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IL PANTOUFLAGE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, Chiara Salzano

La pratica del pantouflage, o “porte girevoli”, nel settore pubblico: normativa, strumenti di prevenzione e casi particolari.

Chiara Salzano

Abstract: Il cosiddetto pantouflage, o revolving doors, è uno dei più frequenti fenomeni corruttivi nella Pubblica Amministrazione: gli strumenti di prevenzione della corruzione assumono, di fatto, ruoli di spicco nell’elaborazione di strategie funzionali, volte ad incrementare il rispetto delle norme, nonché ad una valorizzazione dell’aspetto etico del lavoro. In particolare, dall’esame delle misure e dei meccanismi pre-employment, in-employment e post-employment, è possibile individuare la ratio sottesa alle norme vigenti in materia, a tutela dei principi di legalità, trasparenza e imparzialità della P.A.

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IL CONTESTO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

Il fenomeno del cosiddetto pantouflage o revolving doors consiste nella pratica di esercizio contra legem dell’attività istituzionale[1] da parte dei dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per le pubbliche amministrazioni, venendo poi assunti dagli stessi soggetti privati destinatari dei provvedimenti.

Il pantouflage è stato introdotto dalla legge n. 190/2012, avente ad oggetto “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, la quale all’art. 1, co. 42, lett. l) ha previsto, dopo il comma 16-bis dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, l’aggiunta di un ulteriore comma, il 16-ter, recante il seguente dispositivo: «16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti».

All’articolo 43 della legge anticorruzione, inoltre, è stato disposto che i dettami di cui all’articolo 53, comma 16-ter, secondo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, non si applicano ai contratti già sottoscritti alla data di entrata in vigore della succitata legge.

Sul punto, invero, vi è ulteriormente il D. Lgs. 08/04/2013, n. 39, “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”, entrato in vigore il 04/05/2013, il quale all’articolo 21, denominato “Applicazione dell’articolo 53, comma 16-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001”, circostanzia ancor meglio la definizione di dipendenti delle pubbliche amministrazioni, estesa anche a tutti quei soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al summenzionato decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico, stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo; i divieti, si precisa infine, si applicano a far data dalla cessazione dell’incarico.

LE MISURE E MECCANISMI PRE-EMPLOYMENT, IN-EMPLOYMENT E POST-EMPLOYMENT

Tutte le disposizioni contenute nel decreto legislativo in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e presso gli enti privati in controllo pubblico, sono prevalenti e imperanti rispetto alle numerose leggi regionali di riferimento, in quanto norme di attuazione degli articoli 54 e 97 della Costituzione: esse si estrinsecano in meccanismi tutelativi pre-impiego (le c.d. “inconferibilità”, ossia i divieti temporanei di accesso alla carica) e in corso di impiego (le c.d. “incompatibilità”, ossia il cumulo di più cariche)[2]. Residuano, inoltre, i meccanismi tutelativi post-impiego.

Appare evidente, dunque, la ratio sottesa alla disciplina in esame, sinotticamente enunciata dai principi cardine di diritto posti a fondamento delle norme vigenti in materia.

Indiscutibilmente, è enucleata la finalità di contenimento del rischio di situazioni di corruzione, connesse all’impiego del dipendente successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione[3], nel corso del cosiddetto “ periodo di raffreddamento”.

Di talché, l’intento del legislatore si evince chiaramente dalla valutazione degli strumenti di prevenzione della corruzione con meccanismi mirati a prevenire i possibili fenomeni corruttivi, traffici di influenze e conflitti di interessi, anche ad effetti differiti, ovvero latu sensu intesa, c.d. maladministration[4], idealmente ancor prima che questi possano verificarsi, e a contrastarli laddove questi siano già avvenuti.

I meccanismi post-employment, preordinati a ridurre i rischi connessi all’uscita del dipendente dalla sfera pubblica e al suo passaggio, per qualsivoglia ragione, al settore privato, si traducono, in particolare, in forti limitazioni dell’autonomia negoziale del lavoratore dopo la cessazione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione: si tratta, effettivamente, di una forte ingerenza nella sfera lavorativa, privata e sociale del cittadino, giustificata però da una finalità a presidio dell’interesse pubblico generale, di fatto prevalente.

