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IL CONFLITTO ATTUALE ISRAELO-PALESTINESE E LE SUE RADICI, Lorenzo Scarponi

L’incomprensione del presente nasce inevitabilmente dall’ignoranza del passato (M. Bloch)

Lorenzo Scarponi

Abstract: L’ennesima tragedia israelo-palestinese sprofonda nell’ineluttabile interrogativo sul perché di tutto questo, persuadendoci nel desiderio di sopperire all’insipienza generale con dissertazioni a prova di control test. Una fatua illusione anche per il più acuto degli scienziati. Nondimeno, se è vero che “l’incomprensione del presente nasce inevitabilmente dall’ignoranza del passato” (Marc Bloch), l’indagine di alcune evidenze empiriche che il corso degli eventi tristemente offre da un secolo dovrebbe rappresentare la base di ogni raziocinio e il bandolo da cui provare a sciogliere qualche nodo.

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Lorenzo Scarponi: classe 1993, laureato in storia moderna e contemporanea presso l’università La Sapienza di Roma con indirizzo sulla situazione mediorientale a partire dal secolo XX.


L’INESORABILE CONFLITTO

L’abisso incolmabile tra i due popoli si palesa agli albori di questa vicenda. Il sangue che scorre da subito nei villaggi palestinesi è la manifestazione esplicita di un principio esegetico, una chiave di lettura per ridurre la complessità e fornire le argomentazioni in itinere del necessario sostegno logico: non poteva essere altrimenti. L’assegnazione del mandato inglese in Palestina (1923) accoglie i desiderata del movimento sionista e la migrazione degli ebrei della diaspora si scontra con la frustrazione degli Arabi per i sogni infranti di una grande Arabia unita e indipendente, promessa per bocca del console britannico al Cairo Sir Henry McMahon, rendendo chiaro che i due attori avrebbero rivendicato quella patria estinguendo ogni opportunità di lieto fine.

Basta osservare le intenzioni non dei più accaniti fautori del sionismo integralista, ma semplicemente di uomini tra i più lungimiranti nei decenni, come il futuro primo ministro Yitzhak Rabin, o dei principali leader del mondo arabo come Faysal, figlio di Husayn della dinastia Hashemita, per far emergere l’inconciliabilità delle due cause come unico paradigma intorno al quale (non) costruire un dialogo.

Se la legittimità di quelle rivendicazioni si lascia alla sensibilità di ognuno, gli eventi rendono chiaro che “non ci sia proverbio che non dica il vero…” (Miguel de Cervantes, Don Chisciotte; XXI) e due cani che hanno un solo osso.

RESPONSABILITÀ

Che l’osso fosse uno e i cani fossero due, lo decisero gli Inglesi. Perché? La risposta è semplice: perché potevano farlo.

L’Inghilterra esce vittoriosa dalla grande guerra sostanzialmente senza subire sconfitte, è l’azionista di maggioranza nella Società delle Nazioni. Certa di avere un peso politico e militare tale da ritrattare il debito con gli arabi elargisce questo o quel pezzo di terra ai figli di Husayn (si veda come sorsero a tal proposito l’Iraq e la Giordania), non comprendendo la natura sterile dei palliativi contro il male che stava alimentando e che le sarebbe esploso tra le mani molto presto.

La persecuzione razziale operata dall’Europa dell’asse costrinse gli ebrei alla fuga di massa nel vicino oriente facendo scoppiare la bomba quando, nel tentativo di placare la rivolta palestinese del 1936-1939, il segretario delle colonie Malcolm MacDonald pubblica il Libro bianco (1939) ponendo un freno all’immigrazione ebraica. Ma il velleitario barcamenarsi tra il cerchio e la botte esasperò l’intransigenza sionista che esplose in azioni come l’attentato nell’agosto del ‘46 all’hotel King David di Gerusalemme, sede dell’amministrazione mandataria, o il massacro di 300 civili nel villaggio palestinese di Deir Yassin al quale seguì la violenta rappresaglia araba a Gerusalemme.

DUE POPOLI UNO STATO

Nel domare l’incendio in Palestina la commissione UNSCOP, appositamente istituita dall’ ONU a seguito della riprovevole rinuncia inglese al mandato, arrivò nel novembre del 1947 alla storica risoluzione n. 181 prospettando la divisione del territorio in due sezioni, ciascuna per entrambi i popoli. Fu un tragico errore, col senno di poi, il rigetto arabo di quella proposta.

Il risentimento nei confronti di una soluzione oggettivamente iniqua, considerando che il 53% dei territori veniva assegnato agli ebrei che numericamente erano inferiori di circa la metà rispetto ai palestinesi, e che pregiudicava un controllo millenario sulla zona, indusse la Lega Araba nella disastrosa guerra che porterà lo Stato di Israele a occupare un territorio ben più ampio di quanto prospettato dalla risoluzione internazionale, mentre le stime della Nakba (disastro) palestinese riportano un esodo di quasi un milione di profughi verso la Giordania, il Libano e la Siria.

Da questo momento il destino di entrambi è segnato, il diagramma del conflitto alternerà fasi di tensione e distensione sullo sfondo della supremazia israeliana e la volontà di annientarsi a vicenda.

NIENTE DI NUOVO

L’attacco di Hamas del 7 ottobre, e la risposta di Netanyahu, altro non sono che l’ennesimo picco sul grafico, per quanto ingeneroso possa sembrare. Non si indugerà oltre sul corso della storia o in tecnicismi di natura geopolitica, non è questo il punto. La reductio ad unum degli eventi in atto si compie nel senso di un irriducibile scontro senza soluzione di continuità, che tale si è mostrato dal principio e conserva oggi immutata l’assenza di orizzonti alternativi.

La prospettiva di una lotta eterna abbraccia la visione distopica di un mondo che sprofonda dalla pandemia alla guerra su scala internazionale, ma se è auspicabile uno scenario diverso, e in fondo verosimile, mutare la tragedia contemporanea in funesto decorso non sarà possibile senza l’assunzione delle responsabilità individuali che la storia ci insegna.

Se il passato istruisce, il presente interroga l’occidente testando i valori su cui erige la propria identità e impone di agire con scelte nella direzione di un appeasement che restituisca credibilità alle decantate virtù della democrazia, con l’auspicio che la guerra cessi nel solco di una pacificazione che tuttavia sembra assente nelle intenzioni dei protagonisti che la combattono.


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