ETHICA SOCIETAS-Rivista di scienze umane e sociali
di Roberto Castellucci

Il concetto di insicurezza e le cause, oggettive e soggettive.

[Ethica Societas anno 1 n.1]

Quanta sicurezza percepisce oggi il cittadino? Quanto avverte la cura dello Stato per la sua incolumità e per i suoi beni? Sono, queste, domande che spesso ottengono risposte istintive, legate a esperienze negative vissute direttamente, riferite o apprese dai media. Reazioni che hanno poco di razionale, purtroppo.

Circoscrivendo il problema alla microcriminalità, possiamo notare come il fenomeno caratterizzi un tipo di comunicazione molto efficiente, dando luogo quasi a una specie di “moltiplicatore” dell’informazione per parafrasare la ben nota teoria del moltiplicatore keynesiano[1].

L’amplificazione delle cattive notizie è una manifestazione del meccanismo della comunicazione aberrante[2] noto come “telefono senza filo”, che si sviluppa esattamente come l’omonimo gioco dei bambini. Un dato prodotto da una fonte si riproduce in modo geometrico, colorandosi talora con dettagli magari inventati per colpire maggiormente l’attenzione dell’interlocutore.

Il fondamento dell’informazione è così spostato dalla autorevolezza della fonte originaria alla credibilità dell’ultimo relatore. Tutte le persone coinvolte acquisiscono quel dato che concorre a formare un’opinione comune, diffusa e talora duratura.

La criminologia classica partiva dall’assunto che il livello di insicurezza fosse legato al livello di criminalità e invece si è osservato che i due termini non sono correlati[3]. Anche nell’esperienza comune spesso si può osservare che, spesso, si sentono insicuri abitanti di luoghi in cui le violazioni penali erano irrilevanti o addirittura inesistenti, configurandosi al massimo come degrado urbano.

La (IN)sicurezza del se, è un percorso psicologico e sociologico di ansia sociale in cui a ogni notizia o a ogni segnale di pericolo, spesso supposto in maniera soggettiva e assolutamente inesistente sul piano oggettivo, si subisce un processo di immedesimazione nella vittima dell’evento criminoso, che può essere anche solo presunta o idealizzata, e ci si chiede continuamente se sia giunto il suo turno, se saranno coinvolti anche i propri cari, se ci si possa difendersi in qualche modo o con qualche strumento, se si possa fare qualcosa per prevenirlo.

Un continuum su cui collocare una sequenza di emozioni che vanno dal senso di vulnerabilità, alla preoccupazione, alla paura, all’ansia, all’angoscia, al panico, fino al terrore, con un’intensità crescente della sensazione di insicurezza ed un livello decrescente di controllo razionale della situazione[4]. In questo processo, sommariamente descritto, il protagonista non è più l’evento originario, il pericolo reale o la situazione di rischio, ma la paura, che da conseguenza del pericolo diviene essa stessa la causa che fa supporre un pericolo costante, generando uno statodi ansia generalizzata in ognuno che si ritenga potenziale vittima. Ma, estremizzando il discorso, quando sarà il momento in cui un cittadino diventerà vittima dell’evento sinistro? Questo è il nocciolo della questione: ogni cittadino sa di essere una potenziale vittima di un criminale ma non sa quando. Che fare?

Si potenziano i dispositivi di sicurezza personali e delle abitazioni, ci si muove con maggior cautela e, nella peggiore delle situazioni, ci si arma. Purtuttavia si resta vittima della variabile tempo, con annessa attesa e paura. Di fatto è il criminale che sceglie non solo il momento della realizzazione del suo disegno ma anche il luogo. Si configura quindi una concreta asimmetria temporale dell’informazione, in cui il tempo gioca un ruolo determinante.

Come ridurre questo gap conoscitivo, causa di ansie e paure del cittadino? Una volta adottate tutte le misure cautelative passive si può fare altro? La paura è anche frutto della rappresentazione sociale, ovvero di come la società descrive una situazione come pericolosa e di come suggerisce di affrontarla. In pratica è la società che dice non solo di cosa avere paura ma anche come fronteggiarla, quindi lavorare sulla cultura e sulla comunicazione è una strategia non secondaria.

Spesso il senso di insicurezza, è conseguenza del fatto che esistono frange della popolazione ormai convinte di essere state lasciate ai margini del percorso, incapaci di controllare il loro futuro in un mondo sempre piú segnato dal cambiamento[5], quindi riappropriarsi dei territori non significa solo aumentare i presidi o la presenza visibile delle forze dell’ordine ma, piuttosto, dimostrare la presenza dello Stato e delle istituzioni attraverso i servizi, l’arredo urbano, la lotta al degrado.

Le Forze dell’ordine, nel contesto disegnato finora, sono state considerate come una variabile esogena ma, ovviamente, esse sono parte imprescindibile del sistema. Se le misure preventive tendono a estendere nel tempo l’eventuale evento, come fare invece per fissarne la data con una certa attendibilità in modo da essere preparati a fronteggiare il malfattore?

Ecco che, a mio parere, potrebbe essere presa in considerazione quella fattispecie che oserei chiamare “prevenzione repressiva”, che consisterebbe nel creare tutte le condizioni affinché l’evento rilevante per la giustizia avvenga ma, stavolta, con la certezza di porre in essere le condizioni per perseguirlo con certezza e puntualità.

In alcuni ordinamenti anglosassoni, per esempio nello Stato di New York, tale istituto è legalmente attribuito alla Polizia locale con il nome di “provocazione” e ogni anno assicura alla giustizia tanti malfattori. Il valore aggiunto, però, di questa azione non è certo il riempimento delle carceri quanto il fatto di incidere su quel processo moltiplicativo dell’ansia che, in fondo, è il danno peggiore per la totalità dei cittadini. In Italia non è prevista la provocazione (agenti provocatori) da parte delle Forze dell’ordine, se non in casi particolarissimi e tassativi, stante anche l’obbligatorietà dell’azione penale, ma, qualora si instaurasse una collaborazione tra il cittadino e le Forze dell’Ordine, si potrebbero mettere in pratica misure preventive legalmente riconosciute che potrebbero instaurare persino un circolo virtuoso della comunicazione.

Per far questo occorrerebbero più risorse, come più volte obiettatomi da rappresentanti delle Forze dell’ordine, ma questa è un’altra storia…

Vele di Scampia (NA)

NOTE:

[1] In economia il moltiplicatore keynesiano è uno strumento fondamentale di analisi macroeconomica, elaborato nella sua forma compiuta da John Maynard Keynes (1883-1946), economista britannico padre della macroeconomia, nella sua Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936).

[2] Il concetto di Decodifica aberrante, cioè l’errata decodifica da parte del destinatario, all’ interno del modello semiotico-informazionale è stato elaborato da Umberto Eco nel suo Trattato di semiotica generale. (Bompiani, Milano 1975).

[3] Tra gli altri S.Roché. (1998), Le sentiment d’insécurité. Quatre éléments pour une théorie: pression, exposition, vulnérabilité et acceptabilité, in “Revue Française de Science Politique” , Vol. 48, N. 2, pp. 274-305.

[4] F.Sidoti, Introduzione alla sociologia della devianza, SEAM, Roma 1999.

[5] Robert Castel, L’insicurezza sociale Che significa essere protetti?, Piccola biblioteca Einaudi, Torino 2011.

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