ETHICA SOCIETAS-Rivista di scienze umane e sociali
Lolita Guliman NOTIZIE Psicologia Sociologia e Scienze Sociali

LA STRAGE DELLE DIVISE, Lolita Guliman e Sara Sterpi

Il suicidio silenzioso: le forze armate e di polizia e la qualità della gestione del disagio

Lolita Guliman
Sara Sterpi

Abstract: L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2019) ha stimato che ogni anno sono circa 703.000 le persone che decidono di togliersi la vita. Si tratta di un fenomeno particolarmente articolato, la cui comprensione richiede il ricorso a modelli teorici complessi, in quanto conseguenza di molti fattori: genetici, familiari, ambientali e culturali. In questo articolo si vuole esaminare un fenomeno “silenzioso” del suicidio, ovvero quello che si cela dietro alcune professioni come quelle all’interno delle forze dell’ordine. Si tratta di una realtà meno conosciuta e per tale ragione, molto pericolosa. Una realtà per la quale i mezzi di prevenzione e di cura attuali si sono mostrati scarsamente utili.

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Lolita Guliman, psicologa e psicoterapeuta, professoressa universitaria, esperta in valutazione e cura del disagio tra gli operatori dei settori a rischio, coordinatrice di gruppi di lavoro relativi al sostegno delle famiglie anche attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale cognitiva.

Sara Sterpi, dottoressa in Psicopatologia dinamica dello sviluppo, ricercatrice in modelli di analisi e prevenzione del suicidio.


INTRODUZIONE

Il suicidio è uno dei fenomeni più complessi e non riassumibile in un processo di causa-effetto. Infatti, i fattori di rischio per un possibile comportamento suicidario, non costituiscono le cause bensì evidenziano le condizioni che aumentano le probabilità che un gesto estremo, come appunto è il suicidio, venga compiuto.

Quando questo fenomeno si inserisce all’interno del settore delle forze di polizia nazionali e locali, ci si trova a dover approcciare una vera e propria sfida, con poco tempo a disposizione per analizzare i fattori utili alla comprensione approfondita della situazione, il tutto con lo scopo di affrontare efficacemente questo fenomeno dilagante.

Diversi sono i fattori che convergono nella costituzione di una mancata capacità di gestione degli eventi stressanti, che spingono l’individuo a estremizzare le condotte autodistruttive.

In Italia, una ricerca che fa riferimento agli studi sul fenomeno del suicidio (Favasuli M. A., 2014), ha delineato la presenza di alcuni fattori da tenere in considerazione; tra questi risultano più significativi i fattori bio-psicosociali che comprendono i disturbi mentali, tra cui: i disturbi dell’umore, l’abuso di sostanze, i disturbi di personalità, precedenti tentativi di suicidio e casi di suicidio in famiglia.

Ci sono, poi, i fattori di rischio ambientali come la perdita del lavoro o le difficoltà finanziare oltre alle perdite relazionali e sociali. Infine, vengono considerati i fattori di rischio socioculturali, quali -per mancanza di sostegno sociale – senso di isolamento e stigma associato alla necessità di aiuto (Favasuli M. A., 2014).

I SUICIDI NELLE FORZE DI POLIZIA E NELLE FORZE ARMATE

Negli ultimi anni, il fenomeno del suicidio all’interno del settore delle Forze di polizia è stato studiato con maggior attenzione, in quanto si è registrato un aumento dei casi. Infatti, sebbene la media del fenomeno sembrerebbe essere in linea con la popolazione generale, si è assistito a una crescita di casi in ambito militare e delle forze di polizia. Va anche considerato il fatto che la popolazione militare tende a essere selezionata e controllata periodicamente anche dal punto di vista sanitario (Di Costanzo S. & Raggi A., 2021).

Gli operatori di polizia, per esempio, sono sottoposti a sfide intense e violente che comportano un forte stress emotivo. Infatti, il contesto e le condizioni in cui si esplicitano le loro esperienze lavorative, comportano importanti sollecitazioni da un punto di vista psico-fisico, fattori che potrebbero innescare processi psicopatologici legati alla difficoltà di fronteggiare stimoli e conflitti sia intra sia interpersonali (Favasuli M. A., 2019).

Per questo motivo, nel momento della selezione degli operatori, si presta particolare attenzione alle dimensioni personologiche relazionate alla capacità di coping e di resilienza. Tuttavia, questi dati non sono sufficienti per garantire una copertura rispetto ai fattori di rischio che si esplicitano nel tempo. Restano infatti fondamentali i controlli periodici, che possono garantire una condizione ottimale di salute psicofisica generale.

Oltre ai fattori di rischio comuni con la popolazione civile, come per esempio la presenza di disturbi psicopatologici, ci sono alcuni fattori – come la stigmatizzazione – che sono maggiormente specifici per coloro che si occupano di sicurezza.

LA STIGMATIZZAZIONE

Il suicidio è una delle condizioni umane più a rischio di stigmatizzazione (Carpiniello B. & Pinna F., 2017), e la cultura appartenete alle forze di polizia può, spesso, enfatizzare la rappresentazione di forza e resilienza, portando gli agenti a essere più riluttanti nel chiedere aiuto per problemi di salute mentale.

Inoltre, è importante considerare che sia la domanda diretta di aiuto, sia la segnalazione di un disagio da parte di colleghi o superiori, con la possibile conseguenza di ottenere restrizioni, risultano essere azioni che racchiudono dinamiche affettivo-interpersonali anche con eventuali implicazioni medico-legali (allontanamento spontaneo o dimissioni).

