Proviamo a fare un po’ di chiarezza su chi segnala i misfatti delle PA
Abstract: Il whisteblower, figura introdotta dal Piano Nazionale Anticorruzione approvato dall’ANAC nel 2013, ma che si afferma con l’emanazione della legge 30 novembre 2017, n. 179, è il dipendente pubblico che segnala al “responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza” della sua struttura, all’Autorità Nazionale Anticorruzione, alla Corte dei Conti, o all’Autorità Giudiziaria, reati o irregolarità di cui sia venuto a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro. Ma vediamo se può avere concrete ripercussioni penali quando segnala cose non vere.
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- Premesse
Prima di provare a capire se, e con quali modalità, il whistleblower può essere colpevole dei delitti di diffamazione e di calunnia, occorre capire cosa si intende, appunto, per whistleblower, una figura che, indipendentemente dalla definizione, più o meno chiara, compare nel nostro sistema a partire dal 2013, con l’approvazione del Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici1 e soprattutto con l’approvazione del PNA 20132, ma che ha preso piede sostanzialmente solo dal 2017, con l’emanazione della Legge 30 novembre 2017 n. 179, rubricata “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” che, con l’art. 1, comma 1, ha riformulato l’art. 54-bis del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, meglio conosciuto come Testo Unico del Pubblico Impiego (T.U.P.I.), articolo poi abrogato dal Decreto Legislativo 10 marzo 2023 n. 24 rubricato “Attuazione della direttiva (UE) 2019/19373 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione” e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali.
Dai provvedimenti legislativi, sia italiani che europei, appena citati non si evince un chiaro significato derivante dalla traduzione in lingua italiana del sostantivo di origine anglosassone. Tale difficoltà era già emersa ancora prima del 2017, ovvero quando l’Accademia della Crusca, nel 2014, interpellata sul punto, dopo due anni dalla Legge c.d. “Anticorruzione”, già dichiarava che non esiste un termine semanticamente uguale in italiano, capace di tradurre il termine e il suo significato. Con la citata Legge, 6 novembre 2012, n. 190, rubricata “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”, fu inserito il già citato articolo 54-bis del T.U.P.I., poi modificato, in virtù del quale fu introdotta nell’ordinamento italiano una particolare misura finalizzata a favorire l’emersione delle fattispecie di illecito all’interno delle Pubbliche Amministrazioni.
2. Le tutele riconosciute in Italia
Il sostantivo whisteblower significa, letteralmente, “soffiatore di fischietto” (riferito all’arbitro che segnala un fallo e che cerca di attirare l’attenzione) o con effetto più spettacolare significa “gola profonda” (riferita ad un informatore segreto). L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC)4 sostanzialmente definisce il whistleblower un dipendente della pubblica amministrazione (oppure di un ente pubblico economico, oppure di un ente di diritto privato che sia sottoposto a controllo pubblico, oppure un lavoratore di un fornitore della pubblica amministrazione), che segnala comportamenti o situazioni irregolari non di interesse personale, ma generale. Altre definizioni meno edificanti come “spione” o “traditore” vengono utilizzate, evidentemente, dal soggetto segnalato al fine di denigrare e screditare il segnalante e di disincentivare l’utilizzo delle segnalazioni introdotte in Italia dagli anni 2012-2013, anche se con un impulso più forte a partire dal 2017.
Sostanzialmente il whisteblower è il dipendente che, per fatti di cui viene a conoscenza per il proprio lavoro, sia esso dipendente pubblico o dipendente di società fornitrice dell’azienda pubblica, segnala illeciti al “responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza” della struttura in cui o per cui lavora, oppure direttamente all’Autorità Nazionale Anticorruzione, all’Autorità Giudiziaria penale o alla Corte dei Conti. Di contro, a seguito della segnalazione dell’illecito, non può subire ripercussioni negative, come demansionamenti, trasferimenti, licenziamenti o altre tipologie di condotte ritorsive.
In linea generale, la tutela del segnalatore ha avuto un crescendo di riconoscimenti e protezioni già a partire dal 2013, con l’approvazione del citato Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), che, tra le azioni e misure per la prevenzione della corruzione, elencate al capitolo 3 (punto 3.1.11), prevedeva la “Tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito (c.d. whistleblower)”5, dettando delle linee guida per l’applicazione dell’istituto da parte delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del Testo Unico del Pubblico Impiego. Dieci anni dopo la stessa Autorità, con la Delibera n. 301 del 12.07.2023, approvava il “Regolamento per la gestione delle segnalazioni esterne e per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’ANAC in attuazione del d. lgs. n. 24/2023” e soprattutto, con la Delibera n. 311 dello stesso giorno, approvava le “Linee Guida in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali. Procedure per la presentazione e gestione delle segnalazioni esterne”, ai sensi dell’art. 10 del già citato decreto legislativo n. 24/20236.
