Le ultime pronunce della Suprema Corte di Cassazione
Abstract: Quando la movida lede il diritto alla salute per immissioni di rumore intollerabili o reca disturbo e molestia alle persone, alle loro attività e al loro riposo provoca conseguenze rilevanti dal punto di vista civile e penale, lo dicono le ultime sentenze 3952/2022 , 27175/2022 e 28570/2019 della Cassazione.
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“Movida” è un termine che denota originariamente un movimento sociale e artistico spagnolo. nel tempo però questo vocabolo ha perso la sua connotazione culturale per definire piuttosto il divertimento notturno. Un tipo di svago spesso rumoroso e fonte di fastidio per chi non ama la confusione e il rumore.
La Cassazione è intervenuta diverse volte sul fenomeno, soprattutto quando il divertimento finisce per ledere i diritti altrui.
Forniamo una rassegna di alcune significative pronunce della Cassazione sulla “movida”.
La Pubblica Amministrazione risarcisce se i rumori della movida superano la “normale tollerabilità”
La recente ordinanza della Cassazione n. 27175/2022, ad esempio, si è pronunciata sul ricorso presentato da una folta schiera di cittadini contro l’amministrazione locale per ottenere la condanna della stessa alla “cessazione immediata delle emissioni sonore provenienti dalla strada sulla quale affacciano le loro abitazioni (…) originate dal fenomeno della c.d. movida, all’adozione delle misure necessarie per ricondurre tali immissioni entro i limiti della normale tollerabilità, al pagamento di una penale, in favore di ciascun attore, per ogni giorno di ritardo nell’adempiere ai predetti ordini, nonché al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto.“
La questione primaria da definire in questa controversia è se il petitum sostanziale della domanda presentata dei cittadini deve essere considerata un diritto soggettivo o un interesse legittimo, al fine di determinare la competenza del giudice ordinario o di quello amministrativo.
Questione che la Cassazione ha risolto pronunciando il seguente principio: “la giurisdizione nella presente controversia spetta al giudice ordinario, in ragione del principio, enunciato proprio in ambito di immissioni intollerabili per la salute umana, secondo cui l’inosservanza da parte della Pubblica Amministrazione delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni, là dove le immissioni nocive provengano dal bene pubblico (o da impianto privato realizzato sulla base di provvedimento amministrativo), può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della Pubblica Amministrazione al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi sempre dell’Amministrazione, ma un’attività soggetta al principio del neminem laedere.“
Basta un locale rumoroso nella zona della movida a recare disturbo
Con la sentenza n. 3952/2022 invece la Cassazione si è pronunciata in relazione al reato di cui all’art. 659 c.p che punisce “Chiunque, mediante schiamazzi o rumori ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche (…) disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309.“
L’imputato, titolare di un locale sito nel teatro della movida notturna estiva, si difende ritenendo che non è certo imputabile solo al suo locale, il rumore prodotto, tanto più che l’attività è incentrata sulla somministrazione di cibo ai tavoli. A suo dire infatti l’inquinamento acustico contestato è piuttosto da attribuirsi alle migliaia di persone che la sera si assembrano lungo il fiume e alla presenza di altre attività commerciali molto più rumorose del suo, sia per il tipo di clientela che li frequenta che per i ridotti spazi interni.
Ragioni che la Corte però non condivide in quanto dalle prove è emersa la “manifesta rumorosità dell’attività gestita dall’odierno ricorrente in relazione al vociare e agli schiamazzi provenienti dall’esercizio, che in definitiva si poneva come unica fonte del disagio“.
Da qui la volontà della Cassazione di ribadire che: “per la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che il disturbo venga arrecato a un gruppo indeterminato di persone e non solo a un singolo, anche se raccolte in un ambito ristretto.“
Spetta al gestore del locale della movida impedire gli schiamazzi
La sentenza sopra richiamata ha un precedente nella sentenza n.28570/2019. In questa pronuncia gli Ermellini non si limitano a sancire la responsabilità penale del gestore di un locale sito in una zona tipica della movida, per il reato di disturbo del riposo e delle attività delle persone contemplato all’art. 659 c.p. I Giudici della Suprema Corte precisano altresì che: “risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio (in specie, un locale di intrattenimento) che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, poiché al gestore è imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica. Infatti la qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza. Non può pertanto essere censurato il provvedimento, laddove in effetti è stato fatto carico ai gestori dell’esercizio commerciale di non avere fatto alcunché (o quantomeno nulla è stato neppure allegato in tal senso) per eliminare le fonti di disturbo, mai risultando ad es. una richiesta di intervento delle Autorità di polizia per limitare coloro che, in definitiva, colà si riunivano solamente per la presenza del locale pubblico. I gestori, per i quali la presenza degli avventori rappresentava ovviamente un guadagno, erano comunque tenuti appunto quantomeno in ossequio alla regola generalissima, in forza della quale cuius commoda, eius et incommoda.“
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