Intervento del 23 giugno 2022 di Liliana Segre al Senato della repubblica alla presentazione della relazione finale della Commissione straordinaria contro il razzismo
Abstract: La senatrice a vita Liliana Segre, deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, presidente della Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, ha presentato a palazzo Madama la relazione finale commentandone i contenuti ed evidenziando la situazione attuale e il riacuirsi di un mai sopito odio strisciante contro i diversi e i più deboli.
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“Sono molto contenta del risultato finale”.
Con queste parole la senatrice Liliana Segre ha aperto la conferenza stampa di presentazione della relazione finale sui lavori della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, che si è svolta mercoledì 23 giugno 2022 a Roma in Senato.
La commissione, voluta fortemente dalla Segre, ha lavorato per dare una definizione all’odio. Definizione che talvolta si scontra con la tutela della libertà d’espressione rendendo complicato, soprattutto a livello sovranazionale ma non solo, una definizione.
La categoria dei discorsi d’odio non conosce dunque una definizione univoca che ne delimiti chiaramente il
perimetro, facendo emergere la necessità di regolamenti chiari e di misure definite, per distinguere dove finisce il diritto alla critica e la libertà di manifestazione del pensiero e dove inizia l’odio insopportabile e illegale. Un’esigenza sollevata non soltanto dal punto di vista teorico, da parte di giuristi e studiosi, ma anche a partire dalle esperienze sul campo, spesso riportando quanto segnalato dalle stesse autorità di polizia, nella convinzione che queste manifestazioni d’odio possano avere anche effetti concreti di violenza e creare delle vittime.
Alla Commissione è pervenuta anche la richiesta di una più chiara definizione dei fenomeni discriminatori di natura antimusulmana e l’esortazione a «valutare l’eventuale ampliamento delle norme del codice penale che non coprono adeguatamente le motivazioni o le finalità di discriminazione o di odio antisemita o di pregiudizio antisemita», nonché l’invito ad «ampliare la tipologia di discorsi discriminatori sanzionabili a quelli pronunciati sulla base del genere, dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale, della religione, della disabilità» e la richiesta di una penalizzazione delle manifestazioni più estreme d’odio.
Alla richiesta di allargare il campo dei discorsi sanzionabili si è accompagnata tuttavia anche la necessità di chiarirne bene i confini dal punto di vista giuridico, per non confondere il discorso d’odio, ad esempio, con le molestie online, cioè con altre fattispecie che possono essere ovviamente meritevoli di tutele ma che hanno un altro tipo di finalità, un altro tipo di motivazione, un altro tipo di trattamento culturale e giuridico.
Nel suo intervento la senatrice Segre ha ripercorso la sua vita ricordando quando è stata espulsa da scuola diventando, per la sua amata scuola, per le sue compagne e per le maestre, una “bambina invisibile”. Ma anche di quando, rispondendo al telefono, quel “muori” riecheggiava nelle sue orecchie. «Dapprima hanno iniziato con le vignette dell’uomo nero d’Africa che veniva preso in giro e poi è arrivato l’ebreo con il nasone» – ricorda la senatrice –. «A otto anni avevo intuito che la mia famiglia non era più il mio porto sicuro». Un passato che ritorna. «Quando vedo quelle persone che da ogni parte del mondo lasciano la loro casa ne ho un’estrema pietà perché se non si prova ad essere clandestini non si capisce cosa vuol dire essere odiati e respinti per il solo fatto di essere nati – sottolinea con forza –. Dopo 65 anni sono diventata testimone della Shoah senza mai usare parole di odio e vendetta. L’odio, ma ancora prima l’istigazione all’odio, nasce dalla parola. Io ho diritto ad una scorta, non perché sono senatrice a vita, ma perché sono ancora bersaglio di discorsi e parole d’odio».
