Presidente della Provincia autonoma di Trento e della Regione autonoma Trentino Alto Adige
[Ethica Societas anno 1 n.2]
Abstract: Maurizio Fugatti, presidente della Provincia Autonoma di Trento e presidente della Regione Autonoma del Trentino Alto Adige-Sudtirol, intervistato da Massimiliano Mancini su autonomia, centralismo, Europa, sicurezza, polizia locale, politica e prospettive future.
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Maurizio Fugatti: è nato a Bussolengo (VR) il 7 aprile 1972 ma vive ad Avio (TN). Sposato, ha due figli. Dopo aver conseguito il diploma di perito agrario con specializzazione enologica all’Istituto di San Michele all’Adige, si è laureato in scienze politiche all’Università di Bologna. Esercita la professione di commercialista. Ha iniziato la carriera politica come consigliere comunale ad Avio (TN) e nel 2005 è diventato segretario della Lega Nord Trentino, nel 2006 è stato eletto deputato, riconfermato nel 2008. Candidato alla presidenza della Provincia autonoma di Trento nel 2013 è stato eletto consigliere e nel 2018 è stato nuovamente eletto deputato e quindi è diventato sottosegretario alla salute del Governo Conte, nello stesso anno è stato eletto presidente della Provincia autonoma di Trento. Dal luglio 2021 è presidente della Regione autonoma Trentino Alto Adige-Sütirol.
La Provincia autonoma di Trento: ha una popolazione residente di 542.158, la superficie è di 6.206 km2, conta 166 comuni
[fonte dati ISTAT 2022].
La Regione autonoma del Trentino-Alto Adige: ha una popolazione residente di 1.077.932, la superficie è di 13.604 km2, conta 282 comuni, è la regione italiana con il più alto PIL pro capite con 42.300€ e l’11° per PIL con 45.963.400€ [fonte dati ISTAT 2020].
L’intervista
La sua visione dell’autonomia e dell’Europa, idee opposte o sinergiche?
Per chi ha una visione dell’Europa in cui prevale il principio di sussidiarietà, l’Europa dei popoli e dei territori, sono due principi che vanno di pari passo anzi si autorafforzano l’un con l’altro. Credo che se l’Europa è quella che noi pensiamo, cioé un’Europa attenta alle diversità e alle peculiarità dei territori, le autonomie sono sicuramente un esempio al quale guardare. Noi abbiamo l’ambizione che la nostra autonomia possa essere un modello per altri territori italiani ma anche europei, laddove l’autonomia non c’é.
Questo vuol dire che non potranno esserci gli Stati uniti d’Europa?
Se gli Stati uniti [d’Europa n.d.r.] sono federali va bene.
La sicurezza è un concetto tanto dibattuto quanto poco definito, sia nei parametri che la esprimono, sia nelle formule e nelle priorità per realizzarla. Qual’é la sua idea di sicurezza e il suo modello di città sicura?
Io parlo della nostra città, la città di Trento, e molto spesso quando parliamo di sicurezza guardiamo al confronto con altre città, e italiano e non solo italiane, però noi non vogliamo essere confrontate con altre realtà ma con la Trento di 15 anni fa, questo è il nostro target di riferimento. La Trento di 15 anni fa rispetto a oggi è comunque una città diversa, anche nell’approccio che abbiamo alla sicurezza e anche nel sentimento d’insicurezza della popolazione. Quindi dobbiamo confrontarci con la nostra storia. E quindi dobbiamo cercare di tornare a quei parametri di sicurezza che oggi, ovviamente, sono minori per tutta una serie di fattori che facilmente conosciamo.
Si potrà raggiungere quello che era Trento allora anche in una società che è molto diversa da allora?
In una società multietnica e multiculturale, così aperta ai transiti e all’esigenza di acquisire lavoratori anche fuori dai confini, possono convivere realtà diverse senza che ciò comporti necessariamente uno scadimento del livello sicurezza e anche del benessere?
Non possiamo ragionare con il libro dei sogni. È chiaro che la Trento di oggi è completamente diversa da quella di 15 anni fa e le situazioni sono diverse, l’aspetto sociale è diverso, le popolazioni che vivono a Trento sono diverse e quindi dobbiamo essere realisti. Però, ripeto, dobbiamo prendere come riferimento noi e non tanto gli altri territori. Quando si discute se Trento sia sicura o se non lo sia, a nostro modo di vedere -e mi pare che a livello politico tutti lo condividano- ci sono delle zone del nostro territorio, se parliamo della città, che hanno dei problemi di vivibilità quotidiana che devono essere affrontati perché ciò comporta che il cittadino, in quelle zone e in certi momenti, possa sentirsi insicuro ed è li che dobbiamo ragionare.
