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LA VIDEOSORVEGLIANZA SENZA ACCORDO SINDACALE È REATO, Massimiliano Mancini

Le telecamere che anche potenzialmente possono riprendere i lavoratori sono ancora oggi soggette allo Statuto dei lavoratori

Massimiliano Mancini

Abstract: in tutti i casi in cui i sistemi di videosorveglianza possano, anche solo incidentalmente ed episodicamente, riprendere i lavoratori, non si può prescindere dall’applicazione dello Statuto dei lavoratori, che non è stato abrogato o derogato dal GDPR, e quindi dall’accordo con la rappresentanza sindacale dei lavoratori. In tutti i casi in cui ciò manchi gli ispettori del lavoro potranno sequestrare le telecamere e procedere penalmente nei confronti del capo dell’ufficio (dirigente, comandante, responsabile del servizio), fermo restando le altre sanzioni amministrative che si aggiungono in caso di altre carenze (DPIA, informative, ecc.).

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Le norme penali nazionali non sono abrogate dal GDPR

Il Regolamento UE 2016/679 GDPR prevale su tutte le norme degli Statiu membri e prevede un sistema sanzionatorio amministrativo chiaro e particolarmente severo (art. 83 GDPR), tuttavia gli Stati membri possono prevedere sanzioni ulteriori rispetto quelle già previste dalla normativa europea (art. 84 GDPR[1]), purché non si sovrappongano alle sanzioni già previste, e in particolare possono prevedere sanzioni penali (Considerando 149[2]).

Quindi sopravvivono non solo le sanzioni penali già previste dal Codice della Privacy (art. 167-171), ma anche quelle delle norme speciali e, in particolare, quelle dello Statuto dei lavoratori (art. 4 l. 300/1970).

Lo Statuto dei lavoratori non cambia con il GDPR

Gli impianti di videosorveglianza installati dagli enti e dalle forze di polizia, soprattutto dai comuni e dalle polizie locali/municipali, pur se finalizzati alla sicurezza urbana, al contrasto degli abbandoni dei rifiuti, alla sicurezza delle sedi cittadine e delle stesse polizie locali, anche in esecuzione di eventuali accordi sulla sicurezza urbana e in presenza di Regolamenti adottati dall’ente sulla videosorveglianza, non possono mai derogare alla disciplina dello Statuto dei lavoratori di cui alla legge 20 maggio 1970 n. 300 ‘Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamenti’, uno dei primi in assoluto che ha disciplinato l’attività di videosorveglianza.

I sistemi di videosorveglianza negli ambienti di lavoro possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza dei lavoratori e per la tutela del patrimonio aziendale e in questi casi vanno osservate le garanzie previste dalla legge (art. 4 Statuto dei lavoratori[3]).

Lo statuto dei lavoratori vieta infatti il controllo a distanza dei dipendenti sia all´interno degli edifici e sia in altri luoghi di prestazione di lavoro, ad esempio le telecamere installate sui veicoli non devono riprendere in modo stabile la postazione di guida e le immagini possono essere utilizzate per accertare e perseguire eventuale illeciti penali ma non per controlli, anche indiretti, sull´attività dei conducenti, e non consente l´installazione di sistemi di videosorveglianza in luoghi riservati esclusivamente ai lavoratori o non destinati all´attività lavorativa, come ad esempio in bagni, spogliatoi, docce, armadietti e luoghi ricreativi.

Prima l’accordo sindacale e poi si accendono le telecamere altrimenti il datore di lavoro ne risponde penalmente

telecamere mobili (body cam)

In tutti i casi nei quali le telecamere siano installate negli ambienti di lavoro in senso stretto o nelle immediate prossimità, laddove ci sia comunque la possibilità di controllo a distanza(art. 4 c.1 l.300/1970) dell’attività dei lavoratori, fisse o mobili che siano, è richiesto un atto formale preliminare che deve acquisire il datore di lavoro che sia titolare del trattamento e precisamente:

  • accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria (RSU) o dalle rappresentanze sindacali aziendali (RSA), nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  • in mancanza di accordo deve essere richiesta autorizzazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro (UTL), nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Eventuali riprese televisive sui luoghi di lavoro per documentare attività od operazioni solo per scopi divulgativi o di comunicazione istituzionale o aziendale, e che vedano coinvolto il personale dipendente, possono essere assimilati ai trattamenti temporanei finalizzati alla pubblicazione occasionale di articoli, saggi ed altre manifestazioni del pensiero. In tal caso, alle stesse si applicano le disposizioni sull´attività giornalistica, fermi restando, comunque, i limiti al diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza, nonché l´osservanza del codice deontologico per l´attività giornalistica ed il diritto del lavoratore a tutelare la propria immagine opponendosi anche, per motivi legittimi, alla sua diffusione.

