La guerra della Turchia e della Siria contro la regione autonoma che ha abolito i miti dell’etnia, della religione e del maschilismo
Abstract: La guerra in Ucraina e la ripresa del conflitto in Palestina hanno preso tutte le attenzioni del dibattito internazionale dimenticando, tra gli altri, la strage che Siria e Turchia stanno realizzando nell’autoproclamata regione autonoma della Siria del Nord-Est o Rojava dal momento della liberazione dallo Stato Islamico, una zona a maggioranza araba che ha realizzato l’abolizione della poligamia, del matrimonio in giovane età, del divorzio unilaterale e la partecipazione attiva delle donne alla politica, in un’economia ecosostenibile.
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Lorenzo Scarponi: classe 1993, laureato in storia moderna e contemporanea presso L’ università La Sapienza di Roma con indirizzo sulla situazione mediorientale a partire dal secolo XX.
Rojava: Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, nota anche come Siria del Nord-Est o Rojava, è una regione autonoma de facto nel nord-est della Siria, costituitasi a partire dal 2012 inizialmente in aree a maggioranza curda, nel contesto della guerra civile siriana, non riconosciuta da parte del governo siriano.
CONFLITTI MAINSTREAM E MASSACRI DIMENTICATI
Lo scorso 7 ottobre 2023 Hamas lancia cinquemila missili su Israele, inaugurando una nuova fase cruciale nella storia del conflitto israelo-palestinese. Una data simbolica che rimarrà nella storia di uno scontro che definire “sui generis” sarebbe riduttivo, che ha catalizzato le attenzioni preoccupate di tutti gli osservatori mondiali e si inserisce in una crisi globale che sembra rievocare scenari da cortine di ferro e corsa agli armamenti.
Il 7 ottobre 2023 è anche il giorno in cui Erdogan annuncia la prosecuzione dei i bombardamenti turchi contro l’amministrazione autonoma della Siria del nord-est, il Rojava, che hanno distrutto infrastrutture civili fino a danneggiare città intere come Amude e il capoluogo Ayn Issa. Centro e simbolo di una resistenza fattasi rivoluzione, il Rojava e i curdi non possono essere lasciati a sé stessi. Il valore di una realtà culturale e politica, che ha rappresentato un faro in un mondo di tirannia e oppressione, non può essere seppellito sotto il peso schiacciante della logica di interesse e della risonanza mass mediatica.
I bombardamenti sulla regione sono un fatto che deve sconvolgere sul piano emotivo quanto suscitare riflessioni sulla necessità di rendere la dovuta cautela al rischio di essere dinnanzi al silenzioso soffocamento di una storia e di un popolo, qualunque esso sia.
UN’ALTRA STRAGE DEI TURCHI, SILENZIOSA COME LE ALTRE
Da quando l’autoproclamato Rojava costituisce una realtà governativa indipendente de facto, dal novembre del 2013, i tentativi di annientamento per mano della Turchia in primis e della Siria poi si sono moltiplicati inasprendo ulteriormente una contesa che si trascina dalla fine della Grande guerra. Nulla di inedito per ora, il fatto si adatta perfettamente al modello di canonica conflittualità tra chi aspira a forme più o meno articolate di libertà e la reiezione totale di chi rischia perdere il potere, ma la vicenda del “Kurdistan” e del suo popolo è troppo ricca di elementi inediti e preziosi per eclissarsi all’ombra dei ricorsi storici.
Per ragioni di sintesi ci si asterrà dal proporre una sinossi dei dati caratterizzanti l’argomento in oggetto, soffermandoci sulla peculiarità di un tema che restituisce il segno di eccezionalità alla vicenda: la rivoluzione femminile, inseritasi nella recrudescenza del conflitto curdo-turco di fine anni 80, e il suo ruolo nel processo di formazione dell’amministrazione autonoma in Siria.
UNA LOTTA NON SOLO POLITICA MA ANCHE CULTURALE CONTRO IL PATRIARCATO
La dirompenza di chi ha lottato per liberarsi dal giogo di Ankara e dalla stretta aderenza a secolari tradizioni curde di supremazia maschile trova spazio, dopo decenni di chiusure, nella propaganda di stampo femminista del PKK, partito dei lavoratori del Kurdistan, guidati in quel momento da Abdullah Ocalan.