Dopo quasi due anni di lavoro la commissione guidata dalla senatrice Segre a evidenziato come internet ed i nuovi media siano diventati uno strumento di propagazione dell’odio. «Viviamo, nel tempo di oggi, dentro un contesto sociale sempre più plasmato dalle piattaforme digitali, che si configurano come molto più di un mezzo di comunicazione e sempre più come forma sociale totalizzante spinta dalla continua rivoluzione tecnologica. Rispetto ad altre fasi storiche, ciò che oggi appare peculiare è la pervasività dei discorsi d’istigazione all’odio legata alla capacità di propagazione della rete. Oggi questo tema è ampiamente riconosciuto come il più urgente» sottolineando come «Più volte, nel corso dei lavori dell’indagine, è emerso problematicamente il nesso tra diffusione online dei discorsi d’odio e un modello di business delle piattaforme, e quindi tra sviluppo tecnologico e interessi economici. Sotto molti aspetti il web è tra i beni più comuni più importanti della nostra epoca. Ne conosciamo le straordinarie potenzialità in termini di crescita economica e sociale, di cittadinanza, protagonismo, partecipazione democratica e libertà di espressione: opportunità impensabili solo fino a pochi anni fa. Accanto a queste ci sono però rischi altrettanto grandi: da inediti problemi di convivenza civile fino a forme di privatizzazione del diritto. La rete, nelle audizioni, è stata descritta come uno spazio di libertà, potenzialmente accessibile a tutti, che però può diventare un luogo di distorsioni cognitive, di comportamenti di gruppo patologici, in cui si può rimanere intrappolati e che sfociano sempre più frequentemente nell’aggressività verso l’altro da sé, ingenerando banalizzazione dei discorsi discriminatori e deresponsabilizzazione alimentata dallo schermo dell’anonimato. Allo stesso tempo il gigantesco potere privato delle piattaforme, arbitrario e discrezionale, insiste su materie che sono l’essenza stessa della democrazia: il potere di decidere in merito ai contenuti da pubblicare, il potere di far emergere alcuni contenuti a discapito di altri. A tal proposito, ha affermato con grande lucidità l’Alto Commissario ONU per i rifugiati, Michelle Bachelet: «Devono essere le persone a decidere, non gli algoritmi». Questo gigantesco potere privato va ricondotto all’interno di norme costituzionali, entro cornici definite dalle assemblee legislative democraticamente elette. L’indagine si è concentrata dunque sulla capacità delle piattaforme di fare da moltiplicatore dei discorsi d’odio, sul peso che nella loro diffusione hanno gli algoritmi, le camere d’eco e i tentativi di moderazione, analizzando in particolare il tentativo regolatorio dell’UE attraverso il DSA. Il Regolamento ha l’obiettivo di costruire nell’Unione europea una regolamentazione effettiva delle piattaforme digitali, contrastando le attività illegali in rete e definendo le responsabilità dei fornitori di servizi online. Un impianto fondato su regolamentazione e responsabilità delle piattaforme che supera decisamente ed archivia di fatto la fase della esclusiva autoregolamentazione che dagli anni Novanta ad oggi si era imposta nel vuoto normativo. Un intervento che nasce da un dibattito pubblico e politico presente in ogni democrazia, in particolare in Europa, ma apertosi ormai da anni anche negli Stati Uniti d’America. Il DSA si configura come un primo tentativo di armonizzare la normativa europea in un settore cruciale. Rappresenta un significativo passo avanti nella capacità di una procedimentalizzazione unitaria per tutti gli Stati membri dell’iter da seguire in caso di contenuti illeciti. Tuttavia, per la loro individuazione, il Regolamento europeo rimanda alle legislazioni nazionali. Di conseguenza, se permanesse l’assenza di una definizione di discorso d’odio nell’ordinamento italiano ciò renderebbe di fatto inefficace, sul versante di pertinenza dell’indagine conoscitiva, l’applicazione del Regolamento nel nostro Paese. Una questione che potrebbe essere risolta laddove fosse accolta la proposta di modifica all’articolo 83 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che mira a includere i reati d’incitamento all’odio e i crimini ispirati all’odio tra i reati di rilevanza europea».