3. Le criticità giuridiche/operative
Ma tutte queste tutele possono esser garantite anche al segnalatore che ha agito in malafede o che ha segnalato fatti non corrispondenti al vero? Può essere imputato per le condotte penalmente rilevanti previste dai delitti di diffamazione, ex articolo 595 codice penale7, o calunnia, ex articolo 368 codice penale8?
Per dare delle risposte occorre partire dalla lettura dell’articolo 16 “Condizioni per la protezione della persona segnalante”, comma 3, del citato Decreto Legislativo 10 marzo 2023 n. 24 che recita testualmente: “Salvo quanto previsto dall’articolo 20, quando è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della persona segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave, le tutele di cui al presente capo non sono garantite e alla persona segnalante o denunciante è irrogata una sanzione disciplinare”.
Quindi, la semplice lettura della norma sopra riportata, sembra aver dato tutte le risposte alle domande poco prima formulate e cioè:
- il segnalatore può essere destinatario di procedimenti penali in caso di calunnia o diffamazione in relazione alla sua segnalazione falsa o in malafede;
- il segnalatore sarà destinatario anche di un procedimento disciplinare a seguito della condanna anche non definitiva, essendo bastevole la sola sentenza di primo grado;
- al segnalatore non saranno più garantite tutte le tutele previste.
E’ veramente così? Le risposte che cercavamo hanno risolto tutti i nostri dubbi? O l’apparenza inganna?
Effettivamente dalla lettura della normativa nazionale ed europea si evince chiaramente che il segnalante possa essere chiamato a rispondere della falsa accusa in sede civile, amministrativa e penale e, addirittura, la chiamata in giudizio può essere attivata già con una sentenza di primo grado per i delitti di diffamazione o calunnia, senza avere la necessità di attendere la definitività della stessa condanna.
Ma in realtà non è così semplice come sembra, in quanto ci sono numerose criticità giuridico/pratiche nel configurare i predetti delitti di diffamazione e di calunnia a carico del segnalatore in mala fede.
3.1 Il delitto di diffamazione
Il delitto di diffamazione, ex art. 595 c.p., rientrante nella categoria dei delitti contro l’onore, disciplinati nel Capo II del Titolo XII del Codice Penale (c.d. Codice Rocco)9, punisce chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione.
Il delitto de quo è un reato di evento che consta di tre elementi costitutivi, e cioè: l’assenza dell’offeso, la reale portata offensiva della reputazione e la comunicazione con più persone.
Proprio questo ultimo elemento rappresenta un punto critico. Come noto la segnalazione del whistleblower può avvenire, innanzitutto, utilizzando il canale interno messo a disposizione dalla singola amministrazione a mezzo piattaforma informatica (segnalazione interna), obbligatorio per legge, oppure con una segnalazione direttamente all’Autorità Nazionale Anticorruzione (segnalazione esterna) o, in via residuale, a mezzo divulgazione pubblica10 o denuncia direttamente all’Autorità Giudiziaria.
Proprio l’utilizzo del canale interno rappresenta una modalità che presenta seri dubbi circa la concreta configurabilità del delitto di diffamazione in caso di segnalazione mendace, per un duplice ordine di motivi. Il primo è rappresentato dal fatto che manca la comunicazione del fatto diffamatorio a più persone (devono essere almeno due); questo perché la gestione del canale interno delle segnalazioni deve essere affidata ad una singola persona, di regola corrispondente al Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza dell’Ente (RPCT). Solo nel caso in cui la gestione fosse affidata ad un ufficio interno, evocando il concetto di collegialità, potrebbe configurarsi più facilmente il delitto de quo. Un secondo, potenziale elemento “ostativo” per la configurabilità del reato di diffamazione a carico del soggetto segnalante è rappresentato dall’obbligo di riservatezza, ex art. 12 del D. Lgs. n. 24/2023, rispetto alle segnalazioni che non possono essere utilizzate, dal ricevente, oltre a quanto necessario per dare adeguato seguito alle stesse.
Sostanzialmente la configurabilità del delitto, ex articolo 595 codice penale, è praticamente possibile solo nel caso in cui il gestore del canale di segnalazione, in violazione del predetto articolo 12, lo comunichi ad altri soggetti non competenti, esponendosi anche a sanzioni amministrative, ex articolo 21 decreto legislativo n. 24/2013.
Stesse considerazioni valgono nel caso di segnalazione esterna inviata direttamente all’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Nel caso, invece, di divulgazione pubblica, introdotta ex novo dall’articolo 1511 del Decreto Legislativo citato, effettuata tramite stampa, mezzi elettronici o comunque attraverso mezzi di diffusione in grado di raggiungere un numero elevato di persone, occorre premettere che trattasi di uno strumento assolutamente residuale e ammesso solo in alcune condizioni, in mancanza delle quali non vi sarebbe alcuna protezione accordata al soggetto segnalante a prescindere dalla veridicità o meno delle affermazioni contenute nella divulgazione pubblica.
