Quanto ne sappiamo davvero di una psicopatologia diffusa e spesso invisibile
Abstract: Parlando del disturbo borderline di personalità (DBP) si tende spesso a dare credito a diffusi luoghi comuni, come il ritenere le persone che ne sono affette richiedano attenzioni eccessive. Ciò conferma, purtroppo, la scarsa conoscenza del problema. Il DBP è un disturbo mentale che influenza i vari aspetti della vita di chi ne soffre ed è complesso da diagnosticare. Tuttavia, una volta diagnosticato è possibile uscirne grazie a un trattamento terapeutico mirato, il quale prevede incontri psicoeducazionali con la famiglia del paziente, individuando delle strategie da adottare in modo da scongiurare eventuali ricadute una volta dimesso.
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CARATTERISTICHE DEL DISTURBO
Cos’è il disturbo borderline di personalità? È un disturbo mentale che influisce sulla vita emotiva, comportamentale e relazionale di chi ne soffre, e complesso da diagnosticare perché ha molte forme. Nonostante le analogie a livello di sintomi, non va però confuso con i disturbi bipolare e/o narcisistico.
Detto in modo molto generico, il disturbo bipolare viene spesso confuso con il DBP a causa di diversi punti in comune (relazioni instabili, umore instabile, rabbia inadeguata, rischio suicidario, e impulsività), ma è un disordine facente parte del gruppo di disturbi legati all’umore, in cui il soggetto oscilla in continuazione tra polo depressivo e polo dell’eccitamento, tra gravi alterazioni di pensieri, emozioni, e comportamenti. Per fare un esempio, la persona che ne soffre può trovarsi l’attimo prima al settimo cielo e un attimo dopo trovarsi nella disperazione assoluta, senza causa apparente. A prescindere dalla predisposizione, il disturbo bipolare può manifestarsi con l’insorgere di situazioni di precarietà, come mancanza di sonno, assunzione di antidepressivi e cambi di stagione.
L’individuo affetto da disturbo narcisistico (dal mito di Narciso, che s’innamora della propria immagine riflessa), invece, manca di empatia, mostra un senso superbo di sé, un bisogno di ammirazione, un’aspettativa non ragionevole nel ricevere da terzi trattamenti speciali e al soddisfacimento delle proprie aspettative nell’immediato. Inoltre è spesso assorbito da fantasie di amore ideale, fascino, bellezza, successo e potere illimitati. E con questo si smentisce il luogo comune che vede i soggetti da DBP come desiderosi di attenzione.
Il DBP si manifesta tra l’adolescenza e la prima età adulta, ma può essere diagnosticato (o insorgere) anche molto tempo dopo. Tale disturbo può compromettere non solo la vita di chi ne è affetto ma, anche, quella di chi lo circonda. Per questo motivo è importante diagnosticarlo presto, individuandone con precisione i sintomi e attuando la giusta terapia.
CRITERI DIAGNOSTICI
Per diagnosticare correttamente il DBP è necessario riscontrare almeno cinque dei nove criteri stabiliti nel DSM-5[1]:
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ideazione paranoidea transitoria associata a gravi sintomi di natura dissociativa o stress. Può essere legata alla sfera scolastica, professionale, o ancora, provocata da un’effettiva diminuzione di attenzioni o premure, per esempio da parte di partner o genitori, con conseguente sospettività da parte dell’individuo affetto da DBP;
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sforzi per evitare un abbandono, sia esso reale o immaginario, che possono sfociare in atteggiamenti persecutori. Questo timore può derivare da una reale esperienza di abbandono, per esempio da parte di una figura genitoriale affrontata durante l’infanzia;
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relazioni interpersonali o personali instabili e intense che si alternano tra l’iperidealizzazione dell’altra persona e la sua svalutazione;
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instabilità affettiva causata da facile cambiamento di umore, dovuto anche a motivi esterni, come stress ambientali. A differenza di quella manifestata da persone affette da disturbo bipolare, quest’instabilità non è di lunga durata;
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alterazione della concezione di sé stessi intesa come unità, con ripetute variazioni di ciò che l’individuo sente verso di sé in positivo-negativo. Si manifestano in repentini cambi di stile di vestiario, valori personali, traguardi lavorativi, orientamento sessuale;
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sentimenti di vuoto a livello cronico associati a solitudine, senso d’inutilità e assenza di un’identità, che possono arrivare ad annientare gli scopi. Se sono in essere stati depressivi non è semplice formulare una diagnosi corretta;
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impulsività con il conseguente mancato controllo dei propri impulsi, durante i quali il soggetto si lascia trasportare da situazioni che portano al momentaneo benessere, ma che poi si rivelano distruttive a breve-lungo termine. Tale impulsività, in via occasionale, può portare a comportamenti impulsivi, come guida pericolosa, abuso di sostanze, medicine, alcol, spese folli;
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rabbia intensa e inappropriata, come per esempio frequenti eccessi d’ira con conseguenti scontri verbali o fisici. L’intensità della rabbia non è proporzionata a ciò che la provoca e si accende come conseguenza alla percezione di chi soffre di DBP di essere accantonato, incompreso, apprezzato. Generalmente tale comportamento è seguito da senso di colpa o vergogna che, a sua volta, può indurre a rinnovati comportamenti impulsivi (vedi criterio 6);
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comportamenti autolesivi, come tagli, graffi, minacce di suicidio, anche senza la reale intenzione, spesso i tentativi di suicidio effettuati – diverse volte superiori in soggetti affetti da DBP rispetto alla norma – sono il motivo di richiesta d’aiuto e tali atteggiamenti si possono riscontrare fino al 70% dei casi.
