E’ anticostituzionale prevedere due anni di reclusione come pena minima per il delitto di appropriazione indebita!
Abstract: La Corte Costituzionale, accogliendo l’eccezione sollevata dal Tribunale di Firenze, cancella il limite minimo della pena detentiva previsto dall’art. 646 comma 1 c.p., per il delitto di appropriazione indebita, ritenendolo sproporzionato rispetto alla pena minima edittale prevista per condotte dal maggiore disvalore, quali il furto o la truffa e, lasciandolo automaticamente fissato nel limite minimo di quindici giorni di reclusione previsto dall’art. 23 Cost., resta in attesa di un eventuale intervento del Legislatore che stabilisca un nuovo minimo edittale, nel rispetto del principio di proporzionalità tra gravità del reato e severità della pena.
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La Corte Costituzionale con una recentissima sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 646, primo comma, del codice penale1, che punisce l’appropriazione indebita.
Prima di leggere con attenzione cosa hanno scritto i Giudici della legittimità delle leggi, occorre premettere che la cornice edittale della condotta, ex articolo 646 comma 1, è stata stravolta dall’art. 1, comma 1, lettera u), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), nella parte in cui ora prevede la pena della reclusione ”da due a cinque anni”, anziché “fino a cinque anni” e, quindi, prevedendo prima della riforma la pena minima di 15 giorni, ai sensi dell’articolo 23 codice penale comma 12. Come emerge dai lavori preparatori della citata Legge c.d. “Spazzacorrotti” del 2019, si comprende che il Legislatore ha voluto innalzare la pena massima prevista per il delitto di appropriazione indebita, da tre anni a cinque anni, in quanto spesso il delitto in esame celava condotte corruttive, come nel caso di cessioni di quote societarie, mentre non si comprende il motivo per cui, dopo esattamente ottantotto anni (dal Codice “Rocco” del 1931 al 2019) si è deciso di innalzare anche il minimo edittale, esattamente di quarantotto volte! Inoltre il Legislatore del 2019 aveva anche aumentato la sanzione penale pecuniaria prevista in aggiunta alla reclusione, che passava da una multa fino a 1.032 euro ad una multa da 1.000 a 3.000 euro.
Tali dubbi sono stati sollevati dal Tribunale di Firenze3 quando si è trovato a dover condannare un imputato per l’appropriazione indebita di 200 euro, commessa da un agente immobiliare che aveva restituito soltanto 500 dei 700 euro ricevuti dal proprio cliente, a titolo di cauzione, per un contratto di locazione, poi non andato a buon fine, trattenendo la somma di 200 euro, che, tra l’altro, veniva successivamente restituita non appena formalizzata la querela. Secondo il Giudice di primo grado la pena minima stabilita di due anni per il delitto di appropriazione indebita contrastava con gli articoli 34 e 27 comma 35 della Costituzione Italiana.
L’ Avvocatura dello Stato ha cercato di difendersi sostenendo che comunque il Giudice, quando ritiene troppo grave la sanzione rispetto alla somma indebitamente trattenuta, può ricorrere all’istituto della particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis c.p.6 o alla causa estintiva del reato consistente in una condotta riparatoria, ai sensi dell’art. 162-ter c.p.7.
La Corte Costituzionale, innanzitutto, non condivideva l’idea dell’Avvocatura in quanto rappresentava un espediente rispetto alla effettiva e non proporzionata pena minima prevista dalla norma de quo e che, soprattutto, non sempre potevano essere applicati i due istituti citati dall’avvocatura statale, come infatti, è effettivamente accaduto nel caso in esame. Infatti, da un lato, non è stato possibile applicare la particolare tenuità del fatto, in quanto la parte offesa era una donna straniera con tre figli in cerca di un alloggio e, dall’altro, non è stato possibile applicare la causa estintiva in quanto l’imputato non aveva corrisposto i previsti interessi sulla somma restituita e non aveva ottemperato alla prevista riparazione del danno non patrimoniale patito dalla persona offesa.
Inoltre i Giudici costituzionali, rammentando che il Legislatore gode di ampia discrezionalità nella definizione della propria politica criminale e, in particolare, nella determinazione delle pene applicabili a chi abbia commesso reati, così come nella stessa selezione delle condotte costitutive di reato, aggiungeva che comunque la discrezionalità non può mai equivalere ad arbitrio. Proseguiva affermando che “Qualsiasi legge dalla quale discendano compressioni dei diritti fondamentali della persona deve potersi razionalmente giustificare in relazione a una o più finalità legittime perseguite dal legislatore e i mezzi prescelti da quest’ultimo non devono risultare manifestamente sproporzionati rispetto a quelle pur legittime finalità”. Proprio il controllo sul rispetto di questi limiti spetta alla Corte Costituzionale, che è tenuta ad esercitarlo con tanta maggiore attenzione, quanto più la legge incida sui diritti fondamentali della persona.”
Ed è proprio rispetto alle finalità legittime a cui deve tendere il Legislatore, che la pena minima di due anni di reclusione appare sproporzionata anche rispetto alla pena minima edittale, pari a sei mesi di reclusione, prevista per condotte con maggiore disvalore come il furto, che presuppone il mancato possesso della cosa e nessun rapporto pregresso tra autore e vittima, o la truffa, che presuppone l’esistenza di artifizi e i raggiri messi in campo dal reo e, come il furto, nessun rapporto pregresso tra autore e vittima. Inoltre, secondo la Corte, l’imputato non può esser costretto a ricorrere al patteggiamento, per ottenere uno sconto fino ad un terzo sulla pena inflitta, ex artt. 444 e ss. c.p.p., o al giudizio abbreviato, per avere uno sconto di un terzo sulla pena inflitta, ex art. 442 comma 2 c.p.p., rinunciando, però, ad una parte importante delle sue garanzie difensive per evitare pene particolarmente afflittive già nella misura minima.
In virtù di quanto sopra detto, la Corte Costituzionale decideva per la cancellazione della pena minima edittale pari a due anni di reclusione, che restava così automaticamente fissata dal citato articolo 23 c.p., pari a quindici giorni di reclusione, in attesa di un eventuale intervento del Legislatore nello stabilire un nuovo minimo edittale della reclusione, nel rispetto del principio di proporzionalità tra gravità del reato e severità della pena.
NOTE
- Articolo 646 c.p.: comma 1 – “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000.” (omissis).
- Articolo 23 c.p.: comma 1 – “La pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno.” (omissis)
- Con Ordinanza della I^ sezione penale datata 6 marzo 2023.
- Articolo 3 Cost. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
- Articolo 27 comma 3 Cost. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”
- Comma 1 – “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”. Comma 2 – “L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.” Comma 3 (omissis).
- Comma 1 – “Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.”. comma 2 (omissis).
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