In caso di divulgazione pubblica, quindi, appare più semplice dimostrare la configurabilità del delitto di diffamazione. Tra l’altro, in caso di assenza di un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse, necessario per invocare la legittimità della divulgazione pubblica rispetto ad altri canali di segnalazione, il segnalante sarebbe privo di tutte le misure di protezione riconosciute per legge, senza nemmeno la necessità di attendere la sentenza di primo grado che accerti la colpevolezza.
3.2 Il delitto di calunnia
Per quanto riguarda il delitto di calunnia, ex articolo 368 del Codice Rocco, esso è collocato nel Titolo III che riguarda i delitti commessi contro l’amministrazione della giustizia.
Si anticipa subito che la configurabilità di tale reato in caso di segnalazioni mendaci del soggetto segnalante appare ancora più critico del delitto di diffamazione pocanzi analizzato.
La prima criticità è rappresentata dal fatto che la segnalazione per poter essere considerata una calunnia dovrebbe essere presentata sotto forma di denuncia, di querela, di richiesta o di istanza, come riporta il comma 1 della norma.
E’ evidente che la segnalazione del whistleblower inviata al gestore non possa essere equiparata a nessuna delle tipologie appena citate, tipizzate dal Legislatore.
Altra criticità è rappresentata dal fatto che, ai sensi dell’articolo 368 c.p., comma 1, la segnalazione falsa, per avere rilievo penale, deve essere inoltrata all’Autorità Giudiziaria o all’Autorità che alla stessa abbia l’obbligo di riferire. Infatti quantomeno il gestore interno non può essere considerato Autorità Giudiziaria e né tantomeno obbligato a comunicarlo alla predetta Autorità, a meno che non sia un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, ai sensi dell’articolo 331 codice di procedura penale12. Ovviamente almeno questo punto potrebbe essere agevolmente superato nel caso in cui il canale interno venga messo a disposizione da una P.A. e che il gestore delle comunicazioni, quindi, sia un dipendente pubblico o addirittura il Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, che per esempio negli Enti Locali, è individuato tra i Segretari Comunali o dipendenti apicali.
Ad analoga conclusione si giunge in caso di segnalazione esterna, in quanto l’Autorità Nazionale Anticorruzione sicuramente è un incaricato di pubblico servizio.
Ma il punto dolente è il fatto che comunque il D. Lgs. n. 24/2023 non prevede alcun obbligo di denuncia per il gestore della segnalazione (per esempio il RPCT) e che, quindi, la trasmissione all’Autorità Giudiziaria sarebbe una iniziativa di un soggetto diverso dal soggetto autore della segnalazione potenzialmente calunniosa (il segnalatore), del tutto indipendente rispetto alla volontà di quest’ultimo.
4. Brevi riflessioni conclusive
Al netto delle previsioni di cui all’articolo 2013 del decreto legislativo n. 20/2023 che prevede l’esclusione di responsabilità penali per alcuni reati, tra cui non vengono citati gli artt. 368 e 595 del Codice Rocco, occorre fare un po’ di chiarezza.
La domanda finale è: “l’obbligo di riferire all’Autorità Giudiziaria da parte dei pubblici ufficiali, prevista dalla normativa generale, cede il passo alla mera facoltà prevista, invece, dal Decreto Legislativo n. 24/2023?”. L’eliminazione della facoltà potrebbe facilitare la configurabilità del delitto de quo, almeno in relazione a questo ultimo punto dolente. La futura giurisprudenza dovrà soccorrerci, in considerazione del fatto che, vista la giovane età del Decreto Legislativo di appena un anno fa, non vi sono ancora pronunce sul punto.
NOTE
- Approvato con il D.P.R. 16 aprile 2013 n. 62; in particolare l’articolo 8 (rubricato prevenzione della corruzione) recitava e recita testualmente “ Il dipendente rispetta le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell’amministrazione. In particolare, il dipendente rispetta le prescrizioni contenute nel piano per la prevenzione della corruzione, presta la sua collaborazione al responsabile della prevenzione della corruzione e, fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’amministrazione di cui sia venuto a conoscenza.”. Forse è stato dimenticato dal Legislatore e tuttora presenta un disallineamento con la normativa successiva. Infatti sembra tener fuori dalle tutele il segnalatore al superiore gerarchico, come previsto dal citato articolo 8, in quanto non rientrante tra le figure citate dal d. lgs. n. 24/2023;
- Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), approvato con la Delibera n. 72 dell’11.09.2013 dall’Autorità Nazionale Anticorruzione.