Le responsabilità dei comandanti in caso di videosorveglianza abusiva

monitor installati nell’ufficio del comandante

Non c’é alcuna norma che permetta di derogare agli obblighi dello Statuto dei lavoratori e qualora siano attive telecamere che anche in via incidentale possano consentire al comandante o al dirigente anche solo di guardare episodicamente i lavoratori in servizio a essi, che sono datori di lavoro (art. 1[4] e 30 d. lgs. 242/96), si applicano direttamente le sanzioni penali previste dallo Statuto dei lavoratori (art. 38 l. 300/1970).

Su segnalazione di chiunque (lavoratori e privati cittadini) ovvero su iniziativa dell’ufficio ispettivo, gli Ispettori del Lavoro procedono in qualità di ufficiali di polizia giudiziaria a sequestrare le telecamere (art. 321 c.p.p.) e a svolgere nei confronti del soggetto datore di lavoro (dirigente, comandante, responsabile del servizio), l’attività di polizia giudiziaria conseguente al procedimento penale e quindi: l’identificazione, l’elezione di domicilio, la nomina del nomina difensore di fiducia, l’informativa di reato e gli altri atti che si rendessero necessari (sopralluogo, eventuale assunzione di sommarie informazioni, ulteriori sequestri probatori e giudiziari).

La pena prevista, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, consiste nell’ammenda da 154 euro a 1.549 euro o arresto da 15 giorni a 1 anno. Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente. Quando, per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita nel primo comma può presumersi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.

Sanzione penale che non esclude la responsbailità per le altre violazioni privacy

La violazione dell’obbligo di accordo sindacale se non è stata eccepita dal responsabile della protezione dei dati personali (RDP/DPO) e dai periti valutatori che hanno redatto la valutazione d’impatto-DPIA, evidenzia una vigilanza e una professionalità molto limitata di questi consulenti e quindi è probabile che ci siano anche ulteriori violazioni per quanto riguardano gli altri obblighi in materia di privacy, a cominciare dalla valutazione d’impatto-DPIA (art. 35 GDPR ed eventualmente art. 23 d. lgs. 51/2018), che potrebbe essere del tutto assente ovvero non regolare e completa, dalle informative (art. 13 e 14 GDPR), dai contratti di contitolarità del trattamento-joint controller agreement  (26 GDPR ed eventualmente art. 17 d. lgs. 51/2018), contratti di responsabilità del trattamento-data processing agreement (art. 28 GDPR ed eventualmente art. 18 d. lgs. 51/2018).

In questi casi al procedimento penale si unisce la sanzione amministrativa prevista (art. 83 GDPR) e la responsabilità civile dnei confronti dei soggetti ripresi (art. 82 GDPR).


NOTE:

[1] Reg.UE 2016/679 GDPR, art. 84 (Sanzioni) «1. Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle altre sanzioni per le violazioni del presente regolamento in particolare per le violazioni non soggette a sanzioni amministrative pecuniarie a norma dell’articolo 83, e adottano tutti i provvedimenti necessari per assicurarne l’applicazione. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. 2. Ogni Stato membro notifica alla Commissione le disposizioni di legge adottate ai sensi del paragrafo 1 al più tardi entro 25 maggio 2018, e comunica senza ritardo ogni successiva modifica.».

[2] Reg.UE 2016/679 GDPR, considerando 149 (Sanzioni) «Gli Stati membri dovrebbero poter stabilire disposizioni relative a sanzioni penali per violazioni del presente regolamento, comprese violazioni di norme nazionali adottate in virtù ed entro i limiti del presente regolamento. Tali sanzioni penali possono altresì autorizzare la sottrazione dei profitti ottenuti attraverso violazioni del presente regolamento. Tuttavia, l’imposizione di sanzioni penali per violazioni di tali norme nazionali e di sanzioni amministrative non dovrebbe essere in contrasto con il principio del ne bis in idem quale interpretato dalla Corte di giustizia.».

[3] L. 300/1970, art. 4 (Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo): «1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi. […omissis…]»

[4] D. lgs. 242/1996, “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, recante attuazione di direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.”, art. 1 (Campo di applicazione) «1. L’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, di seguito denominato decreto legislativo n. 626/1994, è sostituito dal seguente:
” 2. Nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, dei servizi di protezione civile, nonché nell’ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle università, degli istituti di istruzione universitaria, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, delle rappresentanze diplomatiche e consolari e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le norme del presente decreto sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato, individuate con decreto del Ministro competente di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e della funzione pubblica.”.».


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