Nell’attuale contesto normativo tutte le forze di polizia, nazionali e locali, hanno le medesime competenze sul piano giuridico e, spesso, si sovrappongono nelle stesse zone e, proprio perché hanno le stesse funzioni, può succedere anche il rischio opposto che ci siano alcune zone grigie. Pensa che il concetto di “sicurezza urbana integrata” sia ancora un buon modello, seppur con contorni incerti, oppure solo uno slogan politico buono per tutte le stagioni e per tutti i partiti politici?
Credo che il concetto non sarà considerato uno slogan se diamo a queste forze di polizia, qualunque esse siano, gli strumenti per poter operare in sicurezza e anche per poter far rispettare la legge. Indubbiamente non è colpa delle forze di polizia, delle municipalità o dei territori se ci sono alcune leggi nazionali che su alcuni reati, come per esempio lo spaccio, sono state depotenziate negli ultimi anni. Questo comporta che il lavoro delle forze dell’ordine non riesca ad arrivare all’obiettivo, che è quello di fermare veramente lo spaccio, perché quando arrestano qualcuno dopo due ore è fuori. Non c’é una legislazione chiara e precisa che garantisca l’effettività della pena. Passa il tempo e ci raccontiamo sempre le stesse cose.
Lei non crede che ci sarebbe bisogno anche di avere il coraggio di fare una legge che definisse le competenze e i confini tra la sicurezza nazionale, quindi le competenze delle forze di polizia nazionale, e la sicurezza locale, quindi le competenze delle polizie locali?
Parlo da presidente della Provincia autonoma che non ha competenza in materia di sicurezza, tuttavia credo che debba esserci chiarezza sulle competenze della polizia locale e nazionale. D’altro canto, però, finché non ci sarà certezza e garanzia della pena, facciamo fatica anche a mettere in campo collaborazioni strutturate e serie.
Per quel che riguarda la repressione, che in realtà è sempre una sconfitta perché, anche se avessimo leggi più dure e se li mettessimo in carcere per più tempo, il danno comunque resta perché non possiamo tornare indietro dal reato, come pensa che si possa davvero prevenire la criminalità in ambito urbano e con quali strumenti, considerato il ruolo e i bilanci spesso esigui degli enti locali?
Dobbiamo agire all’inizio e spiegare ai consumatori che non devono assumere droga, facciamolo perché questo è un aspetto culturale, sociale, educativo. Va fatto, sia chiaro, però non dobbiamo giustificare chi offre la droga perché c’é chi la richiede. Noi dobbiamo lavorare sulla repressione, anche sotto l’aspetto preventivo, perché i giovani possono essere deboli e avere problemi che portano a consumare droga. Quindi quanto più gli si consente di entrare in contatto con questo ambiente tanto più è facile che alla fine vi entrino. Se invece il giovane ha meno prossibilità di venirne a contatto, le sue problematiche hanno meno probabilità di trovare lo sfogo nel consumo della droga.
Cosa pensa che porteranno davvero i fondi del PNNR alla sicurezza delle città?
Sul piano della ristrutturazione, della riqualificazione di immobili e quindi, in qualche caso, anche di qualche area urbana, sicuramente dobbiamo vedere positivamente le possibilità del contrasto del degrado urbano e del controllo del territorio. Noi riqualifichiamo la stazione ad esempio.
La teoria sociologica delle “finestre rotte” afferma che se c’é una casa vuota e qualcuno rompe una finestra, se nessuno fa niente poi magari ci sarà qualcun’altro che ne romperà un’altra ancora, se nessuno fa niente ancora poi ci sarà qualcuno che sfonderà la porta e poi diventerà un centro di spaccio. Ma se c’é qualcuno che già quando è stata rotta la prima finestra fa qualcosa si interrompe il degrado. Quindi i fondi del PNRR, lei dice, potranno fare molto. A Trento e nel Trentino io ho visto una realtà adorna, dove è veramente difficile trovare delle saccature di degrado, di inciviltà e di bruttezza, anche se un certo livello di criminalità c’è. Il livello di cura e di efficenza del territorio è una conseguenza anch’essa dell’autonomia o, più semplicemente, della capacità dei Trentini e degli Altoatesini di sapersi ben amministrare?
Autonomia è responsabilità! Perché se è vero che noi siamo un piccolo Stato, le nostre competenze, quindi anche le nostre responsabilità, le esercitiamo con nostre stesse risorse, cioé con le tasse pagate dai Trentini. Questo è il bene dell’autonomia, c’é un volano che si autoalimenta di responsabilità, competenza e risorse proprie. Poi c’é sicuramente una particolare vocazione del Trentino allo spirito civico e al volontariato, ma credo che tutto nasca dal sistema dell’autogoverno.
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