Napoli come Specchio dell’Essere. Sorrentino esplora la città come simbolo universale di bellezza e imperfezione, lasciando allo spettatore la chiave dell’interpretazione
Abstract: Il film di Sorrentino ci porta in una Napoli sospesa tra sogno e realtà, dove la protagonista incarna una sensualità sfuggente e ambigua. Attraverso scenari suggestivi e luci avvolgenti, ogni scena diventa metafora di un significato profondo che trascende la narrazione. Napoli si rivela non solo come luogo fisico, ma anche come rappresentazione dell’essere umano e della società, con le sue bellezze e complessità. Sorrentino invita lo spettatore a un’interpretazione personale, lasciando spazio a una riflessione sulla realtà senza idealizzazioni, in cui i confini tra l’individuo e il collettivo si confondono
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La scorsa sera ho avuto modo di vedere l’ultima opera di Paolo Sorrentino, Partenope.
Dopo essere uscito dalla sala sono rimasto un po’ pensieroso: il primo impatto era quello di non aver capito nulla. Ma con il tempo le domande su ciò che ho visto hanno cominciato a moltiplicarsi, ed è grazie a Francesca, una cara amica, che sono giunto a stilare un ragionamento su carta completo e definito.
Al centro della narrazione, troviamo una protagonista che attraversa una Napoli sospesa tra sogno e realtà, incarnando una sensualità ambigua e sfuggente. Con scenari che evocano immagini da pubblicità e luci che avvolgono ogni momento, ci si trova continuamente a chiedersi dove finisca la realtà e dove inizi il sogno. È un sogno che porta a riflettere, come in uno stato di veglia alterata, su scene che spesso appaiono più come metafore, rappresentazioni di un significato che trascende un semplice “narrare la storia”. Un significato che scava, antropologicamente, in profondità.
Partenope è Napoli ma anche una rappresentazione dell’essere umano, del suo percorso di conoscenza. Rappresenta l’io individuale, la vita e il suo viaggio esplorativo, ma è anche una rappresentazione collettiva di un luogo, del “noi” che abita, vive e sente una città complessa, con i suoi pregi e i suoi difetti. Un luogo che forse può essere compreso fino in fondo solo da chi lo vive: “Non si può essere felici nel posto più bello del mondo.” Con questo film, Sorrentino sfida gli spettatori, lasciando volutamente aperte le interpretazioni in un gioco di fascino, ambiguità e critica sociale.
Alcune pellicole, probabilmente, non vanno comprese del tutto, ma osservate e vissute. Forse il regista, come un artista, non intende disvelare completamente la realtà, ma invita l’osservatore a lasciarsi coinvolgere e ad interpretare a proprio modo l’opera d’arte.
Rimanendo su un tono generico per evitare spoiler, si potrebbe discutere di tante scene, ciascuna delle quali racchiude molteplici significati. Nel complesso, collegando questo film alle precedenti opere, apprezzo il tentativo di rappresentare una realtà senza mitizzarla in modo barocco, ma restituendola nella sua essenza, con bellezze e imperfezioni. Da spettatore esterno, senza un vissuto diretto sulla realtà descritta nella pellicola, posso farmi un’idea non del tutto completa, ma attraverso la critica sociale che emerge riesco a ritrovare anche aspetti della realtà che mi sono familiari.
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