A questo si affiancano i meccanismi pre-employment, ossia i divieti temporanei di accesso alla carica, puntualmente enumerati dal D. Lgs. 8 aprile 2013, n. 39, purtuttavia finalizzati a prevenire i possibili conflitti di interesse nell’accesso agli incarichi pubblici, ancor prima del loro conferimento.

I meccanismi di in-employment, le c.d. “incompatibilità”, ossia il cumulo di più cariche, sono anch’esse enunciate in uno al Decreto Legislativo innanzi menzionato e si verificano laddove i dipendenti, già in forze presso la pubblica amministrazione, svolgono attività che determinano l’insorgenza di un possibile conflitto d’interesse con l’attività lavorativa, pregiudicando l’esercizio imparziale delle funzioni a quest’ultimo attribuite[5].

Impreteribile soffermarsi, a riguardo, sul sistema autorizzatorio attualmente vigente e afferente l’incompatibilità, cumulo di incarichi e di impieghi per i dipendenti della pubblica amministrazione.

I dipendenti, infatti, possono svolgere incarichi retribuiti conferiti da altri soggetti, pubblici o privati, solo se autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

Le amministrazioni, in tal senso, sono deputate a fissare criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, in base ai quali rilasciare l’autorizzazione. Restano esclusi, da tale regime, gli incarichi elencati nel comma 6 del già citato articolo 53.

L’inosservanza delle disposizioni vigenti comporta l’applicazione del consequenziale regime sanzionatorio, per cui al funzionario responsabile del procedimento possono essere irrogate le relative sanzioni, all’esito dell’incardinazione del procedimento presso l’UPD, finalizzato all’accertamento di comportamenti disciplinarmente rilevanti: in particolare, la nullità del provvedimento e del compenso previsto come corrispettivo dell’incarico, versato direttamente all’amministrazione di appartenenza del dipendente e destinato ad incrementare il fondo per la produttività dei dipendenti.

Altresì, per il dipendente che svolge l’incarico in assenza di autorizzazione, il relativo compenso è versato, da questi o dall’erogante, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza.

Le amministrazioni possono avvalersi, nell’applicazione della normativa in materia di svolgimento di incarichi da parte dei dipendenti e di orientare le scelte in sede di elaborazione dei regolamenti e degli atti di indirizzo, del documento contenente “Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti“, approvato dal tavolo tecnico a cui hanno partecipato il Dipartimento della funzione pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’ANCI e l’UPI, avviato ad ottobre 2013, in attuazione di quanto previsto dall’intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013.

I criteri indicati nel documento offerto dal Dipartimento della Funzione Pubblica, sussumono una serie di incarichi vietati per i pubblici dipendenti, a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, che traggono origine dalla normativa vigente, dagli indirizzi generali e dalla prassi applicativa.

Sono brevemente compendiate tutte le possibili fattispecie che concretamente potrebbero verificarsi nel corso dell’attività istituzionale dell’ente, purtuttavia non esauriscono completamente i casi di preclusione. Difatti, rimangono salve tutte le eventuali disposizioni normative che stabiliscono ulteriori situazioni di preclusione o fattispecie di attività in deroga al regime di esclusività.

In particolare, il documento pone l’accento sui rapporti intercorrenti tra il dipendente e i soggetti esterni, tra cui figurano: incarichi che si svolgono a favore di soggetti nei confronti dei quali la struttura di assegnazione del dipendente ha funzioni relative al rilascio di concessioni o autorizzazioni o nulla-osta o atti di assenso comunque denominati, anche in forma tacita; gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti fornitori di beni o servizi per l’amministrazione, relativamente a quei dipendenti delle strutture che partecipano a qualunque titolo all’individuazione del fornitore; gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che detengono rapporti di natura economica o contrattuale con l’amministrazione, in relazione alle competenze della struttura di assegnazione del dipendente, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge; gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che abbiano o abbiano avuto nel biennio precedente un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all’ufficio di appartenenza.

Sono, in ogni caso, preclusi a tutti i dipendenti, a prescindere dall’orario di lavoro, una serie di incarichi potenzialmente pregiudizievoli per l’ente di provenienza.

Tra questi figurano gli incarichi che, in aggiunta a quelli già conferiti o autorizzati, evidenziano il pericolo di compromissione dell’attività di servizio, oppure gli incarichi a favore di dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale, salve le deroghe autorizzate dalla legge.

