ETHICA SOCIETAS-Rivista di scienze umane e sociali
NOTIZIE Roberto Castellucci

EURAFRICA SENZA PACE, Roberto Castellucci

Intervista a tutto campo a Fabio Ghia, dalla politica italiana alla situazione geopolitica dell’area mediterranea

Roberto Castellucci

Abstract: L’analisi dell’evoluzione politica italiana e della geopolitica dell’area mediterranea di Fabio Ghia, ammiraglio, addetto militare presso l’ambasciata d’Italia a Tunisi, è stato un fine politico con una formazione iniziata nel MSI di Almirante, del quale ha seguito tutte le vicissitudini, passando da Alleanza Nazionale per giungere al Partito delle Libertà. Iscritto a Italia Futura, associazione politica italiana fondata nel luglio del 2009 da Luca Cordero di Montezemolo e vista dal nostro intervistato come uno sbocco naturale del centrodestra, si è defilato lasciandosi attrarre, per pochissimo, dal Movimento 5 Stelle, dal quale ne è uscito subito per sbarcare in una sorta di pragmatismo neoliberale con ancore socialiste.

Fabio Ghia

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Nel suo libro “Cambiamenti geostrategici del nuovo ordine mondiale” (Europa Edizioni 2023), definisce “cimitero” il Mediterraneo in relazione ai flussi migratori dall’Africa: esiste a suo parere una soluzione?

«Bisognerebbe cambiare totalmente l’approccio con il fenomeno migratorio, optando per una soluzione di scuola liberista. Mentre stiamo parlando, in Africa ci sono 60 milioni di migranti interni, cioè che premono per spostarsi dalla loro terra d’origine verso altre nazioni, per questioni di povertà, di salute, di politica, di ricongiungimento familiare dovuto alla diffusa cultura tribale ancora oggi dominante… Se in Italia ne sbarcassero 200 mila all’anno, l’Unione europea ne dovrebbe essere contenta. In sostanza, anziché considerare i flussi migratori come un problema irrisolvibile, dovremmo agevolare chi realmente vuole entrare e vivere in Europa, e penso che anche la presidente Giorgia Meloni stia abbracciando questa idea. Le faccio un esempio: il Canada ha da sempre vissuto su un transito costante di migranti, anzi, essendosi sviluppato su un territorio vastissimo e con una popolazione di scarsa entità, ha cercato sin dal suo nascere di crearsi un flusso migratorio costante, selezionandosi addirittura le nazioni cui far riferimento. Tutto questo perché sin dalla fine della I guerra mondiale ha avuto la geniale idea di aprire delle scuole di formazione nei vari Paesi, sovraffollati e poveri, dove si insegna la lingua inglese e i fondamentali professionali aggiornati in relazione alle necessità del Canada. In questo modo l’ipotetica domanda di forza lavoro locale, annualmente va a coincidere con l’ipotetica offerta, realizzando un ottimo e selezionato flusso migratorio sostenibile. In sostanza, in Canada non esiste la “lotta” all’immigrazione clandestina, ma bensì la regolarizzazione metodica, cioè la selezione di determinate categorie lavorative, formate ed educate negli stessi paesi ad alto tasso di povertà, secondo accordi bilaterali aggiornati di anno in anno».

In che consistevano le sue missioni di guerra?

«Gli italiani sono sempre benvisti perché, sebbene militari, portano innanzitutto aiuti umanitari e cultura della pace in tutto il mondo. Durante una missione umanitaria in Somalia nel 1991, mentre ero al comando del “San Giorgio”, si verificò un esemplare episodio. La popolazione locale, dilaniata dalla guerra fratricida, era stata informata preventivamente che l’intera prima linea del Battaglione San Marco sarebbe sbarcata nel porto vecchio di Mogadiscio, oltre che per unirsi alle altre forze della missione multinazionale dell’ONU, soprattutto con compiti di aiuti umanitari. Negli otto mesi di permanenza in acque somali, provvedemmo alla distribuzione di più di ventimila razioni di emergenza oltre agli interventi chirurgico-sanitari sui numerosissimi somali feriti. Tra i numerosi interventi fatti, una volta accorremmo in aiuto di una tribù somala vittima di predoni che le stavano rubando i “nostri viveri” dal magazzino. Dopo qualche scambio di colpi da noi sparati per “avvertimento”, i predoni si dettero alla fuga portando con loro i cibi rubati. Uno di questi uomini, armato di Kalashnikov e con una damigianetta di olio sotto mano, si avvicinò senza accorgersene a noi. Un nostro incursore mise in atto le azioni difensive sparando due colpi di avvertimento – uno dietro e l’altro davanti all’obiettivo – e quindi si apprestava a sparare il terzo per neutralizzare il povero somalo. Per contro, il soldato, sbottando parolacce a non finire nei confronti del somalo, si voltò verso di me urlando: “Comandante, ma lo posso ammazzare perché si è fregato una bottiglia di olio?”. Gli detti una pacca sulla spalla dicendogli: “Hai fatto benissimo e tu sei attento a quanto vi ho detto sin dallo sbarco a Mogadiscio: la nostra è una missione umanitaria! Questo per farle capire lo spirito delle nostre missioni».