Questi aspetti possono avere un importante impatto da un punto di vista professionale e psicologico, coinvolgendo anche l’area socio-relazionale, generando atteggiamenti di chiusura, stigma e isolamento sociale. La facilità di accesso alle armi riveste un ruolo rilevante nella predittività del gesto suicidario, infatti – a differenza della popolazione civile – l’uso dell’arma di servizio costituisce la principale scelta di modalità suicidaria. Possedere l’arma da fuoco riveste un ruolo significativo nel processo di costruzione e mantenimento di una propria identità professionale, rappresentando simbolicamente l’appartenenza e senso di identità (Favasuli M. A. et al., 2019).

LA MOLTEPLICITÀ DEI FATTORI COINVOLTI

Il modello bio-psicosociale evidenzia come il fenomeno suicidario debba essere considerato in un’ottica di intreccio di diversi fattori al fine di produrre una miglior comprensione della salute psicofisica dell’individuo (Szadejko K., 2020). La letteratura scientifica, per esempio, evidenzia la presenza di una vulnerabilità genetica, attraverso studi che dimostrano un maggior numero di comportamenti suicidari in coloro che presentano storie familiari di suicidio o di tentativi suicidari (Brent D. A. et al., 2015).

Altri aspetti da considerare sono la sensibilità allo stress e l’intolleranza alle frustrazioni; infatti, risulta importante soprattutto la percezione riguardante la propria capacità di tollerare le frustrazioni (DiGiuseppe R. A. et al., 2014) e la percezione di avere altre strategie funzionali. Altri fattori da considerare possono essere la trascuratezza, il maltrattamento infantile e la perdita di relazioni significative, come quella di coppia.

Oltre ai fattori appena descritti, anche la famiglia riveste diversi ruoli nel complesso fenomeno del suicidio. Se da una parte questa può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di problemi di salute mentale, specialmente quando l’ambiente è caratterizzato da conflitti, abusi o trascuratezza, dall’altra questa può ricoprire un ruolo protettivo per il benessere psicologico degli individui.

fonte dati Ministero degli Interni-Osservatorio suicidi (Corriere della Sera)

IL RUOLO DELLA FAMIGLIA

Un ambiente familiare positivo, che offre sostegno emotivo, può aiutare a ridurre lo stress, come anche la presenza di modelli positivi all’interno della famiglia permettono lo sviluppo di strategie di adattamento efficaci. Inoltre, lo sviluppo di una buona comunicazione all’interno del nucleo familiare, promuove un senso di sicurezza, fiducia e stabilità.

Una famiglia in cui è presente una routine e una struttura stabile, risulta importante per la creazione di un ambiente prevedibile e rassicurante, oltre a previene l’isolamento sociale, il quale, unito a un vissuto di solitudine, ha un impatto importante sul comportamento suicidario. In aggiunta, la presenza di una famiglia che incoraggia l’accesso al supporto psicologico o ai servizi sociali, contribuisce a una migliore gestione di possibili problemi di disagio mentale e a una minor stigmatizzazione.

Sebbene la famiglia possa essere un fattore protettivo importante per la salute mentale, è essenziale riconoscere che non è l’unico determinante e che una serie di fattori interconnessi influenzano la salute mentale di un individuo.

Relativamente all’importanza della famiglia, è giusto anche considerare che il suicidio ha un impatto profondo e duraturo, lascia un senso di vuoto all’interno del nucleo familiare dell’individuo deceduto, ovvero in coloro che sono definiti i “sopravvissuti” (Coelli D. 2023). L’impatto dell’evento è dovuto alle diverse caratteristiche che lo compongono, si presenta come un evento imprevedibile e inconoscibile, a prescindere dal fatto che sia stato annunciato.

Le emozioni che possono scaturire possono essere rabbia, collera, frustrazione, si può giungere a sentirsi rifiutati e traditi oltre che abbandonati. Questi aspetti rendono l’elaborazione del lutto ancora più difficoltosa, al punto che l’emozione della rabbia può essere indirizzata anche verso sé stessi per non essere riusciti a “salvare” la persona, lasciando un senso di colpa e l’assunzione di responsabilità verso ciò che è accaduto. I familiari potrebbero sviluppare un senso di vergogna verso il mondo sociale, che contribuisce ad una tendenza al distanziamento dei rapporti sociali e conseguente solitudine.

Dunque, il suicidio ha un importante impatto sul sistema familiare, che potrebbe determinare altri casi di morte anche all’interno della stessa famiglia. Non a caso, la letteratura scientifica ha evidenziato come la probabilità di incorrere in un comportamento suicidario sia cinque volte maggiore nelle persone a rischio di disturbo dell’umore, in special modo se nella loro storia genitoriale si è registrato anche un solo tentativo di suicidio (Brent D. A. et al., 2015; Coelli D., 2023).

La trasmissione familiare del tentativo di suicidio potrebbe essere mediata dalla trasmissione dei disturbi dell’umore, tratti impulsivo-aggressivi e abusi fisici o sessuali subiti nell’infanzia. In alternativa, il gesto suicidario potrebbe aver offerto un modello di “soluzione” definitiva nei confronti dei problemi della vita che non si riescono ad affrontare, così come potrebbe esserci stata una difficoltà a elaborare il lutto, superare il senso di vuoto e di solitudine. Risulta importante aiutare i familiari a recuperare un senso lì dove c’è stata una perdita e aiutarli ad elaborare il lutto (Brent D. A. et al., 2015; Coelli D., 2023).


Bibliografia

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