Corte Costituzionale ha respinto tutte le ipotesi di incostituzionalità ipotizzate dal Tribunale monocratico di primo grado.

In primis  ha ritenuto che l’art. 10, comma 2, del Decreto Legge n. 14/2017 debba essere interpretato in modo tale da escludere il prospettato contrasto con gli artt. 3, 16 e 117, primo comma, Cost.. Infatti secondo i Giudici di legittimità, il concetto di sicurezza, presupposto per l’applicazione del divieto di accesso emesso dal Questore, non deve essere confuso con il concetto  di “sicurezza urbana”, come definita dallo stesso Decreto Minniti6, bensì si dovrà valutare coerentemente con la natura di misura di prevenzione atipica dell’istituto e rispettoso della garanzia di libertà dei cittadini. In buona sostanza il divieto di accesso potrà essere legittimamente disposto esclusivamente quando vi sia un concreto pericolo di commissione di reati desunto «dalla condotta tenuta» dal destinatario della misura.

In secondo luogo la Corte ha dichiarato, altresì, non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, in quanto ci troviamo al cospetto dell’ampia discrezionalità spettante al Legislatore, a cui compete l’individuazione delle condotte che contribuiscono maggiormente a creare un clima di insicurezza nelle aree considerate e che implicano una prolungata e indebita occupazione di spazi nevralgici per la mobilità o comunque interessati da rilevanti flussi di persone. Nemmeno sotto il profilo della carenza di precisione della norma nell’individuazione dei presupposti della misura sono state riscontrate criticità, sia rispetto alla ragionevolezza, sia rispetto alla proporzionalità e sia rispetto alla libera circolazione delle persone.

Infine la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile, per difetto di rilevanza nel giudizio de quo, il terzo motivo di incostituzionalità ipotizzato dal Tribunale Monocratico sull’automaticità dell’ordine di allontanamento per quarantotto ore irrogato direttamente dagli operatori di polizia.

Dunque superata a pieni voti la legittimità costituzionale dei due istituti, per la prima volta introdotti dal Legislatore italiano per tutelare la “sicurezza delle città e il decoro urbano”, introdotti nel 2017, e poi modificati nel 2018 con il Decreto Sicurezza, di cui al D. L. 4 ottobre 2018 n. 113, convertito con Legge primo dicembre 2018 n. 132, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonchè misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata” e successivamente  ampliati con il D.L. 21 ottobre 2020, n. 130 rubricato “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale”, convertito con Legge 18 dicembre 2020, n. 173, consentendo l’applicazione del divieto di accesso anche per esercizi pubblici e locali di pubblico intrattenimento, considerate come vere e proprie misure di prevenzione personali “atipiche”.

Occorre evidenziare che il “daspo urbano” è figlio del c.d. “daspo sportivo”, introdotto nel nostro ordinamento per contrastare la violenza negli stadi, a seguito della Convenzione Europea conclusa a Strasburgo il 19 agosto del 1985, dopo gli scontri della finale della Coppa Campioni, disputata a maggio dello stesso anno, a cui seguì la Legge 13 dicembre 1989 n. 401, rubricata “Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive”, tra l’altro, anch’essa oggetto di giudizio di legittimità costituzionale, conclusosi con la Sentenza n. 512 del 20 novembre 2002 e depositata il 4 dicembre 2002, che ha decretato, anche in questo caso, la legittimità costituzionale del daspo sportivo.

Inoltre durante gli anni delle varie modifiche del “daspo urbano”, appena evidenziati (2017-2020) il Legislatore ha introdotto una nuova figura di “daspo” ovvero il “daspo per i corrotti”, previsto dalla Legge 9 gennaio 2019  n. 3 (c.d. “Spazzacorrotti”), che prevede l’interdizione dai pubblici uffici e l’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione per chi è condannato in via definitiva per eventi corruttivi.


NOTE

  1. Sezione I penale, con Ordinanza n. 28 del 30 gennaio 2023.
  2. Introdotto dagli  9 e 10 del D. L. 20 febbraio 2017 n. 14, come convertito, con modificazioni, dalla Legge 18 aprile 2017  n. 48 rubricato  “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”;
  3. Comma 2 “Nei casi di reiterazione delle condotte di cui all’articolo 9, commi 1 e 2, il questore, qualora dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza, può disporre, con provvedimento motivato, per un periodo non superiore a dodici mesi, il divieto di accesso ad una o più delle aree di cui all’articolo 9, espressamente specificate nel provvedimento, individuando, altresì, modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell’atto. Il contravventore al divieto di cui al presente comma è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno.”.
  4. Comma 1 “Fatto salvo quanto previsto dalla vigente normativa a tutela delle aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze, chiunque ponga in essere condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione delle predette infrastrutture, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 100 a euro 300. Contestualmente all’accertamento della condotta illecita, al trasgressore viene ordinato, nelle forme e con le modalità di cui all’articolo 10, l’allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto.” comma 2. “Ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dagli articoli 688 e 726 del Codice penale e dall’articolo 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, nonché dall’articolo 7, comma 15-bis, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 del presente articolo è disposto altresì nei confronti di chi commette le violazioni previste dalle predette disposizioni nelle aree di cui al medesimo comma.” Omissis.
  5. Protocollo n. 4, articolo 2: comma 1 – Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza. comma 2 – Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio. Comma 3 – L’esercizio di tali diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e libertà altrui. Comma 4 – I diritti riconosciuti al paragrafo 1 possono anche, in alcune zone determinate, essere oggetto di restrizioni previste dalla legge e giustificate dall’interesse pubblico in una società democratica.
  6. Articolo 4 comma 1 (come modificato in sede di conversione). “Ai fini del presente decreto, si intende per sicurezza urbana il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree o dei siti degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni.”

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