ASPETTI FISIOPATOLOGICI
Ovviamente un’altra cosa da non sottovalutare è, come si deduce dai criteri su esposti, che possono esserci conseguenze negative anche per la salute fisica di chi è affetto da DBP (fibromialgia, sindrome intestino irritabile, dolore cronico, malattie infiammatorie e cardiocircolatorie, per fare alcuni esempi). Più in generale, se il disturbo non venisse preso in seria considerazione, si potrebbe assistere persino a una riduzione significativa della durata della vita media, conseguenza della combinazione di diversi fattori, dalla mancanza di cure ai tentativi di suicidio andati a buon fine.
La sovrapposizione di sintomi della più svariata natura può talora costituire elemento di preoccupazione, tanto più se a essere considerato è quello più grave. Tuttavia, non è da considerarsi una condizione permanente e irreversibile, perché è possibile uscire da questo disturbo. Vi sono diverse testimonianze a tal proposito. Una è quella di Marsha M. Linehan[2] che, nel libro “Una vita degna di essere vissuta”[3], racconta la sua esperienza e come nella sofferenza abbia effettivamente trovato la soluzione che ha poi dato vita al protocollo DBT (Dialectical Behavior Therapy) negli anni ’80.
ASPETTI TERAPEUTICI
Cos’è esattamente? È un programma terapeutico mirato per la cura del DBP. Secondo la teoria su cui è basata la terapia, esso può insorgere addirittura in tenera età, oltre che in adolescenza e prima età adulta, a causa di un mix tra deficit del sistema cerebrale che regola le emozioni e la componente disfunzionale ambientale. Di conseguenza, siccome il bambino non riesce a riconoscere e tanto meno gestire le emozioni provate, i sintomi sono spesso minimizzati o amplificati.
Il trattamento prevede una valutazione iniziale tramite un test di idoneità alla terapia. In seguito viene designato un terapeuta, che definisce con il paziente il percorso da seguire fino alla fine. È bene tenere sempre presente che i pazienti affetti da DBP sono incostanti e inclini a interrompere il trattamento terapeutico. Esso consiste in una combinazione di strumenti di psicoterapia, sia individuale che di gruppo, utili per l’acquisizione delle abilità psico-sociali necessarie per controllare la propria disregolarità emotiva, in modo da ridurre i comportamenti impulsivi, suicidari e autolesivi.
Si può dire che la psicoterapia sia il trattamento chiave per questo disturbo a cui, almeno all’inizio, è affiancata una terapia farmacologica – che non è risolutiva – da seguire per gestire i sintomi. Tra i farmaci usati vi sono antipsicotici di seconda generazione (olanzapina, risperidone, quetiapina, ziprasidone e aripiprazolo), i quali fanno parte di una classe di farmaci eterogenea per efficacia e sicurezza, stabilizzatori dell’umore, e antidepressivi, ma è comunque la psicoterapia a dimostrarsi risolutiva nel trattamento del disturbo.
Infine, la terapia prevede incontri psicoeducazionali con la famiglia del paziente, per poi chiudersi con l’individuazione delle strategie da adottare una volta fuori dall’ambiente protetto, in modo da scongiurare eventuali ricadute una volta che il paziente viene dimesso.
NOTE:
1. Il Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali, conosciuto anche come DSM, è uno strumento usato da coloro che si occupano di salute mentale, come psichiatri e psicologi. In questo manuale si trovano le descrizioni delle patologie mentali riportate, i sintomi, e i criteri su cui basarsi per raggiungere la diagnosi in modo corretto. La prima versione del manuale fu redatta nel 1952 dall’American Psychiatric Association, a cui si susseguirono versioni sempre più aggiornate: DSM-2 (1968), DSM-3 (1980), DSM-3-R (1987), DSM-4 (1994), DSM-4-TR (2000), DSM-5 (2013) DSM-5-TR (2023).
2. Marsha M. Linehan è una professoressa di psicologia, psichiatria e scienze comportamentali dell’università di Washington, specializzata nel DBP, autrice di studi, libri scientifici, fondatrice di due associazioni aventi come scopo la diffusione del trattamento DBT, e direttrice di alcune cliniche di ricerche di ricerca e terapia comportamentale.
3. Marsha M. Linehan, Una vita degna di essere vissuta, Raffaello Cortina Editore, 2021.
APPROFONDIMENTI:
https://www.youtube.com/watch?v=Ym2sVvRIwdQ
https://www.youtube.com/watch?v=mZIFFqU68Ps
https://www.youtube.com/watch?v=rojYdd7-LXc
https://www.youtube.com/watch?v=07ZBWxjEjgM
https://www.youtube.com/watch?v=mSfZUctX48s
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