- DIRETTIVA (UE) 2019/1937 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 23 ottobre 2019 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’U.E. del 26 novembre 2019.
- L’Autorità nazionale anticorruzione, in acronimo ANAC, è un’Autorità amministrativa indipendente italiana con compiti di tutela dell’integrità della pubblica amministrazione, contrasto dell’illegalità, lotta alla corruzione, attuazione della trasparenza e di controllo sui contratti pubblici.
- Con ulteriori indicazioni nell’ Allegato 1, punto B.12 anch’esso rubricato “Tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito (c.d. whistleblower)”.
- articolo 10 (Adozione di linee guida) –“1. L’ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, adotta, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni esterne. Le linee guida prevedono l’utilizzo di modalità anche informatiche e promuovono il ricorso a strumenti di crittografia per garantire la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta o menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto delle segnalazioni e della relativa documentazione. – 2. L’ANAC riesamina periodicamente, almeno una volta ogni tre anni, le proprie procedure per il ricevimento e il trattamento delle segnalazioni e le adegua, ove necessario, alla luce della propria esperienza e di quella di altre autorità competenti per le segnalazioni esterne nell’ambito dell’Unione europea”.
- Articolo 595 c.p. “comma 1. Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. – comma 2. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. – comma 3. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. – comma 4. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
- Articolo 368 c.p. “comma 1. Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. – comma 2. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave. – comma 3 La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo”.
- Approvato con R.D. 19 ottobre 1930 n. 1398.
- Si ha una divulgazione pubblica (art. 2, comma 1, lett. f e art. 15 del Decreto Legislativo 10 marzo 2023 n. 24) quando il dipendente rende “di pubblico dominio informazioni sulle violazioni tramite la stampa o mezzi elettronici o comunque tramite mezzi di diffusione in grado di raggiungere un numero elevato di persone”. Si tratta di un ulteriore canale di segnalazione, introdotto ex novo dalla Dir. UE 2019/1937 e recepito nell’ordinamento italiano.
- Articolo 15 (Divulgazioni pubbliche). “La persona segnalante che effettua una divulgazione pubblica beneficia della protezione prevista dal presente decreto se, al momento della divulgazione pubblica, ricorre una delle seguenti condizioni: a) la persona segnalante ha previamente effettuato una segnalazione interna ed esterna ovvero ha effettuato direttamente una segnalazione esterna, alle condizioni e con le modalità previste dagli articoli 4 e 7 e non è stato dato riscontro nei termini previsti dagli articoli 5 e 8 in merito alle misure previste o adottate per dare seguito alle segnalazioni; b) la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse; c) la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la segnalazione esterna possa comportare il rischio di ritorsioni o possa non avere efficace seguito in ragione delle specifiche circostanze del caso concreto, come quelle in cui possano essere occultate o distrutte prove oppure in cui vi sia fondato timore che chi ha ricevuto la segnalazione possa essere colluso con l’autore della violazione o coinvolto nella violazione stessa. – 2. Restano ferme le norme sul segreto professionale degli esercenti la professione giornalistica, con riferimento alla fonte della notizia”.
- Articolo 331 (denuncia da parte dei pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio) – “ Salvo quanto stabilito dall’articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. – 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. – 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. – 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero”.
- Articolo 20 (Limitazioni della responsabilità). “Non è punibile l’ente o la persona di cui all’articolo 3 che riveli o diffonda informazioni sulle violazioni coperte dall’obbligo di segreto, diverso da quello di cui all’articolo 1, comma 3, o relative alla tutela del diritto d’autore o alla protezione dei dati personali ovvero riveli o diffonda informazioni sulle violazioni che offendono la reputazione della persona coinvolta o denunciata, quando, al momento della rivelazione o diffusione, vi fossero fondati motivi per ritenere che la rivelazione o diffusione delle stesse informazioni fosse necessaria per svelare la violazione e la segnalazione, la divulgazione pubblica o la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile è stata effettuata ai sensi dell’articolo 16. 2. Quando ricorrono le ipotesi di cui al comma 1, è esclusa altresì ogni ulteriore responsabilità, anche di natura civile o amministrativa. 3. Salvo che il fatto costituisca reato, l’ente o la persona di cui all’articolo 3 non incorre in alcuna responsabilità, anche di natura civile o amministrativa, per l’acquisizione delle informazioni sulle violazioni o per l’accesso alle stesse. 4. In ogni caso, la responsabilità penale e ogni altra responsabilità, anche di natura civile o amministrativa, non è esclusa per i comportamenti, gli atti o le omissioni non collegati alla segnalazione, alla denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o alla divulgazione pubblica o che non sono strettamente necessari a rivelare la violazione”.
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