Fondamentale il ruolo svolto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, alla quale è conferito il potere di vigilanza sul rispetto della corretta applicazione della normativa da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, e che può servirsi, nel concreto svolgimento dei propri adempimenti, anche di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi.

LA CENTRALITÀ DEL RUOLO DI ANAC

Fulcro centrale del nuovo Piano Nazionale Anticorruzione, la delimitazione dei confini operativi e della corretta applicazione delle clausole anti-pantouflage, sussunte preliminarmente all’interno delle fonti normative, è affidata in via principale all’Autorità Nazionale Anticorruzione, la quale, come sopra accennato, è chiamata direttamente a vigilare[6] sulle fattispecie concretamente segnalate e verificatesi nella Pubblica Amministrazione.

Il ruolo svolto dall’Anac è particolarmente dinamico, e si dispiega anche nella promanazione di indirizzi interpretativi e operativi, come avvenuto con la pubblicazione dei recenti PNA del 2019 e del 2022[7], con la richiesta di previsione dell’inserimento di apposite clausole di divieto di pantouflage negli atti di assunzione del personale, la previsione di una dichiarazione da sottoscrivere al momento della cessazione dal servizio o dall’incarico, con cui il dipendente si impegna al rispetto del divieto di pantouflage, allo scopo di evitare eventuali contestazioni in ordine alla conoscibilità della norma, la previsione nei bandi di gara o negli atti prodromici agli affidamenti di contratti pubblici dell’obbligo per l’operatore economico concorrente di dichiarare di non avere stipulato contratti di lavoro o comunque attribuito incarichi a ex dipendenti pubblici in violazione del predetto divieto, in conformità a quanto previsto nei bandi-tipo adottati dall’Autorità[8].

Proprio alla luce di tutti gli aspetti sopra evidenziati, l’Autorità ha ritenuto di dover trasmettere un proprio atto di segnalazione al Parlamento, il n. 6 del 27 maggio 2020, avente ad oggetto alcune proposte di rafforzamento dell’istituto, e soprattutto possibilità di applicarlo al meglio[9].

A chiosa del documento di segnalazione, una postilla afferente l’insufficienza normativa che investe l’applicazione delle sanzioni, creando evidenti difficoltà applicative e operative all’Autorità stessa.

La richiesta di uniformare la disciplina vigente sul tema è accompagnata, inoltre, dalla richiesta di estendere l’applicabilità del pantouflage agli enti di diritto privato in controllo pubblico e regolati da figure dirigenziali che abbiano partecipato all’adozione dei provvedimenti autorizzativi o negoziali, sottolineando, inoltre, la sproporzione di alcune delle sanzioni da adottare.

Un contributo significativo da parte di Anac è rappresentato dalla predisposizione del bando tipo n. 1 del 2023, contenente una previsione anti-pantouflage.

Già al tempo, ai numerosi quesiti proposti circa la natura interpretativa della clausola apposta al bando tipo, è stata offerta una risposta chiarificatrice, la quale dirime le principali questioni controverse e fornisce una linea di indirizzo agli enti pubblici: per partecipare alle procedure ad evidenza pubblica, l’operatore economico è tenuto a rendere la dichiarazione contenuta nel DGUE, disvelando se si trovi o meno ‘nella condizione prevista dall’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 (pantouflage o revolving door) in quanto ha concluso contratti di lavoro subordinato o autonomo e, comunque, ha attribuito incarichi ad ex dipendenti della stazione appaltante che hanno cessato il loro rapporto di lavoro da meno di tre anni e che negli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto della stessa stazione appaltante nei confronti del medesimo operatore economico[10].

In ultimo, quale iniziativa di compartecipazione allo schema di linee guida sul divieto di pantouflage, approvato dal Consiglio Anac, il 13 Marzo 2024, quest’ultimo è stato posto in consultazione pubblica sul sito dell’Autorità sino al 10 Maggio, al fine di ottenere eventuali proposte e osservazioni da parte degli interessati, con la compilazione di un semplice format on-line.

Il documento fornisce indirizzi interpretativi e operativi sui profili sostanziali e sanzionatori riguardo il divieto di pantouflage, non già esaminati nel Piano Anticorruzione 2022, allo scopo precipuo di incrementare la qualità e la quantità delle indicazioni già divulgate in passato, orientando ancor meglio le amministrazioni e gli enti nella individuazione di apposite misure di prevenzione[11].