La letteratura giuridica è concorde nel definire il discorso d’odio come una forma di incitamento all’odio e alla discriminazione che abbia come destinatario un soggetto o un gruppo appartenente a una categoria bersaglio, o target, in virtù di colore della pelle, etnia, religione, nazionalità, disabilità, sesso, identità di genere, orientamento sessuale, condizioni personali e sociali. «È emersa la difficoltà, per mancanza di strumenti adeguati alle molteplici complessità del fenomeno, di mappare per intero la gravità dei discorsi d’odio, ‘una gigantesca onda’ come è stata definita durante le audizioni. Si tratta di un fenomeno certamente sottostimato, data la difficoltà delle vittime di crimini d’odio di denunciare (under-reporting) e la difficoltà del soggetto pubblico che riceve la denuncia di riconoscere e categorizzare l’istigazione all’odio (under-recording), principalmente per l’assenza di una definizione univoca e di conseguenza per l’assenza di una fattispecie normativa che ne riconosca la specificità. Questo stato delle cose rende ogni giorno più evidente la necessità di intervento a tutela delle categorie più deboli delle nostre società. La necessità di contrastare i discorsi d’istigazione all’odio non deve mai scontrarsi o confliggere con la necessità di tutelare la libertà di espressione. Per questa ragione nasce l’esigenza di dettagliare con nettezza il confine tra i discorsi che sono tollerati e quelli che sono intollerabili. Individuare questo punto di confine è lavoro sicuramente complesso, ma al quale sarebbe gravemente inadempiente sottrarsi».
La principale risultanza dei lavori dell’indagine è stata la richiesta al Parlamento di un intervento normativo urgente «Nell’attesa che a livello sovranazionale si giunga ad una definizione giuridicamente vincolante dei discorsi d’odio, i lavori della Commissione hanno mostrato la necessità di intervenire nell’ambito del diritto interno. È necessaria una forte e condivisa iniziativa politica e legislativa, intorno ad alcune misure dirimenti che possono essere messe in campo per contrastare la diffusione dei discorsi d’odio. Sono necessarie norme a maggiore tutela alle vittime di discorsi d’odio, a partire dal garantire lo strumento del patrocinio a spese dello Stato, previsto nei procedimenti civili e penali che vertono sui diritti della persona e in tema di crimini ed illeciti legati all’odio, a prescindere dai requisiti reddituali».
Soprattutto è scaturito dai lavori della Commissione la richiesta di acquisire una definizione giuridica di discorsi d’odio nel nostro ordinamento. «L’intervento del legislatore nazionale, in attesa che si compia il processo definitorio a un livello istituzionale superiore, può consentire di rispondere in modo efficace a molteplici esigenze che sono emerse prepotentemente nel corso delle audizioni. Avere una definizione di discorsi d’odio vuol dire rendere più semplice il lavoro degli operatori di polizia che devono raccogliere le denunce; vuol dire rendere più semplice l’attività interpretativa che i giudici devono compiere nel momento in cui si trovano a giudicare l’istigazione all’odio, almeno nella forma ristretta attualmente prevista nel nostro codice penale; vuol dire, nel settore della giustizia civile, individuare quelle molestie dovute a discorsi d’odio che determinano un diritto a un risarcimento; vuol dire, nelle attività di istruzione e formazione, in particolare nei percorsi scolastici – individuate nella nostra relazione come momento imprescindibile per combattere i discorsi d’odio – avere una traccia su come queste attività debbano svolgersi. Avere una definizione giuridica vincolante di discorsi d’odio nel nostro ordinamento vuol dire, soprattutto, rendere effettiva la tutela, in tema di istigazione all’odio online, del DSA, quando esso sarà in vigore.»
Concludendo. «Alla luce di tutto questo, come emerso con evidenza dalle risultanze dei lavori dell’indagine, si ritiene necessario che il Parlamento italiano promuova l’introduzione di strumenti normativi specifici relativi all’odio online e alla regolazione della rete, rimarcando che in assenza di un intervento pubblico rimane solo lo strapotere di soggetti privati che finiscono per stabilire chi può dire cosa sulle ‘loro’ piattaforme.»
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