L’illuminata attività di promozione culturale in favor delle donne rese possibile, nel lungo periodo, un livello di emancipazione maturo al fine di ottenere la piena parità di genere in tutti i ruoli sociali, tanto nella politica quanto nel lavoro e l’impiego nelle forze armate. Fu proprio il reclutamento nelle milizie a fornire l’impulso principale per affrancare le donne dalla condizione di subalternità che le aveva sino a quel momento relegate a mere custodi dell’onore domestico e del corpo: “La nostra società guardava le donne come buone casalinghe, rinchiuse in casa come schiave. Ora siamo cambiate…siamo soldatesse ora…” sono le parole della madre di una combattente a Kobane, uno dei fronti più caldi nella guerra contro il Daesh dove l’YPJ, Unità di protezione delle donne, ha contribuito a respingere i miliziani di Al-Baghdadi oltre il confine nel marzo 2015.
Prendere parte attiva nell’esercito e nella guerra, assolvere alle funzioni sociali della sicurezza e la difesa, combattere e morire per difendere l’onore non più del corpo ma della patria ha ispirato una rinnovata consapevolezza nell’identità della donna, capace ora di attivarsi politicamente nella realizzazione organica della rivoluzione democratica curda.
LA LOTTA CONTRO I MITI DELLA RELIGIONE, DELL’ETNIA E DEL MASCHILISMO
Il confederalismo nasce così, nel segno di barriere che crollano rovinosamente ai piedi della partecipazione collettiva, ecumenicamente rivolto a tutti i bisognosi senza distinzione etnica, religiosa e di genere, permeato della volontà di resistere alle minacce sempre più incombenti. Disquisire sull’efficienza politica del sistema municipalista libertario o sulle radici ideologiche dei consigli sociali – l’influenza della matrice marxista è evidente – sarebbe tanto sterile quanto ingeneroso nei confronti della bellezza del sentimento che anima la rivoluzione curda, unica nel suo genere e pionieristica nella sua essenza, la cui escatologia rivela una società libera e inclusiva nata dal riscatto femminile.
Rivoluzione che trionfa nelle storie di persone come Hevi Ibrahim, figlia di genitori sopravvissuti ai massacri di Dersim, che diverrà nel gennaio 2014 la prima donna a ricoprire l’incarico di primo ministro nel cantone indipendente di Afrin.
L’abolizione della poligamia, del matrimonio in giovane età e del divorzio unilaterale sono i risultati della partecipazione attiva delle donne all’interno della confederazione, il concretizzarsi di quello che sembrava agli inizi una sterile e impossibile velleità di rivalsa, il manifesto di uno spirito comunitario che genera e nutre la rivoluzione stessa. È forse questo l’elemento più emblematico della storia curda, la capacità di veicolare la sofferenza patita nel proposito di una risposta quanto più solidale e benevola possibile, trasformare il dolore e l’ingiustizia per ispirare “l’amore sociale e comunitario” celebrato da Ocalan.
LA SCONFITTA DEL ROJAVA È LA SCONFITTA DELL’UMANITÀ
Un sentimento che risiede nel Rojava e arriva all’apice nel piccolo villaggio di Jinwar, dove il coraggio di redimersi da vincoli e asservimenti ha dato vita a una comunità femminile che accoglie rifugiate da ogni luogo, creando uno spazio di aggregazione e solidarietà per le donne intente a trascorrere una vita tanto semplice nella quotidianità quanto libera nella sua essenza: lo spirito del villaggio vive nel sostegno reciproco e lo sviluppo collettivo esprime i valori della parità sociale e di un’economia primitiva ed ecosostenibile, fungendo da cornice perfetta al ritratto di una storia oltraggiosamente sconosciuta.
Paulo Freire nella “Pedagogia degli oppressi” (Edizioni GruppoAbele, 1970) scrisse che gli uomini, educandi, devono essere messi in condizione di creare e migliorare per rendere il mondo più umano, sostenendo che il mezzo irrinunciabile per questa finalità è l’amore per il mondo e per gli uomini. Un inguaribile romantico potrebbe scrivere che siamo davanti all’ennesimo fallimento dell’uomo per creare e migliorare.
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