La gestione dei conflitti di interesse, pertanto, deve essere volta al mantenimento dell’integrità del settore pubblico, valorizzando il rispetto dei principi di legalità, trasparenza ed imparzialità tipici della pubblica amministrazione, prevenendo, ove possibile, la genesi di fenomeni corruttivi, di frodi e abusi che potrebbero influenzare negativamente i fondi propri e il buon andamento dell’ente pubblico.

Appare opportuno sottolineare, ancora una volta, l’importanza della corretta formazione sul tema dei dipendenti, dei funzionari, e di tutti i soggetti che rivestono ruoli apicali, nella prevenzione e nella gestione dei fenomeni corruttivi, di sicuro nocumento per l’ente, congiuntamente alle autorità, le quali tuttavia devolvono il proprio impegno principalmente in tema di monitoraggio e applicazione del regime sanzionatorio, ove necessario.

IL DIVIETO DI PANTOUFLAGE: APPLICABILITÀ ALLE SOCIETÀ IN HOUSE

La normativa in materia di divieto di pantouflage ha generato il perpetuarsi di dubbi circa la possibilità della sua applicazione anche alle società cosiddette in house, ovverosia costituite da uno o più enti pubblici per fornire servizi pubblici, se solo gli stessi enti sono azionisti, e se svolgono principalmente attività a beneficio degli enti partecipanti, con controlli gestionali simili a quelli esercitati dagli enti pubblici stessi[12].

La risposta, secondo Anac, non può che essere positiva, quantomeno in astratto.

Le società in house, in quanto enti riconducibili alla nozione di soggetti privati, soggetti a controllo pubblico, cui si riferisce l’articolo 53, comma 16-ter , così come interpretato in combinato disposto con l’art. 21 del d.lgs. n. 39 2013, rientrano idealmente nell’ambito applicativo della normativa anti-camouflage, sebbene, di fatto, vi siano numerose discussioni di carattere dottrinale e giurisprudenziale sul tema.

Sicché appare opportuno valutare anche le singole fattispecie concrete.

All’interno della delibera n. 1090 del 16 Dicembre 2020, infatti, Anac precisa che le peculiarità che caratterizzano le società in house providing, sono tali da essere assimilabili ad una qualunque altra articolazione interna dell’amministrazione, che su di essa esercita il c.d. controllo analogo, così che inducano ad escludere che si possa concretizzare un conflitto di interessi del tipo di quello che la normativa mira ad evitare[13].

Ciò avviene, ad esempio, nella circostanza in cui l’incarico da conferire abbia luogo proprio presso l’ente di diritto privato direttamente e totalmente controllato dall’amministrazione di provenienza dell’aspirante incaricato: l’attribuzione dell’incarico di destinazione nell’ambito di una società controllata avviene nell’interesse della stessa amministrazione controllante, e ciò determina la carenza di uno degli elementi essenziali della fattispecie preclusiva sopra descritta, ovvero il dualismo di interessi pubblici/privati ed il conseguente rischio di strumentalizzazione dei pubblici poteri rispetto a finalità privatistiche[14].

Il conforto giurisprudenziale circa la natura giuridica delle società in house, proveniva già dal Consiglio di Stato, secondo il quale la società in house non sarebbero state un vero e proprio soggetto giuridico, mancando il requisito dell’alterità soggettiva rispetto all’amministrazione pubblica, in conformità con la giurisprudenza amministrativa e civile prevalente[15], sebbene il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, riconoscesse invece alla società in house una natura privata in quanto società dotata di una sua autonoma soggettività giuridica.

Si tratta, tuttavia, di una disquisizione di carattere giuridico-dottrinale secondaria, in quanto l’Anac ha uniformato il proprio orientamento imperniandolo su quella che è la ratio sottesa al divieto imposto dalla suddetta disposizione: a fronte dell’insussistenza della contrapposizione interesse pubblico/privato nell’attività degli enti interessati e, quindi, del rischio che il primo possa essere strumentalizzato per finalità di natura privata, viene meno uno degli elementi costitutivi della fattispecie vietata.

