ETHICA SOCIETAS-Rivista di scienze umane e sociali
Fabio Ferretti RIVISTA Sociologia e Scienze Sociali

SENSO DI COLLETTIVITÀ E SICUREZZA PERCEPITA, Fabio Ferretti

di Fabio Ferretti
[Ethica Societas anno 1 n.1]

L’approccio della human ecology allo studio della delinquenza in ambito urbano[1], applicato da Shaw & McKay, padri della teoria della disorganizzazione sociale, ha vissuto alterne fortune nella storia della ricerca criminologica. La conclusione dello studio enunciava che le condizioni ecologiche esistenti in un’area ad alta delinquenza contribuiscono a una rottura dell’ordine sociale, portando a una prima formulazione della teoria che non approfondiva l’importanza dei legami sociali e delle conseguenti forme di controllo informale sociale di cui le stesse reti sociali sono il presupposto.

Ricordando che il controllo sociale informale consiste in quello spettro di azioni messe in atto dai cittadini per segnalare e contrastare comportamenti ritenuti inaccettabili, si dovrà attendere fino all’inizio degli anni ’90 per una riformulazione della teoria della disorganizzazione sociale che enfatizzasse l’importanza delle reti formali e informali quale mezzo di deterrenza allo sviluppo della criminalità in un’area. Collocando la social disorganization theory in una più ampia teoria sistemica della comunità, Bursick e Grasmick[2] sottolineano come la forza delle relazioni sociali all’interno della collettività rappresenti un elemento di primaria importanza e come l’instabilità residenziale produca effetti nocivi su questi legami, esitando in una minore capacità dei cittadini di esercitare il controllo sociale all’interno della comunità.

L’evoluzione delle teorie e il loro progressivo adattamento allo studio dei fenomeni criminali in ambiente urbano hanno portato gli studiosi a sviluppare approcci diversi per l’interpretazione della relazione tra le caratteristiche delle reti sociali e il livello di criminalità. Questi diversi approcci sono stati utilizzati non solo per confortare l’ipotesi che una maggiore strutturazione dei legami sociali favorisse una riduzione dell’attività criminale, ma anche per verificare se la qualità di queste reti di relazioni fosse capace di determinare diversi livelli di insicurezza e di paura.

Il rapporto tra la qualità delle reti sociali e la sicurezza è stato studiato anche attraverso misure riguardanti la coesione sociale. La coesione sociale è riferita al senso individuale di appartenenza a un gruppo (sense of belonging) e alla gratificazione che ne deriva (feelings of morale), definizione che circoscrive maggiormente la rete delle relazioni sociali. La coesione sociale è generata da alti livelli di fiducia tra i residenti e la fiducia si sviluppa da aspettative condivise di comportamento.

Il senso di insicurezza è stato studiato anche in relazione al cosiddetto Human Territorial Functioning, inteso come forma di controllo sociale informale. Il concetto di Territorial Functioning si rappresenta come una forma di difesa del territorio ritenuto di proprio dominio dall’intrusione di estranei attraverso, per esempio, l’apposizione di segnaletiche (Marking behavior), ma anche attraverso comportamenti umani che evidenzino la presenza sul territorio (p.e., manutenzione dei giardini o delle abitazioni, Territorial behavior), oppure direttamente attraverso la consapevolezza del legame dei soggetti al proprio ambiente o la percezione di determinate situazioni (Cognitions, Attitudes).

Ma l’approccio teorico che forse ha riscontrato il maggiore interesse dal punto di vista applicativo è quello dell’efficacia collettiva. Accogliendo i principi della teoria della disorganizzazione sociale, l’efficacia collettiva enfatizza l’importanza delle relazioni sociali nel determinare un ambiente sfavorevole al crimine o al disordine, ma soprattutto introduce il concetto che tali relazioni devono effettivamente produrre forme di controllo sociale informale affinché sia possibile ottenere un risultato significativo nel controllo della criminalità.

L’efficacia collettiva è definita dall’esistenza e dalla forza delle relazioni reciproche all’interno di una collettività (di nuovo social cohesion), unitamente alla volontà di intervenire a favore del bene comune (social informal control/willingness to intervene). È evidente come secondo tale definizione la fiducia reciproca e la solidarietà tra gli individui, in altri termini la coesione sociale, siano i requisiti necessari affinché sia possibile esercitare una qualche forma di controllo informale sociale sul territorio.

Quella dell’efficacia collettiva è una teoria che supera gli aspetti più fragili del capitale sociale. Il principio che i soli legami e relazioni sociali ai diversi livelli della comunità (individuale, familiare, associativo, …) siano in grado di produrre un effetto positivo sulla delinquenza (approccio tipico delle ricerche basate sul capitale sociale) non è sufficiente a spiegare bassi livelli di criminalità; in altri termini, aspettative condivise di controllo sociale possono esistere anche in assenza di forti legami tra i residenti.

L’efficacia collettiva utilizza la coesione sociale al posto della rete di forti legami tra individui e organizzazioni proprio perché i processi sociali nelle società moderne non riguardano più “enclaves” o gruppi di soggetti, ma sono molto più pervasive e sempre meno slegate dalle sole relazioni individuali. L’efficacia collettiva è task-specific, è legata ad un compito condiviso, ovvero si basa sul concetto che la condivisione di norme, valori ed aspettative sia in grado di generare il mutuo coinvolgimento dei residenti nel mantenere il controllo sociale su un territorio urbano.

Alti livelli di efficacia collettiva sono in grado di spiegare ridotti livelli di criminalità, anche nel caso di reati particolarmente violenti come l’omicidio. Un interessante studio di Swatt e colleghi evidenzia come l’efficacia collettiva sia anche un valido predittore della paura del crimine e dell’insicurezza, sottolineando come questa relazione tenda a modularsi diversamente in quartieri con differenti caratteristiche. Stante la correlazione efficacia collettiva-insicurezza, quest’ultima evidenza rappresenta una conferma dei fattori individuati dagli autori che hanno sviluppato questa teoria, fattori riconducibili alla stabilità residenziale degli individui nel quartiere, alla concentrazione di soggetti in condizioni sociali ed economiche svantaggiate e all’eterogeneità della composizione etnica nel contesto urbano.

A questo punto delle riflessioni conclusive ci sembra quanto mai opportuno richiamare la definizione di Amerio e Roccato[3], che rappresentano l’insicurezza come la confluenza di percezioni, valutazioni, sensazioni, emozioni e preoccupazioni emergenti nelle relazioni del proprio ambiente materiale, sociale e simbolico, un misto di stati emotivi e vissuti cognitivi dell’individuo tra i quali la paura del crimine in senso stretto non sembra neppure avere un ruolo predominante.

La percezione individuale di sicurezza/insicurezza, dunque, sembra trovare le sue radici prima di tutto nelle caratteristiche ecologiche e nelle relazioni sociali, prima che nella valutazione della rischiosità criminale dell’ambiente nel quale l’individuo vive la propria esistenza.

NOTE

[1] Shaw, C. R., & McKay, H. D. (1942). Juvenile delinquency and urban areas. University of Chicago Press.

[2] Bursik, R. J., & Grasmick, H. G. (1993). Neighborhoods and crime: The dimensions of effective community control. New York: Lexington Books.

[3] Roccato, M., & Russo, S. (2014). Insicurezza e criminalità. Psicologia sociale della paura del crimine, Liguori Editore.

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