Nazionalismo, radicalismo, autoritarismo… Sono termini attribuibili alla realtà araba?

«Con il suffisso “ismo” ci sono tanti vocaboli ma le posso rispondere che non sempre il significato negativo che noi occidentali associamo a loro sia giustificato. Dopo qualunque rivoluzione in un qualunque paese di cultura arabo-islamica, lei ha mai visto instaurarsi un regime democratico con le tanto sbandierate regolari elezioni? Per esempio, in Tunisia vige una repubblica presidenziale il cui presidente, Kaïs Saïed, ha ottenuto il potere nel 2016 con regolari elezioni ben controllate sia dall’ONU che dalla delegazione Unione europea. Purtroppo, grazie anche alle riforme costituzionali, approvate con un semplice 8% di partecipazione al voto, dal 2020 ha acquisito pieni poteri e in questo periodo si appresta a confermarsi Presidente per un suo “terzo mandato”, grazie anche al fatto che di effettivi candidati per le prossime elezioni di novembre, ne sono rimasti solo due! Tutti gli altri sono “trattenuti”, per la maggior parte perché si sono espressi “in modo offensivo” nei suoi confronti. Sa qual è la professione di Kaïs Saïed? Professore universitario di diritto costituzionale! Secondo lei Kaïs Saïed non sa che cosa significhi “democrazia” o tale forma di governo non rientra nella sua cultura? O non sa che il nazionalismo è una leva molto forte per mantenere l’ordine nel popolo tunisino? D’altra parte, guardando tutte le nazioni che sono state toccate dalla Rivoluzione dei Gelsomini (2011 – 2014), i vari presidenti attualmente ancora in carica (Egitto, Algeria, Libano, Siria, Arabia Saudita e Iran) sono dappertutto gli stessi al terzo/quarto mandato presidenziale, oppure “sceicchi” per discendenza o di diritto, eppure, a mio giudizio, le procedure seguite non sono da condannare. Non bisogna, infatti, dimenticare che la cultura di fondo che imperversa nel mondo arabo – islamico sin dal 625 d.C. è quella Islamica, leggermente diversa dalla nostra. Vede, io ho vissuto in Tunisia per ben 23 anni. Ancora oggi stimo e apprezzo la cultura popolare di fondo, che sostanzialmente tende sempre più al Mediterraneo. Ma in Tunisia ho vissuto benissimo solo perché da buon cattolico-cristiano mi sono adeguato ai canoni musulmani previsti dalla Costituzione. Per farle un esempio, durante il Ramadan, pur non praticando il digiuno o il divieto di fumare, non mi sono mai permesso davanti ad altre persone praticanti – la quasi totalità dei tunisini – di violare il loro credo. Ecco perché di questa esperienza ne ho fatto tesoro quale esempio di dialogo interculturale: convivenza pacifica nel pieno rispetto reciproco della cultura “altra”.»

Quanto conosciamo della Tunisia?

«Dopo l’attentato alle “Twin Towers” su “Le Temps”, il giornale francofono più diffuso in Tunisia, apparve un articolo dal titolo: “Finalmente l’Occidente capirà che cosa significa combattere il terrorismo islamico”, firmato da Ben Ali, il presidente della Repubblica tunisino! Nell’articolo Ben Ali dichiarava che da tempo stava combattendo le frange islamiche radicali, molte delle quali parteggiavano con lo Stato islamico. Così ho capito che gli occidentali hanno una visione molto diversa dalla realtà dei Paesi arabi, limitandosi spesso a condannarli senza conoscerli. Eppure le radici culturali sono comuni, sono mediterranee. Non quelle religiose, purtroppo».

In Italia si parla spesso di sovranismo. Che ne pensa?

«Se in Tunisia, come in altre realtà del mondo, posso giustificare culturalmente il nazionalismo o l’autoritarismo governativo, nel nostro Paese sono profondamente democratico e non tollero gli estremismi, e neppure gli eccessi della democrazia. Non viviamo isolati e quindi dobbiamo tener conto di tutto il contesto internazionale. Pur essendo napoletano di nascita e convinto sostenitore della cultura partenopea, mi considero molto europeista e credo che non ci sia più spazio per i sovranismi nel nostro continente».

Quali sono le debolezze dell’Unione europea?

«Ci sono delle frange politiche, sia a sinistra che a destra, che insistono sulla povertà intellettuale della massa. Questo succede in Italia come in altri Paesi europei. Un’espressione tipica di questa distorsione è il populismo, spesso legato a un falso sovranismo».

I giornalisti sono una minaccia per il governo?