De facto, fatte salve le singole fattispecie concrete che l’Autorità si riserva di valutare caso per caso, laddove sia paventato un potenziale pantouflage, non vi è contrapposizione né conflitto di interessi per l’ex-dipendente che voglia assumere un incarico presso una società in house, prevalentemente o totalmente controllata dall’ente presso cui precedentemente prestava servizio, in quanto viene meno il requisito sostanziale di mala gestio e di strumentalizzazione per finalità di natura privata dell’interesse pubblico, su cui è incardinata l’intera previsione normativa di settore.

Per cui, un incarico svolto presso una società in house, in quanto longa manus della PA, è volto al perseguimento di interessi pubblici[16].

Sebbene l’orientamento dell’Autorità in tema di società in house possa sembrare in contrasto con altri pareri già resi sull’argomento negli anni precedenti, è altrettanto chiaro che ogni fattispecie vada incasellata in una propria specifica condizione e che non possa essere considerato auspicabile, sic et simpliciter, un automatismo applicativo delle disposizioni normative rese nell’ambito del divieto di pantouflage.

In conclusione, la disciplina che regola l’istituto in esame si distingue per l’estrema dinamicità e la continua evoluzione nel corso del tempo, volta a migliorarne l’ambito applicativo e cesellarne l’estensione: l’auspicio è che, anche grazie al diretto coinvolgimento degli operatori di settore, si possa migliorare e incrementare l’efficacia delle misure volte a prevenire e contrastare i fenomeni corruttivi nell’ambito della pubblica amministrazione, svolgendo collateralmente un ruolo culturale che possa fungere da perno al fine di indirizzare i dipendenti sempre più al rispetto delle norme e ad una valorizzazione dell’aspetto etico del proprio lavoro.


NOTE:

[1] Laura Facondini, La clausola di c.d. pantouflage nella legge anticorruzione, 2019 

[2]https://dirittoeconti.it/obbligo-di-pantouflage-e-societa-in house/#:~:text=lgs.,suddetti%20poteri%20autoritativi%20e%20negoziali 

[3] https://piao.dfp.gov.it/data/documents/104663/PIAO_2024_2026.pdf

[4] https://www.segretaricomunalivighenzi.it/09-12-2020-il-divieto-del-pantouflage-o-revolving-doors-c-d-porte-girevoli-negli-enti-pubblici-economici-serve-la-prova-concreta/

[5] https://www.funzionepubblica.gov.it/lavoro-pubblico-e-organizzazione-pa/rapporto-di-lavoro-pubblico/incompatibilita-cumulo-di-impieghi-e

[6] https://www.anticorruzione.it/documents/91439/39459199/10.ANAC+-+Relazione+annuale+2022+-+Pantouflage.pdf/31138de0-b08f-9ef9-f8c8-5a6c2289ddec?t=1655914271213

[7] https://www.segretaricomunalivighenzi.it/il-pantouflage-nei-lavori-pubblici/

[8] https://www.segretaricomunalivighenzi.it/09-12-2020-il-divieto-del-pantouflage-o-revolving-doors-c-d-porte-girevoli-negli-enti-pubblici-economici-serve-la-prova-concreta/

[9] https://www.anticorruzione.it/documents/91439/39459199/10.ANAC+-+Relazione+annuale+2022+-+Pantouflage.pdf/31138de0-b08f-9ef9-f8c8-5a6c2289ddec?t=1655914271213

[10] https://www.anticorruzione.it/-/news.09.04.24.faq.bandotipo1

[11] https://www.anticorruzione.it/-/news.09.04.24.pantouflage

[12] Corte di Cassazione, sentenza n. 567 del 2024

[13] https://www.amministrazioneincammino.luiss.it/wp-content/uploads/2023/01/CAMPO-PANZERA.pdf

[14] Delibera Anac N. 1090 del 16 dicembre 2020

[15] Cass. civ., S.U., 25 novembre 2013, n. 26283; id., 10 marzo 2014, n. 5491; 26 marzo 2014, n. 7177; 9 luglio 2014, n. 15594; 24 ottobre 2014, n. 22609; 24 marzo 2015, n. 5848; si v. anche Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1.

[16] Cfr. anche delibera ANAC n. 1090 del 16 dicembre 2020 ”Richiesta di parere in merito all’applicabilità dell’art. 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001 all’incarico di Direttore Generale di omissis da affidarsi al Direttore Generale di omissis ed ex Direttore ad interim del Dipartimento omissis”.


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