«Innanzitutto comincerei con il distinguere tra la Meloni Presidente del Consiglio e la Meloni capo di Fratelli d’Italia. In quest’ultima veste non ha problemi con i giornalisti, perché può essere libera di dire tutto ciò che pensa. Come Presidente del Consiglio, invece, tiene a che le tre forze governative si presentino unite davanti ai problemi del Paese. Per questo motivo non si sbilancia mai, contrastando apertamente le forze di coalizione. Non dimentichiamoci che Giorgia si è affermata sotto la scuola di Berlusconi ed è stata da lui nominata Ministro per la gioventù. E la gioventù di allora costituisce lo zoccolo duro dei suoi elettori attuali».

Che fine hanno fatto i “duri e puri” con Giorgia?

«Li ha dimenticati, sono cambiati i tempi e non c’era più motivo per la loro esistenza e, soprattutto, non erano più funzionali per le sue velleità politiche. La Meloni non rinnega quel periodo ma lo relega a storia dell’Italia, quindi passato, e anacronistico per qualunque tentativo di restauro nella società attuale».

Almirante, Fini, Alemanno, Meloni, Berlusconi: lei dice, in una intervista, “…sono riusciti a saturare negativamente le mie aspettative”. Perché?

«Io non sono un politico e ogni volta che ho provato a “farli ragionare” sono stato sempre respinto, perché andavo a minacciare quegli equilibri faticosamente raggiunti da loro. I politici veri vanno a cercarsi i “clienti”, non sono populisti, non dicono ciò che fa comodo agli elettori in genere. L’unico che ho continuato a stimare, veramente, è stato Almirante, perché ha avuto il suo progressivo cambiamento, ha maturato visioni e decisioni con sano pragmatismo. Per esempio riconoscendo le inumane persecuzioni razziali ma anche la storicità del Partito fascista, in particolare nella sua tipica architettura di cui Roma ancora oggi ne è manifesta».

E con Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo?

«Mi avvicinai con la viva speranza che fosse un movimento attento alle politiche giovanili ma quando mi accorsi che l’unico interesse era verso le attività imprenditoriali a scapito del sociale… me ne allontanai».

E con il M5S?

«Anche lì fuggii deluso, principalmente da Beppe Grillo. Avevo creduto nella natura ecologica e al tempo stesso liberale del movimento ma mi accorsi ben presto che stavo ricadendo nel populismo e nel sovranismo antieuropeista».

Dopo tutte le “fughe” dai partiti, potrebbe essere arrivato all’anarchia? Oppure conserva un suo ideale politico?

«No, non sarò mai un anarchico. In questo momento mi sento meno lontano da Forza Italia, se non altro perché tra i suoi principi c’è quello liberale. Certo, se fosse anche un po’ socialista… Comunque la Meloni sta portando avanti il progetto di Forza Italia e di questo sono molto contento».

Che pensa del generale Roberto Vannacci?

«Aver detto che le minoranze alzano troppo la voce è una constatazione ovvia. Ritengo che la radicalizzazione di questo pensiero sia un esercizio populista che non apprezzo, anche perché proveniente da un militare».

Esiste una soluzione per la questione palestinese?

«Golda Meir (ucraina naturalizzata israeliana, prima donna a guidare il governo in Israele, ndr) si definiva palestinese prima ancora di essere ebrea. “Io sono ebrea – diceva – perché appartengo al popolo di Dio che ha detto che Israele è la vostra terra e il vostro popolo. Ma Israele sino al 1947 si chiamava Palestina…”. Poi i palestinesi sono stati respinti un po’ da tutti, arabi inclusi. Ora Hamas vuole conquistare Gerusalemme. Per me l’unica soluzione è “una sola terra per due popoli”, con un governo da eleggere democraticamente, cosa che potrebbe spaventare Israele, meno popolata rispetto alla Palestina, ma è anche vero che ci sono tanti ebrei nel mondo con doppio passaporto, quindi un bacino di voti importante. Soluzione che potrebbe spaventare anche gli altri Paesi arabi, che hanno mire economiche sul territorio e non vogliono che si raggiunga una pace. Comunque il problema principale, anche in questo caso è la radicalizzazione delle posizioni. La maggior parte dei palestinesi e degli ebrei sanno che possono vivere insieme benissimo».

Esiste una soluzione per la guerra portata dalla Russia in Ucraina?

«Putin vuole ricostruire il grande impero ma non quello sovietico, bensì quello precedente degli zar. Finché Putin sarà al potere, non desisterà da questo intento. A meno che l’Europa non appoggerà in pieno l’Ucraina, favorendone la penetrazione in territorio russo. In tal modo si creeranno le condizioni per un compromesso. E comunque gli eventuali successori di Putin non continuerebbero la guerra, perché il popolo russo non è interessato all’Ucraina. E poi con tutte le morti che ha causato finora».

Se l’Ucraina la chiamasse per un contributo bellico, accetterebbe?

«Mai! Sono stato un uomo di guerra ma voglio la pace… Piuttosto organizzerei 2.000 volontari disarmati da frapporre ai belligeranti in Palestina»

Roberto Castellucci (a sx) e Fabio Ghia (a dx)

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